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COSÌ CAMBIA IL CONTENZIOSO DEL LAVORO

Il Senato ha approvato definitivamente il disegno di legge 1167-B. Per favorire la composizione stragiudiziale delle controversie di lavoro, introduce all’articolo 31 una pluralità di rimedi, facoltativi e volontari, alternativi al ricorso al giudice del lavoro e rafforza le competenze delle commissioni di certificazione. Ma le nuove disposizioni riguardano anche numerosi altri aspetti. Ecco una scheda ragionata per capire meglio le nuove regole e gli interventi a conclusione della discussione in Senato del rappresentante della maggioranza, il senatore Giuliano e del rappresentante dell’opposizione, il senatore Ichino.

LA CORTE COSTITUZIONALE, UN MODELLO PER L’UNIVERSITÀ

Come ridefinire l’assetto di governance degli atenei, evitando l’autoreferenzialità, ma garantendone l’autonomia? Un modello possibile è quello della Corte costituzionale. La nomina dei membri del consiglio di amministrazione sarebbe così affidata a soggetti diversi, ciascuno dei quali non sceglierebbe più di un terzo dei componenti. Ricordando che la gestione quotidiana dell’ateneo è affidata al rettore, mentre il ruolo del Cda è quello di fornire una guida strategica e una supervisione indipendente dell’operato degli altri organi di governo interni.

REGIONI A CONFRONTO

Pubblichiamo una serie di tabelle con i dati dei principali indicatori economici delle regioni in cui si voterà il 28-29 marzo. Alcuni sono dati economici di contesto, altri sono relativi a materie in cui le regioni hanno specifiche competenze e un ruolo diretto. Raffrontando le regioni tra loro e rispetto alle medie nazionali, i lettori possono farsi un’idea dello sviluppo economico e civile raggiunto nei diversi territori, nonché della qualità dei loro governi. Saremo grati ai lettori che ci segnaleranno altre eventuali fonti di informazioni statistiche per completare questo panorama.

L’utilizzo di colori diversi dal rosso e verde è dovuto dal fatto che l’aumento o la diminuzione della spesasanitaria corrente procapite non può esprimere di per sé una performance positiva o negativa se non vieneconfrontata con il livello qualitativo del servizio.

L’utilizzo di colori diversi dal rosso e verde è dovuto al fatto che l’aumento o la diminuzione della dotazionedi posti letto per 100.000 abitanti non può esprimere di per sé una performance positiva o negativa se non èesaminata rispetto al parametro nazionale di riferimento (450 posti letto) e alla sua composizione tra postiletto per acuti e per post acuti (distinzione non disponibile per il 2008 per regione).

L’indice Case Mix esprime la complessità dei casi trattati dall’unità operativa/ospedale in rapporto allacomplessità media dell’insieme delle unità operative/ospedali italiani. Valori superiori all’unità indicano unacomplessità della casistica superiore a quella di riferimento.

Note: Oltre a coloro che hanno conseguito il diploma di scuola media inferiore sono inclusi anche coloro che hanno conseguito la qualifica professionale e il diploma di scuola media superiore, nella fascia di età 15-19 anni.

Note: Gli abbandoni calcolati sono relativi agli studenti che interrompono la frequenza scolastica e non si iscrivono all’anno scolastico successivo. Dall’anno scolastico 1998-99 non sono considerati nel calcolo (cfr  ISTAT, ARGOMENTI 1/1996), in quanto non disponibili, gli studenti esterni promossi agli scrutini di fine anno e ammessi alla frequenza del terzo anno; ciò determina una sottostima del fenomeno.
Per gli anni scolastici 1998-99 e 1999-00 gli indicatori non sono confrontabili con quelli relativi agli anni precedenti e successivi. Ciò è dovuto ad una signifcativa incidenza di mancate risposte da parte delle scuole nel corso dell’indagine svolta dal Mpi.
I dati relativi agli a.s. 2000-01 e 2001-02 sono stati recentemente aggiornati e revisionati dal Mpi, attuale Ministero della pubblica istruzione mentre l’Istat ha rivisto i dati dall’a.s. 1994-95 all’a.s. 1996-97.
Si fa presente che le interruzioni di frequenza possono risultare in numero negativo per effetto della mobilità territoriale in entrata e in uscita (vedi il caso di Bolzano).
Dall’anno scolastico 2006/07 per la provincia autonoma di Bolzano i valori indicati comprendono gli iscritti alle prime e seconde classi delle scuole professionali riconosciute per l’adempimento dell’obbligo di istruzione (Legge Finanziaria 2007, comma 623).

Note: Questo indicatore, pur conservando lo stesso nome e numerazione, si differenzia da quello precedentemente diffuso per aver innalzato la soglia di formazione da 6 mesi e due anni.
Analogamente alla metodologia utilizzata da Eurostat, sono esclusi i militari di leva. Tuttavia la definizione utilizzata si discosta leggermente da quella utilizzata da Eurostat per gli "early school leavers" in quanto la soglia della durata dei corsi di formazione professionale è stata innalzata da 6 mesi a 2 anni.
Sono esclusi anche i casi in cui non è possible ricostruire l’informazione in quanto le informazioni sottostanti sono mancanti (ad es. l’aver partecipato o meno ad un corso scolastico o di formazione). Si tratta, a livello nazionale, di circa 18.000 casi per il 2004 e di circa 35.000 casi per il 2005.

Note: Gli aggregati di contabilità nazionale utilizzati nella tavola sostituiscono integralmente i precedenti in quanto risultato di una complessa revisione metodologica e definitoria che ha riguardato tutti gli aggregati di contabilità nazionale. Gli utenti interessati alle serie storiche 1995-1999, calcolate secondo la vecchia metodologia, possono farne richiesta all’indirizzo infoterr@istat.it.

Note: Sulla base dei dati definitivi del Censimento Popolazione 2001 sono stati ricalcolati i pesi di riporto all’universo e pertanto, a partire dal 2001, i dati assoluti hanno subito una revisione.
Anteriormente al 1997, la domanda non era contenuta nell’indagine di riferimento.
Nell’anno 2004 l’Indagine Multiscopo ha subito lo spostamento del periodo di rilevazione da novembre a gennaio-febbraio 2005 (Regolamento Europeo N° 808/2004). Pertanto, i dati dell’anno 2004 non saranno disponibili.

Note: Il debito delle Amministrazioni locali consiste nell’insieme delle passività finanziarie del settore valutate al valore facciale di emissione. Esso è consolidato tra e nei sottosettori, in linea con la definizione adottata ai fini della Procedura per i disavanzi eccessivi dell’Unione economica e monetaria europea.
L’aggregato è calcolato in coerenza con i criteri metodologici definiti nel Regolamento del Consiglio delle Comunità europee n. 3605/93, sommando le passività finanziarie afferenti le seguenti categorie: monete e depositi, titoli diversi dalle azioni, prestiti. Le altre passività includono principalmente le operazioni di cartolarizzazione considerate come prestito secondo i criteri indicati dall’Eurostat." 

Note: Sono state considerate come rinnovabili la fonte eolica, fotovoltaica e biomasse (inclusa la parte dei rifiuti non biodegradabili). Produzione totale lorda. Questa è la somma delle quantità di energia elettrica prodotte  inclusa la quantità di energia elettrica destinata ai servizi ausiliari della produzione (servizi ausiliari di centrale e perdite nei trasformatori di centrale).

Note:Per rifiuti urbani si intende: rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione; rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui al punto precedente, assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità; rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade; rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade  ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua; rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali;rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli precedentemente descritti.

Note:Per interruzioni accidentali lunghe si intendono quelle senza preavviso superiori ai tre minuti.
A marzo 2005 l’indicatore è stato ricostruito, a partire dall’anno 1998, in base ai nuovi criteri che Enel-Distribuzione ha apportato alla propria metodologia di registrazione del numero di clienti coinvolti in ciascuna interruzione.
I dati hanno subito una revisione della serie storica dal 1998 al 2003 e sono stati pubblicati sul sito dell’autorità dell’energia elettrica e gas.

Note:Sulla base dei dati definitivi del Censimento Popolazione 2001 sono stati ricalcolati i pesi di riporto all’universo e pertanto, a partire dal 2001, i dati assoluti hanno subito una revisione. Per gli altri anni è stata fatta una revisione generale dei dati di base che può aver dato luogo ad alcune variazioni.

Note: Gli abitanti equivalenti totali urbani di una regione sono stati calcolati dall’Istat come somma di popolazione residente, popolazione presente non residente, popolazione in case sparse (in sottrazione), lavoratori e studenti pendolari, posti letto di alberghi, campeggi e alloggi per turisti, abitanti in seconde case (non destinate a turisti), ristoranti e bar e micro industria.
E’ stata rivista la serie storica.
Il depuratore ubicato in Contrata Padula a Montenero di Bisaccia (Cb) che risulta essere prevalentemente a servizio della regione Abruzzo (Vasto e San Salvo) e in minima parte a servizio della regione Molise (Marina di Montenero di Bisaccia), è stato conteggiato, nel calcolo dell’indicatore,in Molise, regione  di ubicazione. Per considerare tale depuratore nella regione Abruzzo, che lo utilizza effettivamente, si deve tener conto che esso contribuisce alla depurazione di 74.653 abitanti equivalenti di cui 26.200 industriali e 48.453 civili.

Note:Si considera verde urbano il patrimonio di aree verdi gestito (direttamente od indirettamente) da enti pubblici (comune, provincia, regione, stato) esistente nel territorio comunale. I dati si riferiscono ai 111 capoluoghi di provincia a partire dal 2000.
I cambiamenti intervenuti nella serie storica 2000-2007 sono da attribuire principalmente all’integrazione di dati, precedentemente non  comunicati dai soggetti rispondenti, relativi ad aree verdi appartenenti a riserve naturali ed aree protette e al patrimonio verde gestito (direttamente o indirettamente) da enti pubblici (comune, provincia, regione e stato). Si fa presente inoltre che alcuni valori degli indicatori relativi ai comuni capoluogo provengono da dati stimati. Tali integrazioni e modifiche hanno comportato una variazione dei dati relativi al verde urbano diffusi precedentemente al 2007.

Note:Le linee urbane di trasporto pubblico includono autobus, tram, filobus, metropolitana e funicolari.
Si fa presente che alcuni valori degli indicatori relativi ai comuni capoluogo provengono da dati stimati.
Per i comuni di Catanzaro, Cosenza e Crotone il dato relativo alle reti di trasporto pubblico 2000-06 è in attesa di conferma.

Note:La popolazione di riferimento sono gli occupati di 15 anni e più, gli studenti fino a 34 anni e gli scolari di scuola materna che sono usciti di casa per recarsi al lavoro, università e scuola.
Sono considerati mezzi pubblici: treno, tram, bus, metropolitane, pullman e corriere. Sono stati esclusi i pullman e le navette aziendali.
Sulla base dei dati definitivi del Censimento Popolazione 2001 sono stati ricalcolati i pesi di riporto all’universo e pertanto, a partire dal 2001, i dati assoluti hanno subito una revisione. Per gli altri anni è stata fatta una revisione generale dei dati di base che può aver dato luogo a delle variazioni.
Nell’anno 2004 l’Indagine Multiscopo ha subito lo spostamento del periodo di rilevazione da novembre a gennaio-febbraio 2005 (Regolamento Europeo N° 808/2004). Pertanto, i dati dell’anno 2004 non saranno disponibili.

Note: Media delle persone che si dichiarano soddisfatte delle sette diverse caratteristiche del servizio rilevate (frequenza corse, puntualità, possibilità di trovare posto a sedere, pulizia delle vetture, comodità degli orari, costo del biglietto, informazioni sul servizio) sul totale degli utenti del servizio.
Sulla base dei dati definitivi del Censimento Popolazione 2001 sono stati ricalcolati i pesi di riporto all’universo e pertanto, a partire dal 2001, i dati assoluti hanno subito una revisione. Per gli altri anni è stata fatta una revisione generale dei dati di base che può aver dato luogo a delle variazioni.
Nell’anno 2004 l’Indagine Multiscopo ha subito lo spostamento del periodo di rilevazione da novembre a gennaio-febbraio 2005 (Regolamento Europeo N° 808/2004). Pertanto, i dati dell’anno 2004 non saranno disponibili.

Note: Media delle merci in ingresso ed in uscita. Fino all’anno 1998 la fonte dei dati è il Conto nazionale dei trasporti.
A partire dall’anno 2000 i dati sono di fonte Trenitalia spa. I dati relativi agli archivi della Provincia di Perugia non sono attendibili.

Note: Comprende, secondo le nuove definizioni del sistema informativo del Ministero dell’Interno: furto con strappo, furto con destrezza, furti in uffici pubblici, in esercizi commerciali, in appartamenti, su auto in sosta, di opere d’arte e materiale archeologico, di merci su automezzi pesanti, di autoveicoli, ciclomotori e motocili, rapine in abitazioni.
I dati statistici in materia di delittuosità sono desunti dal Sistema d’Indagine (SDI) del CED Interforze del Ministero dell’Interno. Essi comprendono i delitti commessi e denunciati all’A.G. dalle cinque principali forze di Polizia (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo Forestale dello Stato , Polizia Penitenziaria), nonché da altri organismi (DIA, Polizia Municipale, Polizia Provinciale, Guardia Costiera) obbligati all’alimentazione del sistema. Ciò posto è utile precisare che il totale delle informazioni riferite a ciascuno degli ambiti territoriali considerati dal Sistema (comuni, province, regioni e totale nazionale) può non coincidere con il dato di sintesi riferito al livello immediatamente superiore (ad esempio: la somma dei dati provinciali può differire dal dato riferito all’intera regione, ecc.). Ciò si verifica perché i "delitti commessi" non localizzabili in un determinato ambito territoriale (comune, provincia, regione) sono rilevati dal sistema al più ampio livello  nel quale è possibile collocarli (provincia, regione, stato).

Per il 2004 e 2005 l’Istat diffonde i delitti in forma aggregata.  Pertanto, in relazione all’indicatore si considera, per questi anni, solo la voce Furto in quanto non è disponibile il dato disaggregato delle Rapine.

Note:Comprende, secondo le nuove definizioni del sistema informativo del Ministero dell’Interno: furto con strappo, furto con destrezza, furti in uffici pubblici, in esercizi commerciali, in appartamenti, su auto in sosta, di opere   d’arte e materiale archeologico, di merci su automezzi pesanti, di autoveicoli, ciclomotori e motocicli, rapine in abitazioni.
I dati statistici in materia di delittuosità sono desunti dal Sistema d’Indagine (SDI) del CED Interforze del Ministero dell’Interno. Essi comprendono i delitti commessi e denunciati all’A.G. dalle cinque principali forze di Polizia (Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo Forestale dello Stato, Polizia Penitenziaria), nonché da altri organismi (DIA, Polizia Municipale, Polizia Provinciale, Guardia Costiera) obbligati all’alimentazione del sistema. Ciò posto è utile precisare che il totale delle informazioni riferite a ciascuno degli ambiti territoriali considerati dal Sistema (comuni, province, regioni e totale nazionale) può non coincidere con il dato di sintesi riferito al livello immediatamente superiore (ad esempio: la somma dei dati provinciali può differire dal dato riferito all’intera regione, ecc.). Ciò si verifica perché i "delitti commessi" non localizzabili in un determinato ambito territoriale (comune, provincia, regione) sono rilevati dal sistema al più ampio livello nel quale è possibile collocarli (provincia, regione, stato).
Per il 2004 e 2005 l’Istat diffonde i delitti in forma aggregata.  Pertanto, in relazione all’indicatore si considera, per questi anni, solo la voce Furto in quanto non è disponibile il dato disaggregato delle Rapine.

Fonte: Istat, Eurostat – elaborazione dati Davide Baldi e Ludovico Poggi.

FONDO MONETARIO EUROPEO: DI COSA PARLIAMO

Qual è la proposta?

L’idea trae origine da un paper pubblicato il mese scorso da Daniel Gros e Thomas Mayer. E consiste nel creare un’istituzione con il principale obiettivo di erogare prestito ai 16 paesi dell’Unione allorché uno dei paesi membri incorra in una crisi come quella Greca. In caso di crisi, un paese potrebbe richiedere al Fondo prestiti fino a raggiungere la somma pagata che ha versato sino a quel momento, a patto che le sue politiche di bilancio siano state approvate dagli altri membri della zona euro. Aiuti superiori a quell’importo comporterebbero un piano di adeguamento di bilancio sotto la supervisione delle autorità europee. Compito del fondo sarebbe istituire una cornice di regole per gestire in modo ordinato le crisi di debito disinnescando panico e rischio di contagio.

Come verrebbe finanziato?

L’Fme sarebbe finanziato dai paesi che non rispettano i limiti di Maastricht su deficit e debito e fornirebbe a un paese in difficoltà garanzie sul proprio debito a fronte di pensanti sanzioni (esclusione dai fondi strutturati, non eleggibilità del proprio debito come collaterale per il finanziamento della Bce, e in casi estremi, esclusione dall’Unione e dall’euro). Secondo Gros e Meyer se un fondo di questo tipo fosse stato introdotto con l’euro nel 1999, sarebbero stati accumulati fino a oggi 120 miliardi di euro – una cifra sufficiente per salvare un paese membro anche di medie dimensioni.

Avrebbe solo funzioni di salvataggio?

No. Avrebbe anche una importante funzione stabilizzatrice perché, finanziandosi con prelievi sui paesi che violano le norme di bilancio dell’Unione si aumenterebbe l’incentivo a rispettarle. Le istituzioni dell’Unione si doterebbero di uno strumento di  maggiore potere per punire i “bricconi” fiscali.

Che differenza col fondo monetario internazionale?

L’Fme avrebbe le stesse funzioni e modalità di intervento dell’Fmi, ma inoltre stabilirebbe le procedure da seguire in caso di default (anche parziale) di uno stato, cosa che il Fondo Monetario internazionale non fa.

E’ applicabile alla Grecia?

No. è un progetto che richiede tempi di non rapida attuazione.

QUANTI RISCHI NELLE TAPPE INTERMEDIE

Come nei viaggi aerei, anche nella finanza i rischi aumentano con il numero di tappe intermedie previste, ovvero i livelli contrattuali che si frappongono fra un titolo e l’attività economica che ne è alla base. Al rating di uno strumento finanziario dovrebbe perciò affiancarsi un indice di vulnerabilità sistemica. Perché, come ci ha insegnato la recente crisi, le tempeste finanziarie possono diventare molto velocemente sistemiche. E i risparmiatori devono sapere se hanno scelto un “mezzo di investimento” pericoloso in caso di turbolenze.

LACRIME E SANGUE PER LA GRECIA. MA NON BASTA

Anche ammesso che il governo Papandreu riesca a ridurre la spesa complessiva al ritmo di 2,5 punti di Pil all’anno, la Grecia dovrà rimanere a lungo sotto la tutela dell’Europa, non basteranno le misure tampone. Per questo è positivo che si pensi alla creazione di un Fondo monetario europeo. Ma la vera questione posta dalla vicenda greca è che se l’Europa non saprà esprimere adeguate istituzioni e strumenti, difficilmente l’euro sopravvivrà alle prossime crisi.

COSA POSSONO DAVVERO FARE GLI ASILI PER LE DONNE

Le donne bolognesi in età lavorativa guadagnano dal 25 al 76 per cento in meno dei loro concittadini maschi, a seconda della fascia d’età (si veda il grafico sotto). Lo afferma una ricerca condotta dal Dipartimento di Programmazione del Comune di Bologna sui redditi Irpef dei cittadini di questa città, presentata recentemente all’Istituto Gramsci.
Questo risultato dovrebbe far riflettere chi ritiene che la fornitura pubblica di servizi sociali alle famiglie, in particolare di asili nido, sia la panacea che può consentire alle donne di avere le stesse opportunità lavorative degli uomini, soprattutto le stesse retribuzioni e le stesse possibilità di carriera.

Bologna è forse la città italiana che ha la maggiore densità di asili nido e che offre i migliori servizi sociali alle famiglie (210 milioni di euro spesi dal Comune, ossia ben il 40 per cento delle sue spese correnti secondo la stessa ricerca). Tutta l’Emilia Romagna, in realtà, primeggia in questa classifica, come ci hanno recentemente ricordato Daniela Del Boca e Alessandro Rosina e nel loro libro "Famiglie Sole"(Il Mulino, 2009). Proprio grazie a questi servizi, sostengono Del Boca e Rosina, i tassi di fecondità e di partecipazione al lavoro delle donne sono relativamente alti e crescenti in Emilia Romagna mentre sono bassi e decrescono in Campania, dove i servizi sociali alle famiglie scarseggiano e sono di bassa qualità.
È possibile che asili e servizi alle famiglie siano un fattore importante per facilitare una maggiore partecipazione delle donne al lavoro e una maggiore fecondità, anche se chi sostiene questa idea dovrebbe spiegare come mai la fecondità e l’offerta femminile di lavoro siano più alte in paesi dove questi servizi sono praticamente assenti. Ma alla luce dei dati sulle differenze di reddito tra donne e uomini a Bologna, è almeno altrettanto evidente che gli asili possono al massimo essere una palliativo per i sintomi della malattia, non la terapia che ne risolve le cause.

MA LE DONNE LAVORANO DI PIÙ

E questo perché la vera origine del problema sta nel modo in cui i compiti familiari sono allocati tra donne e uomini all’interno delle famiglie. Questa è la tesi che insieme ad Alberto Alesina ho proposto nel libro "L’Italia fatta in casa" (Mondadori, 2009). Finché le donne italiane lavoreranno in totale 80 minuti in più degli uomini (sommando il lavoro casalingo a quello retribuito) e soprattutto finché saranno loro ad essere sempre "on duty" per la famiglia anche nei momenti in cui lavorano fuori casa, esse non potranno esprimere nel lavoro retribuito la stess energia e la stessa produttività degli uomini. Possiamo costruire tutti gli asili che vogliamo, ma non vedremo grandi risultati se sarà sempre la madre a "staccare" comunque alle 16.00, qualsiasi cosa succeda in ufficio, per riportare a casa i figli. Oppure se sarà sempre lei a farsi carico di trovare una soluzione quando l’asilo rifiuta i figli perché ammalati. E gli esempi potrebbero continuare, considerando molti altri compiti familiari, dalla lavatrice rotta che allaga la casa ai nonni anziani da accudire.
Forse costruire asili a spese del contribuente può essere una buona idea per altri motivi, ma sembra difficile sostenere che questo intervento possa risolvere in modo significativo il problema degli squilibri di genere e i dati di Bologna supportano questa tesi. Se veramente gli italiani ritengono che gli squilibri di genere siano un problema, allora bisogna intervenire sul modo in cui i compiti familiari sono divisi tra uomini e donne. Ad esempio riducendo le tasse sul lavoro femminile come da noi proposto.Ma anche se i motivi per auspicare la costruzione di asili nido pubblici fossero altri (diversi dalla equiparazione delle differenze di genere), bisognerebbe comunque valutare se essi giustifichino l’onere imposto ai contribuenti, in particolare quelli che figli non ne hanno. Per quale motivo, infatti, chi non ha figli dovrebbe finanziare chi ha liberamente scelto di averne? Io ad esempio ne ho quattro e non vedo motivi per cui la società debba farsi carico di questo.
Ammesso e non concesso che gli asili nido pubblici favoriscano la fecondità (che come detto sopra è maggiore della nostra anche in paesi in cui lo stato non offre questi servizi), siamo proprio sicuri che in Italia sia una buona idea incrementare la popolazione, già crescente per via dell’immigrazione? La densità in Italia è di 195 persone per chilometro quadrato contro 32 della media europea. Forse gli italiani ricominceranno a fare figli, senza incentivi pubblici, quando l’onda dei 50enni prodotta dal "baby-boom" sarà passata.
Si sente anche dire a volte, soprattutto in ambienti di sinistra, che faccia bene ai bambini stare in asilo nido fin da subito dopo il parto. Può darsi, ma non mi risulta che di questo ci siano prove statistiche convincenti, ossia prove che soddisfino gli stessi requisiti di validità statistica che riteniamo necessari ad esempio per stabilire la validità di una terapia medica. Numerosi studi recenti, tra cui quelli del premio Nobel Jim Heckman mostrano l’enorme importanza dei primi anni di vita del bambino per la sua performance futura, ma siamo ancora ben lontani dal poter affermare con cognizione di causa se sia meglio la famiglia o il nido per un neonato.
Allora, non è forse meglio tassare di meno le donne e quindi le famiglie (magari sussidiando con vouchers quelle povere) in modo che madri e padri siano effettivamente effettivamente liberi di scegliere come e dove educare i loro figli e quanto tempo a loro dedicare?

RISPOSTA AD ANDREA ICHINO: UN’ITALIA PIÙ POVERA SENZA ASILI NIDO

Nel suo intervento Andrea Ichino, in commento ad un nostro recente articolo, mette in dubbio l’utilità degli asili nido. Cogliamo l’occasione per chiarire meglio la nostra posizione a favore dei servizi per l’infanzia come importante strumento di conciliazione nella fase delicata in cui è più difficile lavorare e occuparsi dei piccoli (secondo i dati Istat, oltre una donna occupata su cinque lascia il lavoro dopo la nascita di un figlio (1)).

AI:“Le donne bolognesi in età lavorativa guadagnano dal 25 al 76 per cento in meno dei loro concittadini maschi (…). Questo risultato dovrebbe far riflettere chi ritiene che la fornitura pubblica di servizi sociali alle famiglie, in particolare di asili nido, sia la panacea che può consentire alle donne di avere le stesse opportunità lavorative degli uomini, soprattutto le stesse retribuzioni e le stesse possibilità di carriera”.

DB e AR: Concordiamo. Non abbiamo certo scritto che, di per sé, l’offerta di nidi sia in grado di realizzare l’uguaglianza delle opportunità di lavoro e di salario tra uomini e donne.  Nessuno, a quanto ci risulta, ha mai azzardato un’ipotesi di questo tipo. Abbiamo semplicemente sottolineato come gli asili nido possano spesso rivelarsi un concreto aiuto per le donne con figli piccoli che desiderano continuare a lavorare. Molte famiglie non hanno nonni e altri parenti vicini e non hanno un reddito sufficiente per il ricorso sistematico ad una baby sitter.

AI:“È possibile che asili e servizi alle famiglie siano un fattore importante per facilitare una maggiore partecipazione delle donne al lavoro e una maggiore fecondità, anche se chi sostiene questa idea dovrebbe spiegare come mai la fecondità e l’offerta femminile di lavoro siano più alte in paesi dove questi servizi sono praticamente assenti”.

DB e AR: Se il riferimento è al caso particolare degli Stati Uniti, va precisato che in tale contesto il mercato del lavoro è meno discriminatorio verso le donne, offre più opportunità occupazionali in genere e più part-time, ma ci sono poi anche servizi per l’infanzia non pubblici di vario costo e tipo (nidi familiari, nidi sul posto di lavoro, ecc.). Se però guardiamo ai casi a noi più vicini (quelli europei) si nota come i paesi con più alta fecondità (Francia e i paesi scandinavi) siano anche quelli dove rilevante è l’investimento in strumenti di supporto pubblico (non solo privato) alle famiglie con figli.
Ma al di là di casi specifici, quello che in generale si è osserva è che i paesi che più e meglio hanno investito in misure di conciliazione presentano, tendenzialmente, anche più elevati livelli sia di fecondità che di partecipazione femminile al mercato del lavoro (ci sono molte analisi in proposito, si veda per una rassegna il rapporto Ocse di D’Addio  e Mira d’Ercole (2). Ma questo risulta sempre più vero anche all’interno del territorio italiano, tanto che la fecondità è aumentata di più, anche la netto dell’immigrazione, dove maggiori sono sia l’occupazione femminile che le varie possibilità di conciliazione.
Tra gli strumenti di conciliazione particolare importanza hanno i servizi di cura per l’infanzia, tanto che nella Strategia di Lisbona dell’Unione Europea non viene fissato solo il livello di occupazione femminile da raggiungere (60%), ma anche quello di un’adeguata copertura di asili nido (33% su bambini in età 0-3). Lo stesso governatore di Bankitalia ha affermato che “le stime disponibili mostrano come l’incremento della disponibilità di posti negli asili nido avrebbe un effetto positivo sia sulla decisione delle donne di lavorare, sia sulla loro scelta di avere figli”. Sull’importanza di un ruolo del pubblico e sulle carenze italiane segnaliamo, inoltre, un recente contributo di Chiara Saraceno.

AI: “la vera origine del problema sta nel modo in cui i compiti familiari sono allocati tra donne e uomini all’interno delle famiglie”.

DB e AR: E’ vero che la scelta di un figlio produce conseguenze che ricadono soprattutto sulla madre. Come abbiamo scritto nel nostro libro, è importante invece che lo stato (con offerta di strumenti di cura), le aziende (con possibilità di ricorrere a part-time e consentendo orari più flessibili), i padri (contribuendo di più ai compiti familiari e di cura) facciano ciascuno la loro parte.

AI: “Per quale motivo, infatti, chi non ha figli dovrebbe finanziare chi ha liberamente scelto di averne?”

DB e AR: Curiosa questa obiezione, visto che l’Italia è attualmente uno dei paesi che penalizzano di più chi ha scelto di avere figli. Questo vale sia sul piano fiscale che su quello dei servizi. In particolare, la quota di spesa sociale che va per la voce “famiglia” è, come ben noto, una delle più basse (spendiamo meno della metà rispetto alla media europea).
Ma forse spendiamo anche troppo per chi, come Ichino, pensa che il figlio sia un bene privato e che i costi debbano ricadere su chi ha fatto tale scelta. Si potrebbe obiettare in vari modi (il discorso ha inoltre valenza più generale visto che investe tutto il ruolo pubblico e il preteso diritto di ciascuno di scegliere cosa contribuire a finanziare e cosa no). Ci limitiamo ad osservare che questa argomentazione non tiene conto del fatto che le misure di conciliazione consentono alle donne con figli di poter partecipare in modo più continuativo al mercato del lavoro e quindi ad avere non solo maggior benessere familiare ma anche  contribuire alla crescita economica del paese e alla sostenibilità del sistema di welfare. Penalizzare chi desidera avere figli non aiutandolo con strumenti adeguati a partecipare al mercato del lavoro ci sembra non solo iniquo ma anche socialmente controproducente. Rischia inoltre di aumentare la povertà delle coppie con figli che rimarrebbero monoreddito. Perché dovremmo assisterle con un voucher quando potrebbero difendersi dalla povertà con un proprio lavoro? Meglio incentivare comportamenti responsabili che l’assistenzialismo.

AI: “Ammesso e non concesso che gli asili nido pubblici favoriscano la fecondità (che come detto sopra è maggiore della nostra anche in paesi in cui lo stato non offre questi servizi), siamo proprio sicuri che in Italia sia una buona idea incrementare la popolazione, già crescente per via dell’immigrazione?”

DB e AR: Sul fatto che gli asili nido possano favorire la fecondità abbiamo già detto. Aggiungiamo a tal proposito anche evidenze empiriche che provengono da un’analisi recente sul caso spagnolo (molto più simile all’Italia rispetto agli Stati Uniti): dove si ottiene “a significant and positive effect of regional day care availability on both first and higher order births” (3).
Gli asili nido sono uno strumento utile per le donne che lavorano a non rinunciare ad avere un figlio se lo desiderano in assenza di nonni a disposizione per poter accudire i bambini quando sono al lavoro. Meno strumenti di conciliazione le coppie hanno a disposizione, più facilmente si fermeranno al figlio unico se non vogliono rinunciare al lavoro. Oppure possono essere incentivate a rinunciare ad opportunità di carriera per rimanere a vivere vicino ai nonni e non perdere il loro aiuto.
Ma c’è di più. Secondo Andrea Ichino non pare importante ciò che a noi sembra cruciale cioè mettere tutti nelle condizioni di scelta di avere figli (anche a chi non ha redditi elevati e chi non ha nonni vicini), visto che la popolazione cresce già abbastanza con il contributo degli immigrati.
Questa argomentazione ignora che la conseguenza maggiore della persistente denatalità italiana non è tanto il declino o meno della popolazione quanto gli squilibri che si creano nella sua struttura.
L’accentuato invecchiamento della popolazione italiana richiederebbe un riequilibrio attraverso una minore denatalità e una maggiore occupazione femminile. L’intenso invecchiamento della popolazione è proprio uno dei fenomeni che gli altri paesi meno ci invidiano. Anzi, sono particolarmente interessati a vedere come ce la caveremo nei prossimi decenni per capire quali errori evitare.
Come anche le ultime previsioni Istat confermano, l’apporto dell’immigrazione su questo aspetto è rilevante ma limitato. Sulla nota informativa di presentazione, si legge: “L’aspetto in assoluto più certo di tutte le previsioni è il progressivo e inarrestabile incremento della popolazione anziana (…), tanto in termini assoluti quanto relativi” (4).

AI:“Numerosi studi recenti, tra cui quelli del premio Nobel Jim Heckman mostrano l’enorme importanza dei primi anni di vita del bambino per la sua performance futura, ma siamo ancora ben lontani dal poter affermare con cognizione di causa se sia meglio la famiglia o il nido per un neonato”

DB e AR: Questo è un tema che consideriamo molto importante e su cui stiamo lavorando. Soprattutto in un paese di figli unici e di genitori iperprotettivi, l’asilo con opportuni standard di qualità, può essere un utile strumento per una socializzazione più equilibrata dei figli. Un asilo inteso solo come parcheggio per il figlio è deleterio. Il bene del bambino lo si ottiene non solo se tale strumento aiuta la famiglia a proteggere il proprio benessere grazie alla possibilità della madre di non rinunciare al lavoro, ma anche, soprattutto, se fornisce benefici in termini di formazione e crescita. Per questo, come spesso sottolineiamo, è cruciale investire nella qualità dell’offerta, non solo sulla copertura.
Un’ultima precisazione. L’offerta di servizi per l’infanzia e’ strumento per ampliare le scelte delle famiglie, uno strumento disponibile assieme ad altri, che la coppia decide o meno di scegliere. Il problema è che attualmente in Italia, più di altri paesi, tale scelta è spesso negata per la carenza di un’offerta adeguata.
Come mostrano, poi, alcuni studi della Banca d’Italia, nelle regioni dove più ci sono asili nido più lunga è anche la lista di attesa, il che suggerisce che l’offerta di nidi di adeguata qualità può contribuire ad attenuare alcune resistenze culturali verso la delega della cura dei figli piccoli

(1) Linda Laura Sabbadini (2004, a cura di), Come cambia la vita delle donne, Demetra, Atti e interventi n. 6, Roma.
(2) Anna Cristina D’Addio e Marco Mira d’Ercole (2005), "Trends and Determinants of Fertility Rates in Oecd Countries: The Role of Policies", Oecd Social, Employment and Migration Working Papers.
(3) Pau Baizan (2009),  “Regional child care availability and fertility decisions in Spain”, Demographic Research, 21(27).
(4) Istat,Previsioni demografiche. 1° gennaio 2007-1° gennaio 2051. Nota informativa (19 giugno 2008).

L’UMILIAZIONE

Il regolamento votato dalla Commissione parlamentare di vigilanza, su delibera dell’Agcom, è stato esteso anche alle tv private, che hanno poi fatto ricorso al Tar. Finché il tribunale non si pronuncia, la norma, che è restrittiva rispetto alla legge sulla par condicio, ed ha gravi profili di incostituzionalità, vale anche per le tv private. Questo è un fatto gravissimo di cui, a mio avviso, non si è percepita la portata. In nessun paese democratico sono mai stati chiusi i programmi di approfondimento in diretta. Una decisione che costringe i giornalisti a calpestare ciò in cui credono e che priva il pubblico del diritto ad essere informato.
La norma scritta da Beltrandi (Partito radicale), quella che ha imbavagliato tutti, dice: “Le trasmissioni di informazione, con l’eccezione dei notiziari, a partire dal decorrere del termine ultimo per la presentazione delle candidature, sono disciplinate dalle regole proprie della comunicazione politica”.
Le regole della comunicazione politica sono quelle che regolano le tribune politiche: parlano tutti in uguale tempo. Impossibile trasformare un talk in tribuna politica e così si chiudono i talk e si impedisce ai programmi registrati di parlare di argomenti politici o intervistare politici.
Il fatto che Report invece vada regolarmente in onda non è indice di libertà, poiché la ragione è dovuta al fatto che è un programma registrato (quindi sottoposto ad un controllo preventivo), e la condizione è che non tratti argomenti politici, e non intervisti uomini politici. È un po’ complicato, visto che perfino a monte di un buco per strada c’è sempre un sindaco che ne deve rispondere. Nella mia non breve carriera professionale non ho mai vissuto un momento più umiliante.

QUANDO IL PIL FA I CONTI CON IL CAPITALE INTANGIBILE

Il Pil non misurerà la felicità, ma finché resta l’indicatore principale della statistica economica occorre cercare di calcolarlo al meglio. Oggi le spese per beni intangibili sono contabilizzate tra i costi, perché si ipotizza che non contribuiscano alla produzione futura. Se invece si considerano tra i beni capitali, il quadro della crescita economica di un paese diventa sostanzialmente diverso. Il capitale intangibile dell’Italia si compone per una quota molta alta di investimenti in consulenze. Mentre rimane bassa la spesa in ricerca scientifica.

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