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La normalità perduta della Catalogna

La crisi catalana ha già prodotto conseguenze. Nella società si sono polarizzate le posizioni tra chi è favorevole all’indipendenza o all’unità nazionale. Intanto l’incertezza politica nuoce all’economia. Tornare alla normalità non sarà facile.

Referendum in Lombardia e Veneto: la fiera dell’inutilità

Il 22 ottobre Lombardia e Veneto votano su un referendum che chiede più autonomia dal governo centrale. È un’operazione inutile dal punto di vista procedurale e costituzionale. Né è chiaro quali nuove competenze le due regioni vorrebbero attribuirsi.

Il bello della (democrazia) diretta. E anche il brutto

Quali sono i pro e i contro della democrazia diretta? E quali caratteristiche hanno i paesi che più la utilizzano? Per “spacchettare” senza danni un tema specifico dalla delega generale data agli eletti servono cittadini istruiti e stabilità politica.

Il peso della disoccupazione sul voto

Confronto tra 2016 e 2013

È opinione comune che il “no” al referendum costituzionale sia stato non tanto un voto sul merito della riforma costituzionale quanto un voto contro il governo in carica. Ciò che non viene sottolineato è che i motivi della protesta – elevata disoccupazione, paura dell’immigrazione, alto livello della tassazione – avevano già influito sui risultati elettorali delle politiche del 2013, che l’esito del referendum ha sostanzialmente confermato. Il grafico 1 evidenzia, a livello di regioni, la relazione fra la percentuale di voti per il “no” nel 2016 e la percentuale di voti presi nelle elezioni politiche del 2013 dalle forze che nel 2016 erano per il “no”.
Il “no” ha ottenuto meno consensi di quelli presi nel 2013 dai partiti che lo sostenevano nel Nord-Ovest (Piemonte, Liguria, Lombardia), in Emilia Romagna e nelle regioni dell’Italia centrale, con l’eccezione del Lazio. Tuttavia, solo in Emilia e Romagna e Toscana ha prevalso il “sì”. Invece nel Nord-Est il “no” ha ricevuto più voti di quelli presi nel 2013 dai partiti a suo favore. Il Mezzogiorno ha un andamento analogo a quello del Nord-Est. Il “no” ha avuto una percentuale di voti maggiore rispetto alla quella registrata nel 2013 dalle forze che lo sostenevano. Le uniche eccezioni sono gli Abruzzi e il Molise.
La difformità di voto tra 2016 e 2013 può essere stata determinata dalla variazione del tasso di disoccupazione (tabella 1). Infatti, la gran parte delle regioni dove il “no” ha preso meno voti di quelli conseguiti nel 2013 dai partiti che lo sostenevano hanno registrato un miglioramento del dato (tabella 1). Il contrario è avvenuto nelle regioni, come quelle meridionali, che hanno visto un peggioramento del tasso di disoccupazione.

Elettorato stabile

L’esito del voto referendario evidenzia una notevole stabilità dell’elettorato, anche se all’interno di ciascun partito vi sono state defezioni rispetto alla posizione ufficiale. Secondo il sondaggio di Demos apparso su La Repubblica del 22 dicembre 2016, l’84 per cento degli elettori del Pd, se si dovesse rivotare per il referendum, confermerebbe il “sì”; l’83 per cento di quelli del Movimento 5 Stelle confermerebbe il “no”, così come il 73 per cento di chi vota Lega Nord e il 68 per cento di chi sceglie Forza Italia. In base allo stesso sondaggio, le forze politiche a favore del “sì” avrebbero il 34,7 per cento dei voti e quelle per il “no” il 65,3 per cento.
Ora, tenendo conto dei voti dei partiti e di quanti in ciascun partito si sono espressi per il “no”, il “sì” avrebbe dovuto prendere l’8,25 per cento in più del voto a favore delle forze per il “sì” nel 2013, e cioè il 42,95 per cento, mentre il “no” avrebbe dovuto prendere il 57,05 per cento. I risultati effettivi – 40,89 per cento al “sì” e 59,11 per cento al “no” – sono del tutto coerenti con questi dati e mostrano che la sconfitta del “sì” è stata meno drammatica di quanto si sia detto. In ogni caso, era prevedibile in base ai risultati delle politiche del 2013.
Il disagio sociale, che in qualche modo è approssimato dal tasso di disoccupazione, era già stato allora l’elemento cruciale che aveva determinato l’esplosione di voti per il M5S e l’affermazione del tripolarismo. Il governo Renzi, utilizzando la strategia di un mix di riforme e di stile personalistico del presidente del Consiglio, ha tentato di contrastare questa tendenza. Il risultato delle Europee, con un forte ridimensionamento del M5S ha illuso Renzi e, se da un lato lo ha incoraggiato sulla via delle riforme, dall’altro lo ha spinto a ricercare un successo popolare personale con il referendum costituzionale. L’obiettivo è fallito perché, nonostante un lieve miglioramento nella situazione sociale, non si sono realizzate le aspettative create dal governo Renzi. Giacché è presumibile che le modifiche nei tassi di disoccupazione saranno minime nel breve termine, appare difficile che nelle prossime elezioni si registrino grandi cambiamenti nei rapporti di forza fra i vari schieramenti politici.

Tabella 1

Fonte: Elaborazioni Istituto Cattaneo su dati del ministero degli Interni per i dati elettorali; Istat per i tassi disoccupazione

Fonte: Elaborazioni Istituto Cattaneo su dati del ministero degli Interni per i dati elettorali; Istat per i tassi disoccupazione

Grafico 1

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Come si risolve il problema dei voucher

Rappresentano una piccola quota del reddito e prestazioni che in ogni caso non si tramuterebbero in contratti stabili, ma che semmai non verrebbero commissionate. Dunque anche se si aboliscono i voucher resta la questione di come regolamentare il lavoro accessorio. I possibili tetti all’utilizzo.

Referendum sul Jobs act? Un’arma impropria*

I referendum proposti dalla Cgil su licenziamenti, voucher e appalti devono ancora sottostare all’esame della Corte costituzionale. Ma si può iniziare a ragionare sul loro contenuto e sugli effetti che una ipotetica vittoria dei “sì” provocherebbe sul nostro mercato del lavoro.

Il Punto

Il rialzo dei tassi deciso dalla Fed a dicembre continuerà nel 2017. Guardando la geografia del dollaro si vede che a pagare il conto saranno soprattutto i paesi emergenti. Indebitati in dollari a tassi variabili, vedono svanire in un attimo i benefici sull’export della perdita di valore delle loro valute. Una lezione da ricordare per chi crede nel recupero di sovranità con l’uscita dall’euro.
L’Europa assediata dal rischio terrorismo non può che stringersi intorno ai suoi valori fondanti. Tra questi c’è la parità di genere o – meglio – la minor disparità al mondo: “solo” il 25 per cento. Peccato che l’Italia sia in fondo alla classifica europea, seguita da Austria, Cipro, Grecia e Malta. Da noi le differenze tra uomini e donne nascono nel mercato del lavoro dove, per ridurre i disagi professionali della maternità, servono politiche di conciliazione famiglia-lavoro. Ma il congedo di paternità obbligatorio è stato ora introdotto in via definitiva per appena due giorni.
Quello del 4 dicembre è stato un referendum sulla riforma costituzionale. Ma, come sappiamo, molti hanno espresso con il voto il loro scontento economico e sociale. Lo si vede nelle alte percentuali di “no” nelle aree dove è maggiore il rischio di povertà e minore l’occupazione. Per uscire dal groviglio delle leggi elettorali ora vigenti, ci sarà da trovare un compromesso su una di queste alternative semplificate: il sistema uninominale – che favorisce il bipolarismo – oppure un proporzionale con piccoli collegi che rispecchia meglio l’attuale scenario tripolare.
Milioni di italiani prendono l’autostrada in questi giorni. E molti si chiedono chi fissa le tariffe e come lo fa. È all’Anas che spetta approvare quanto richiesto dai concessionari. Considerando inflazione, qualità del servizio, investimenti fatti. Parametri di giudizio certi, valutati con tanta discrezionalità e poca trasparenza.

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Referendum sulla riforma costituzionale

Titolo V e clima: a qualcuno piace caldo

La fragilità del territorio italiano rende cruciale l’adattamento ai cambiamenti climatici. Già le risorse, per lo più fondi europei, non sono sufficienti. Ma il vero problema è la frammentazione degli interventi. Perché per il Titolo V Stato e Regioni hanno poteri legislativi concorrenti sul tema.

Il Punto

La valanga di no alla riforma costituzionale è stata subito digerita dai mercati anche se apre scenari politici da definire. Se si vota, ci aspetta il Porcellum corretto dalla Consulta per il Senato e l’Italicum in attesa di giudizio da parte della stessa Corte per la Camera. Oppure un bel proporzionale come si usava nella prima Repubblica. Quale che sia il nuovo assetto che nascerà dalle ceneri del governo Renzi, si troverà sul tavolo la patata bollente del dossier banche, con alcuni casi che rischiano di diventare esplosivi. Anche in Gran Bretagna, a quasi sei mesi dalla Brexit, non sono chiare le modalità di uscita del paese dalla Ue, con il governo che un giorno mostra i muscoli e il giorno dopo cerca un distacco morbido. L’opposizione laburista, non pervenuta. E qualche scricchiolio nell’economia. Brexit, vittoria di Trump in Usa e ora il il trionfo del no nel referendum italiano rafforzano le spinte anti-establishment e ridanno fiato a chi vuole uscire dall’euro. Una scelta guidata dal miraggio dell’autonomia politica, con il rischio di gravi conseguenze sul portafoglio degli italiani e sul sistema finanziario. E come escono i sondaggisti dalla prova del referendum italiano dopo i clamorosi errori nel Regno Unito e in America? Hanno azzeccato il risultato, ma ampiamente sottostimato l’entità dei “no”. Con qualche giustificazione plausibile.
Nel rinnovo del contratto dei metalmeccanici – appena concluso – è solo tracciata una proposta innovativa messa sul tavolo da Federmeccanica: il salario di garanzia. È uno strumento che rafforzerebbe la contrattazione a livello aziendale. E un utile punto di riferimento per le future trattative sindacali.
Quale eredità economica lascia Fidel Castro? Confrontando Cuba con altri paesi latino-americani ad essa comparabili come Uruguay e Repubblica Dominicana dal 1990 (prima non ci sono i dati), si vede un soddisfacente andamento del Pil mentre dal 2010 si sono fermati proprio quegli indicatori di sviluppo umano tanto cari al Lìder Maximo.

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