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Gli Italiani e l’evasione fiscale

Meno evasione e servizi pubblici migliori sono le priorità degli italiani. Lo dice un’indagine del Censis su un campione rappresentativo della popolazione. L’evasione, percepita in aumento negli ultimi tre anni, è considerata un problema grave dall’89,7 per cento degli intervistati. Il gettito recuperato con il contrasto all’evasione dovrebbe però essere utilizzato per ridurre le imposte e non tradursi in un aumento della pressione fiscale, giudicata già alta. E servirebbe un impegno credibile a migliorare la capacità della spesa pubblica di rispondere ai bisogni dei cittadini.

 

Betim, la più grande fabbrica italiana

La Fiat è un’impresa multinazionale. E dunque utilizzerebbe il ricatto della globalizzazione per imporre anche in Italia le condizioni di lavoro praticate in paesi dove la sindacalizzazione è bassa. Ma se si guarda all’esperienza della fabbrica brasiliana di Betim, si scopre che i diritti dei lavoratori non sono violati. E che, sotto la patina di un certo paternalismo e malgrado la fragilità del sindacato, tra operai e dirigenti esiste tuttora una sana dialettica. Una informazione più precisa eviterebbe il rischio di impoverire il dibattito sul futuro della Fiat.

 

La risposta ai commenti

PER GLI STUDENTI SCETTICI

Supponiamo di ridistribuire in maniera casuale tutti i calciatori delle prime 90 squadre di calcio della Lombardia, a partire dalle Serie A e B e via via proseguendo per le divisioni minori. Cosa accadrebbe a Milan e Inter nel medio termine? Retrocederebbero in campionati di divisioni minori, la partecipazione in Champions League diventerebbe un miraggio, i calciatori di talento italiani e non migrerebbero verso altre squadre, gli spettatori abbandonerebbero gli stadi, i giovani più promettenti non si iscriverebbero alle loro scuole calcio, gli sponsor non supporterebbero più i due club. Mutatis mutandis, quella descritta è più o meno la situazione delle università italiane rispetto a quelle anglosassoni. L’’Italia ha bisogno di università che stanno all’’higher education come Milan, Inter, Juventus, Roma stanno al calcio.

MERITOCRAZIA E DEMOCRAZIA

Possono convivere? Da piccolo avrei voluto entrare nelle giovanili dell’’Inter, ma non ne avevo la stoffa. Qualcun altro c’’è riuscito e io ho trovato la mia realizzazione in un altro campo (non di calcio). L’’importante è che nel mio paese ci fosse innanzitutto una Inter e a me fossero date opportunità pari agli altri per potervi accedere. E’’ inutile pretendere università omogenee perché la selezione, dopo, la fa in ogni caso il mercato (quello reale) del lavoro.

FATTIBILITA’

Perché mai Harvard, Oxford, ecc. dovrebbero saper condurre una selezione efficiente dei docenti e noi no? Basta misurare il tasso di concentrazione di top scientist dell’’Università Vita-Salute S. Raffaele di Milano per realizzare che anche in Italia è possibile. La proposta di policy è percorribile perché farebbe felici molti, senza scontentare nessuno.

COSTO

La progressiva chiusura delle sedi universitarie distaccate e il continuo incremento del numero delle matricole rendono in ogni caso necessario un progressivo aumento della capacità produttiva delle attuali università. Il costo incrementale di nuove università, al netto di quello per l’’espansione, è quindi relativamente basso. Il ritorno socio-economico dell’’investimento è evidentemente altissimo. Sistema produttivo e amministrazioni locali (la Provincia autonoma di Trento si è già mossa in tal senso) dovrebbero adoperarsi tutti, insieme al governo, perché ciò si realizzi. Il più grande aiuto di stato legale che possa esser fatto al sistema industriale è realizzare la gemmazione di nuove top university dalle esistenti. Where there is a will, there is a way”

Anche i manager hanno le loro colpe

Tutta colpa dei fattori locali se un’azienda, per esempio la Fiat, non riesce a fare profitti in un determinato paese? Il successo di un’impresa dipende anche dalle competenze dell’alta dirigenza o dallo stile e dal design. Lo confermano studi condotti sulle automobili giapponesi prodotte sia in Giappone che negli Stati Uniti. Le agenzie internazionali definiscono rigido il mercato del lavoro italiano, ma le indagini sulle pratiche manageriali non danno certo risultati lusinghieri, soprattutto per il coinvolgimento di figli e parenti nella proprietà e gestione aziendale.

 

C’è l’indulto dietro il boom e lo sboom della criminalità *

Negli ultimi anni abbiamo assistito prima a un boom della criminalità e poi a una sua rapida diminuzione. Il governo attribuisce il calo del numero dei delitti denunciati alla stretta sull’immigrazione, soprattutto quella clandestina. Invece l’ondata prima crescente e poi calante potrebbe essere dovuta all’indulto voluto dal governo Prodi. Gli indulti, come i condoni per gli evasori e le sanatorie per gli immigrati, sono presentati come pezze temporanee per tappare buchi, ma producono il risultato permanente di indebolire la fiducia nella legge e il senso della legalità.

 

Wi – fi tra sicurezza e libertà

Richiesta a gran voce, si avvicina l’abolizione del decreto Pisanu che dal 2005 ha messo fuori legge le reti wi-fi ad accesso anonimo. Non per questo avremo in Italia una diffusione più capillare del wi-fi. Perché in altri paesi il successo della tecnologia senza fili è passato per le reti aperte non anonime, che da noi sono invece bloccate da ostacoli che nulla hanno a che fare con i vincoli della legge. Utile dunque snellire le procedure di accesso, ma meglio ancora agire sulle barriere nascoste.

 

Quelle banche ancora troppo fragili

Negli Stati Uniti la crisi finanziaria sembra ormai archiviata. Non si può dire lo stesso per l’Europa, che ha affrontato il problema affidandosi a una serie di false speranze. Mentre gli stress test sulle banche americane sono serviti a riconquistare subito la fiducia degli investitori, quelli condotti sugli istituti europei hanno prodotto risultati deludenti perché è mancata la necessaria trasparenza. Ma soprattutto perché il processo non ha innescato la ricapitalizzazione e ristrutturazione delle banche più deboli. Mantenendo così la fragilità del sistema.

 

Se Marchionne va al talk show

Tanto clamore, ma nessuna novità nelle parole di Sergio Marchionne in televisione. L’amministratore delegato Fiat continua a chiedere che il nodo della riorganizzazione dei siti produttivi italiani sia affrontato fino in fondo. I presupposti perché la multinazionale dell’auto rimanga in Italia e contribuisca al rilancio del paese ci sarebbero, ma è un errore prendere la sua presenza per garantita se la competitività del paese si deteriora senza che si faccia niente per invertire la tendenza.

 

Libere professioni in libertà vigilata

Due anni fa, nel novembre 2008, il ministro Alfano, al Congresso nazionale forense di Bologna, fece agli avvocati un discorso che suonava sostanzialmente così: “se mi portate un disegno di riforma sul quale concordino tutte le componenti e le voci dell’avvocatura, io mi impegno a farlo passare in Parlamento”. Questo discorso avrebbe avuto un senso nel contesto dell’ordinamento corporativo. Dopo la sua abrogazione, la disciplina della professione forense deve intendersi come posta esclusivamente nell’interesse dell’amministrazione della giustizia e della collettività degli utenti del servizio. Sulle linee e sui contenuti della riforma, dunque, non poteva certo bastare un accordo limitato alle componenti interne dell’avvocatura.

LA BOTTEGA DELL’AVVOCATO

Questo è sicuramente uno dei motivi per cui il disegno di legge, in un primo tempo affrettatamente licenziato dalla Commissione Giustizia del Senato, ha visto poi il proprio iter procedere con grande difficoltà, incagliandosi più volte, avversato fortemente dall’antitrust, dalle associazioni imprenditoriali, da quelle dei consumatori e persino da quelle dei giovani avvocati. A tutte queste voci il ministro ha preferito non dare ascolto, mantenendo il proprio appoggio al  progetto approvato dal Consiglio Nazionale Forense, che segna un netto ritorno all’indietro rispetto al decreto Bersani del 2006.
Contro un principio preciso dell’ordinamento europeo e del nostro ordinamento nazionale, il progetto si propone di reintrodurre l’inderogabilità delle tariffe minime (mercoledì scorso, al termine di un dibattito lungo e molto teso, il Senato ha approvato in prima lettura questa norma, che ribalta la regola posta dal decreto Bersani nel 2006); di reintrodurre il divieto della pubblicità commerciale per gli studi professionali; di reintrodurre la necessità (da tempo superata) dell’iscrizione all’albo anche per poter svolgere attività di consulenza stragiudiziale; di ribadire e rafforzare il divieto di costituzione degli studi legali in forma di società per azioni (consentita invece, sia pure con qualche opportuna limitazione, nella maggior parte dei Paesi occidentali); di rafforzare le barriere che devono essere superate dai giovani per accedere alla libera professione; di sfoltire drasticamente gli albi escludendone tutti coloro che esercitano la professione secondo un modello diverso da quello tradizionale (a tempo pieno, in modo esclusivo e continuativo per tutta la vita); di tornare ad attribuire esplicitamente all’Ordine una funzione di sostanziale rappresentanza degli interessi economici e professionali della categoria. Il modello di studio legale a cui si ispira questo progetto di riforma è quello tradizionale dello studio-bottega artigiana, nel quale il professionista opera a tempo pieno in modo continuativo ed esclusivo, in collaborazione con un numero limitato di colleghi e di collaboratori: ogni altra forma di esercizio della professione, secondo questo disegno, deve considerarsi sostanzialmente vietata.

DA CERNOBBIO AL SENATO

Soltanto poche settimane fa il ministro Tremonti proponeva di sancire esplicitamente nella Costituzione il principio per cui “tutto ciò che non è vietato è permesso”. In questo disegno di legge si dice sostanzialmente il contrario: “tutto ciò che non corrisponde al modello tradizionale di esercizio della professione forense è vietato”.
Deve aver provato qualche imbarazzo per questo progetto anche lo stesso ministro della Giustizia Alfano quando, meno di due mesi fa, al seminario Ambrosetti di Cernobbio, di fronte ai protagonisti dell’economia e della finanza globale e alla stampa internazionale, lo ha in parte sconfessato dichiarando pubblicamente che non era intenzione del Governo reintrodurre l’inderogabilità delle tariffe minime. Ma mercoledì scorso in Senato il Governo è tornato a difendere il progetto nella sua interezza, comprese le tariffe minime inderogabili e tutti gli altri divieti mirati a perpetuare, rendendolo esclusivo, il modello tradizionale dello studio legale-bottega artigiana che piace tanto al Consiglio Nazionale Forense
L’imposizione di quel modello tradizionale come unico modo possibile di esercizio della professione da parte degli avvocati italiani, oltretutto, impedisce loro di competere ad armi pari con i colleghi stranieri, all’estero e persino sullo stesso nostro territorio nazionale. Ve lo immaginate uno studio legale italiano che prova a offrire i propri servizi sulla piazza di Londra o di Chicago dovendo rispettare questa legge, quindi non potendo raccogliere nel mercato azionario i capitali per gli investimenti necessari, non potendo di fatto promuovere una class action perché il divieto del patto di quota-lite non lo consente, non potendo neppure informare i potenziali clienti della propria esistenza per via del divieto della pubblicità? Gli studi di Londra e di Chicago, però, sono già venuti da noi, stanno già incominciando a prendersi il meglio del nostro mercato dei servizi legali, senza certo render conto al nostro Consiglio nazionale forense sul come hanno reperito i capitali necessari, quali tariffe applicano ai loro clienti, con quale tipo di contratto ingaggiano i collaboratori e così via.
La verità è che con questo disegno di legge si sta facendo un’’operazione regressiva, che non va nell’’interesse del Paese, ma non va neppure nell’’interesse particolare della stessa avvocatura italiana.

La riforma dell’università parte dalla governance

L’approvazione del disegno di legge Gelmini sull’università è stata rinviata alla fine dell’anno, in attesa che governo e parlamento trovino le risorse necessarie. Una battuta d’arresto che può essere utile per introdurre nel disegno di legge quegli elementi che lo renderebbero una vera riforma. Perché così come è adesso non interviene sulla questione centrale dell’autoreferenzialità dei nostri atenei. Nuove norme sulla governance interna degli atenei sono il presupposto indispensabile per l’affermarsi della meritocrazia e per contrastare il potere dei baroni.

 

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