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Gelata di inizio anno sull’industria

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In gennaio la produzione industriale è andata male: -2,3 per cento rispetto al dato di dicembre 2016, con un piccolo ritorno al segno meno (mezzo punto percentuale) rispetto al dato di gennaio 2016 (che era stato particolarmente positivo). I brutti dati di gennaio arrivano dopo i bei dati di dicembre (+1,4 per cento su novembre; +5,8 sul dicembre 2015) che avevano rassicurato sulla solidità della ripresa in atto.
I dati mensili – si sa – sono volatili e possono risentire di elementi casuali. Ad attirare l’attenzione infatti non dovrebbero essere i crolli o i boom mensili ma la debole dinamica di più lungo terminedell’industria durante l’attuale ripresa. Il grafico indica con altrettante frecce la ripresa industriale di oggi e quella di tre analoghi episodi di ripresa del passato: a fine anni novanta, a metà anni duemila e dopo la grande recessione del 2008-09. I numeri sono chiari. Tra il minimo del maggio 1999 e il massimo del dicembre 2000, la produzione industriale salì del 10,3 per cento (dunque a un passo del 6,5 per cento su base annua). Nella ripresa della stessa durata (19 mesi) tra il minimo di maggio 2005 e il massimo di dicembre 2006 si registrò un +9,3 per cento, corrispondente a un dato annuo del 5,9 per cento. Nei 25 mesi (compresi tra il marzo 2009 e l’aprile 2011) arriva la ripresa dopo la Grande Recessione. Uno squillante +14,8 per cento, corrispondente a un +7,1 per cento annuo. Ma in questo caso, la caduta durante la recessione fu particolarmente marcata.
In ogni caso, i numeri della ripresa in corso impallidiscono rispetto alle riprese del passato. Dal minimo dell’ottobre 2014 al gennaio 2017 la produzione industriale è risalita di un magro 4 per cento (+1,8 per cento annuo). E anche prendendo il mese di dicembre 2016 come raffronto, viene fuori un +6,4 per cento.
Sono numeri che fotografano una situazione di difficoltà complessiva dell’industria italiana che sembra non avere fine. Quelli che ce la fanno spesso riescono molto bene e in mercati esteri. Ma, dicono i dati, sono troppo pochi.

 

I rischi del nuovo protezionismo americano

Apertura economica e commercio internazionale sono stati al centro della campagna elettorale Usa. E saranno temi importanti anche nell’Europa del 2017. Il protezionismo è oggi un’opzione politica allettante. Ma oltre a creare danni all’economia mondiale potrebbe alimentare tensioni geopolitiche.

La crescita nel 2017? Dipende da Trump, dalla Brexit e da Fca

Donald Trump e Theresa May sono obbligati a crescere. Per questo, nell’immediato, il maggiore interscambio dovuto alle loro politiche potrebbe favorire anche la crescita europea. Sul più lungo termine, tutto dipenderà da come reagiranno le multinazionali alla nuova situazione internazionale.

Perché le città cinesi traineranno la crescita globale

Nelle aree metropolitane si concentra una quota molto alta della ricchezza totale e dell’innovazione radicale. Ma se nel 2007 a produrre la metà del Pil mondiale erano le città occidentali, già nel 2025 saranno protagoniste quelle cinesi. L’attenzione di Pechino alle politiche di urbanizzazione.

Per la crescita ripartire dalle risorse umane

L’Italia è cresciuta ben poco negli ultimi venti anni. Tra le tante cause, è rimasta in secondo piano la questione di come gli imprenditori italiani selezionano e gestiscono le risorse umane. La meritocrazia latita, nel settore pubblico e in quello privato. Inutile intervenire solo sulla scuola.

Il governo verso un’inutile manovrina

Il governo arriva in difficoltà alla legge di bilancio 2017, per la scomparsa della crescita economica e le troppe promesse degli ultimi mesi. Si prefigura una manovrina che servirà davvero a poco per il rilancio del paese. Gli incentivi vanno alle imprese mentre i consumi languono.

Cosa fare se la crescita rallenta

Nel primo semestre 2016 i consumi rallentano, mentre prosegue l’aumento della produzione industriale. Per rilanciare subito la crescita si comincia riducendo il carico fiscale sui consumatori, non quello sulle imprese. E c’è da riaprire il cantiere delle riforme che servono. Completando la riforma della Pa.

Crescita del Sud: una rondine non fa primavera

I dati 2015 per il Mezzogiorno sono incoraggianti. Si tratta di un segnale positivo, ma è difficile credere che sia una svolta. Poco è cambiato nella società meridionale e nelle politiche per lo sviluppo di quelle aree. Necessari interventi coraggiosi che arrestino la fuga delle risorse migliori.

Il Punto

Appena insediato, il neo-ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ha chiamato Enrico Bondi per dipanare l’intrico di grandi e piccoli sprechi, competenze e funzioni del suo ministero. Il solito rischio è che le proposte di tagli di spesa e di razionalizzazione degli incentivi alle imprese rimangano nel cassetto. Mentre anche il governatore Visco nelle sue Considerazioni finali chiede un taglio del cuneo fiscale, l’imperativo è far crescere le micro imprese e le piccole, che sono tante, impiegano tanti lavoratori ma non investono e sono quindi poco produttive. E anche sciogliere lacci e laccioli che frenano le grandi. Di crescita locale, banche e innovazione si parlerà – anche in forum promossi da lavoce.info – al Festival dell’Economia di Trento dal 2 al 5 giugno.
Torna il segno più nelle immatricolazioni alle università italiane e nel numero di laureati, mentre calano gli abbandoni. Ma siamo ancora terzultimi nell’Europa a 27. Una svolta (lenta) verrà dai miglioramenti di gestione del sistema di istruzione, da più natalità e dall’inclusione degli immigrati nella scuola e negli atenei.
Inesorabile il declino delle pratiche religiose in Italia. Frequenta i luoghi di culto il 29 per cento dei residenti, contro il 39,7 di vent’anni fa. Sono soprattutto bambini e anziani. Né l’invecchiamento della popolazione né l’arrivo degli immigrati e neppure papa Francesco hanno arrestato la secolarizzazione.
È più facile per le banche pignorare e vendere le case di chi non paga il mutuo da 18 mesi. Lo stabilisce un decreto legislativo che, però, sarà opportuno temperare in fase di attuazione precisando l’inizio della morosità, le regole per vendere l’immobile al meglio e la protezione di chi ha un basso debito residuo.
Alla norma di legge che definisce gli amministratori indipendenti nei cda delle società si possono dare interpretazioni lasche o restrittive. Entrambe da evitare. Meglio guardare alla sostanza della “indipendenza”.

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Crescita: piccolo è brutto, ma a volte conviene

Perché la ripresa dell’economia italiana resta anemica? Si può accusare la piccola dimensione delle imprese, che ostacola gli investimenti e l’innovazione. Ma a determinare la competitività è il confronto tra produttività e costi. E questi ultimi per le grandi aziende sono di gran lunga più alti.

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