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L’età della pensione

In Italia la prima rata di pensione arriva in media intorno ai 56,8 anni per gli uomini e 57,1 per le donne. I confronti internazionali mostrano che siano tra i paesi con l’età di uscita dal mondo del lavoro più bassa, addirittura al primo posto fra gli stati europei considerati. Vogliamo aumentare ancora questo divario? Senza prendere decisioni estreme, forse non sarebbe così sbagliato cercare almeno di allinearci alla media europea.

Pensioni contributive: come garantire la corrispettività

Aggiornare annualmente i coefficienti di conversione, come in Svezia, è il minimo che si possa fare per garantire il principio di corrispettività. Occorrono però ulteriori correttivi senza i quali i coefficienti resterebbero sopravvalutati. Per gli errori che derivano dal ritardo con cui sono approntate le tavole di sopravvivenza e dagli assestamenti cui sono soggette, le soluzioni sono da ricercare in collaborazione con l’Istat. L’errore da calcolo backward looking si elimina solo prevedendo in modo attendibile la sopravvivenza di ogni coorte.

Dove andrà il tfr maturando

Quanto andrà al Tesoro, quanto ai fondi pensione e quanto rimarrà alle (piccole) imprese del Tfr maturando? Le disposizioni introdotte dalla Finanziaria sono entrate in vigore da pochi giorni e si può fare una valida stima sulla destinazione che prenderanno i flussi di Tfr nei prossimi due anni. Ma molto dipende dalla campagna informativa a favore della previdenza complementare: se dovesse risultare particolarmente efficace (passaparola e canali sindacali), la quota intercettata dai fondi pensione potrebbe essere più elevata, soprattutto a scapito del Tesoro.

Chi vuole mandare le donne in pensione più tardi

L’ipotesi di elevare l’età della pensione di vecchiaia delle donne è osteggiata dai sindacati, ma vale la pena fare alcune considerazioni. Portarla gradualmente a 62-63 anni, in cambio di un ripristino della pensione di anzianità a 57 anni avvantaggerebbe solo una minoranza. Infatti le lavoratrici per lo più non riescono a maturare i 35 anni di contribuzione e accedono al trattamento di vecchiaia. Senza innalzare i limiti dell’anzianità, dunque, si determinerebbe il paradosso per cui gli uomini andrebbero in pensione a 57-58 anni (potendo raggiungere, entro quella soglia, i requisiti contributivi), mentre le donne dovrebbero attendere i 62-63.

Meno risorse per l’accumulazione

Il nuovo fondo del Tfr per le imprese con più di cinquanta addetti istituito presso l’Inps agirà con regole basate sul principio della ripartizione. Non darà luogo ad accumulazione, ma sarà immediatamente destinato ad aumentare alcune voci di spesa pubblica. Il passaggio dal regime attuale al nuovo riduce lo stock di capitale privato dell’economia, senza garanzia che quello pubblico aumenti in eguale misura. Ma la capacità di accumulazione di capitale è condizione essenziale per la crescita: la riforma si trasformerà in un ulteriore elemento di freno?

La disinformazione nuoce al futuro pensionato

La scelta sul Tfr rappresenta non solo un’occasione per promuovere la crescita della previdenza complementare, ma anche per informare i lavoratori sui temi della previdenza e del risparmio. Ed elevare il loro livello di informazione finanziaria. Sarà opportuno che l’informativa dei datori di lavoro sia accompagnata da una specifica campagna perché ciascun lavoratore sia messo in condizione di conoscere la propria posizione previdenziale, come previsto dalla riforma Dini. Permettendo così di valutare le diverse opzioni finanziarie.

Casse senza soldi

Hanno risultati gestionali di breve termine generalmente buoni, ma le valutazioni di lungo periodo non annunciano un futuro roseo per le casse previdenziali dei liberi professionisti. La cura più efficace rimane il passaggio al metodo contributivo. E nessuna ha finora cercato di correggere il difetto della scarsa diversificazione del rischio. Dovrebbero essere le giovani generazioni, sulle quali maggiormente peserà l’onere delle attuali promesse, a invocare le soluzioni più lungimiranti, in grado di tutelare i loro interessi pensionistici.

E la previdenza cade sul “pilastrino”

FondInps si configura come un “pilastrino” pubblico aggiuntivo con tre peculiarità: riguarda solo una parte dei lavoratori dipendenti; ha un patrimonio instabile data l’elevata liquidità del Tfr; prevede la liquidazione dell’intero montante capitalizzato al momento dell’uscita dal lavoro. Se poi fosse solo temporaneo, si sarebbero alterati gli assetti strutturali del sistema per dare opaca soluzione a un problema congiunturale di bilancio. Mentre la completa eliminazione del rischio finanziario minaccia la convenienza stessa della previdenza complementare.

Pensioni, la riforma infinita

E’ mancata una vera campagna informativa sui cambiamenti, prima di tutto culturali, conseguenti al passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo. Evidente poi la contraddittorietà del provvedimento sul Tfr. L’obiettivo dello sviluppo della previdenza complementare è incompatibile con quello di far affluire risorse finanziarie allo Stato. E si avverte un indebolimento delle strutture portanti del processo di riforma. Ma se si aprono più problemi di quanti se ne risolvano, questo non sarà l’ultimo intervento sul sistema previdenziale.

Quei due fondi tra il Tfr e la previdenza privata

Sulla scorta dei dati, la questione dello smobilizzo del Tfr può essere rivista in termini meno allarmisti e paternalistici per i bilanci delle micro e piccole imprese. L’avvio dei pilastri privati richiede scelte più coraggiose. A partire dalla rinuncia al fondo-infrastrutture e al fondo di garanzia. Per creare invece una cultura previdenziale, che sia anche tutela della effettiva libertà di scelta del lavoratore. E per realizzare le riforme strutturali che davvero aiutano le Pmi perché incidono sull’efficienza e sulla qualità dell’ambiente in cui vivono.

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