Lavoce.info

Categoria: Argomenti Pagina 692 di 1041

Favole e tragedie nel Golfo del Messico

Milioni di barili di petrolio si sono rovesciati nel Golfo del Messico per la rottura della piattaforma Bp. Ma come si calcolano i danni di un simile disastro? Le incertezze e i fattori che potrebbero entrare in gioco sono moltissimi. Tanto che un investitore dopo aver considerato ex-ante la probabilità di un evento catastrofico e constatata l’impossibilità di produrre una stima credibile del danno associato, potrebbe decidere di investire poco in sicurezza degli impianti per privilegiare altri obiettivi. Alterando così la struttura stessa di probabilità della catastrofe.

 

Un civil servant al ministero dell’economia

Tommaso Padoa-Schioppa è stato ministro dell’Economia e delle finanze solo per un biennio, vivendo la breve parabola del secondo Governo Prodi. Egli lascia però un’eredità politica ed etica di grande spessore. Il titolo del suo ultimo libro, “La veduta corta”, riassume bene la sua diagnosi sui mali del paese. Da circa 12 anni l’Italia cresce poco e comunque molto meno dei paesi occidentali con cui ci si confronta.

Questa è vera classe dirigente

Vittime di mitridatizzazione

Mitridatizzazione. E’ una parola poco usata che si rifa al re del Ponto Mitridate VI: indica la capacità di divenire immuni da veleni e sostanze tossiche abituando il proprio organismo ad assumerne giornalmente piccole quantità. Oggi è facile riconoscerla: chiunque abbia assistito alla puntata di Matrix del 21 dicembre con la fluviale intervista al Presidente del Consiglio e non sia rimasto allibito e irritato per la piaggeria con cui il conduttore Alessio Vinci ha porto delle non domande all’ospite, suo datore di lavoro, è vittima di mitridatizzazione. Le dosi sono assunte quasi inavvertitamente ogni giorno attraverso i telegiornali principali, abituano a dare per scontato che il presidente del consiglio domini gran parte dei canali e si faccia intervistare da un dipendente, fanno passare per normalità lo svilimento di una professione essenziale per la democrazia come quella giornalistica, proclamano la banalità del servilismo, vero timbro dell’Italia di oggi. Speriamo solo che i nostri lettori si siano profondamente irritati vedendo quella trasmissione.

Tommaso l’europeista

Collegi rivisti per candidati migliori

Sembra ormai esserci un accordo unanime sulla necessità di cambiare le regole del gioco elettorale. Proviamo allora a farlo per migliorare la selezione dei politici, aumentando la concorrenza politica e dunque il controllo degli elettori. L’analisi dei risultati delle tre tornate svoltesi con il Mattarellum, mostra che nei collegi più incerti sono eletti i candidati di maggior qualità. Dunque, bisogna cercare di aumentare la quota dei collegi contendibili. E per farlo si potrebbero ridisegnare alcuni confini. L’esempio di Sciacca e Agrigento.

 

Formidabile quell’anno di TPS alla Consob

Nel “formidabile anno” (aprile 1997-giugno 1998) in cui Tommaso Padoa-Schioppa fu presidente della Consob, il sistema finanziario italiano presentava un assetto ancorato alla tripartizione dei mercati: il mercato bancario, polarizzato e forte delle sue riserve di attività, governato da un testo unico e da norme bancarie uniformi, ramificato in partecipazioni incrociate con l’industria, le imprese mobiliari e la grande banca d’affari nazionale; il mercato mobiliare, che aveva il suo centro nella Borsa valori – ancora pubblica e a bassa capitalizzazione rispetto alle piazze finanziarie dei grandi centri internazionali – che trovava nelle Sim, in realtà per buona parte possedute da intermediari bancari, un potenziale veicolo di ammodernamento; il mercato degli investitori istituzionali, che vedeva i fondi comuni di investimento affiancare le ben più importanti e meno trasparenti gestioni individuali di patrimoni, le compagnie di assicurazione e i fondi pensione (questi ultimi sulla carta ma non nei fatti).

VERSO IL TESTO UNICO DELLA FINANZA

L’assetto della supervisione era di conseguenza tripartito: la Consob regolava gli scambi di mercato e l’intermediazione non bancaria, cercando una sua identità in un corpo normativo frammentato, che Padoa-Schioppa ereditava nel corso di un processo di unificazione: il Testo unico della finanza era infatti in via di stesura. Le lobby finanziarie si scaldavano i muscoli sui temi più sensibili: la trasparenza e la disciplina del prospetto per le obbligazioni bancarie, la riserva di attività per la gestione dei patrimoni, la trasparenza e la confrontabilità dei prodotti assicurativi rispetto ai prodotti finanziari, l’opacità e la scarsa mobilità degli assetti proprietari. La Banca d’Italia, da cui arrivava il presidente, sovrintendeva alla stabilità macro e microeconomica, ma anche alla trasparenza dei servizi bancari e alla concorrenza tra gli intermediari. L’Isvap vigilava sulle assicurazioni, settore ritenuto opaco e poco competitivo.
In questo contesto, Padoa-Schioppa entrava in una Consob dove stratificazioni di passate gestioni e nuovi ingressi richiedevano un ripensamento e un riordino.
È Padoa-Schioppa a volere per la prima volta la presentazione della relazione annuale della Consob a Milano con un Discorso del presidente al mercato finanziario. Senza enfasi, ma con decisione, sarà lui a negoziare con il Comune di Milano la concessione di Palazzo Carmagnola quale sede dell’istituzione e a trasferirvi alcuni uffici chiave, nel tentativo – in seguito, dopo la sua presidenza, rinnegato – di rendere l’istituzione più vicina alla sede del mercato e alla sua cultura.
Già nel primo mese dall’insediamento, in cui il presidente riceveva direttori e funzionari, leggeva carte e documenti, faceva audizioni e frequenti riunioni della Commissione, prendeva corpo una struttura rinnovata dell’autorità, nelle persone e nell’impianto, che senza particolare clamore ma con grande determinazione veniva varata prima dell’estate.

UN ANNO CRUCIALE

In quei mesi entrarono in dirittura di arrivo il Testo unico della finanza e la stesura dei regolamenti di attuazione, con un confronto anche dialettico con la Banca d’Italia. Guidavano Padoa-Schioppa alcuni convincimenti. Come l’idea, forse tramontata, che la Consob nell’emanare la regolamentazione non coglierebbe il senso della riforma se alla delegificazione non facesse seguire una deregolamentazione: testi snelli, concepiti come regole di principio più che di minuziosa precettistica; delega al mercato, alle associazioni e ai singoli soggetti di funzioni che possono essere da essi efficacemente svolte. O come la ferma presa di posizione per un modello di vigilanza per finalità, nell’affermazione della Consob quale autorità centrale della trasparenza e della protezione dell’investitore per tutti i prodotti finanziari, non solo mobiliari ma anche bancari e assicurativi.
Nello stesso periodo accompagnò la fase finale della privatizzazione della Borsa italiana, che definì, profeticamente, una condizione “necessaria ma non sufficiente per la sopravvivenza del nostro mercato”. E cercò di costruire le fondamenta della piazza finanziaria nazionale, nell’idea non di rafforzare fortini nazionali, che, lui uomo d’Europa e cittadino del mondo, rifiutava ma di partecipare alla costruzione del mercato finanziario europeo sempre più integrato in modo competitivo ed efficiente per aiutare la crescita del Paese: tenterà di riprendere il progetto da ministro dell’Economia, ma senza successo.
Prestò grande attenzione allo sviluppo delle rete delle relazioni internazionali, con la presenza della Consob nei gruppi europei e mondiali di regolazione, e nazionali, con l’organizzazione di incontri pubblici e gruppi di lavoro con accademici e practitioner.
Padoa-Schioppa era un uomo che univa doti rare, se le pensiamo tutte presenti in una persona. Equilibrio, apertura, focalizzazione, competenza, rigore, impegno. La persona giusta per quell’anno cruciale. Giusta anche, con la sua umanità e la capacità di riconoscere i meriti dei collaboratori, per motivare e far lavorare alacremente una struttura che non era adusa a ritmi stressanti. Allo stesso tempo, il suo stile di grand commis internazionale dava alle donne e agli uomini della Consob, soprattutto ai più giovani, la consapevolezza di agire in uno snodo istituzionale essenziale per lo sviluppo del Paese, sotto la guida di un personaggio capace di imporre ai tavoli internazionali dei regulator la Commissione italiana alla testa di quelle istituzioni o comunque al centro del dibattito.
Purtroppo per la Consob, ma fortunatamente per il Paese, nel giugno 1998 – dopo poco più di un anno di presidenza – fu chiamato a far parte del primo board della Banca centrale europea per concretizzare il sogno di una vita: la creazione di una moneta unica e di un organo di politica monetaria sovranazionale.

TPS, la penna verde

Delle persone che scompaiono e alle quali sono stato in qualche modo legato tendo a ricordare e conservare spezzoni di immagini piuttosto che una visione d’insieme. Spesso questo ricordo è un dettaglio secondario, anche insignificante, rispetto alla ricchezza della vita di questa persona. Ma a ben pensarci talvolta ne riassume un tratto importante e forse è per questo che mi rimane impresso. Pensando a Tommaso Padoa Schioppa, conosciuto nei tanti anni trascorsi alla Banca d’Italia, mi è ritornata alla mente la sua penna verde.

La penna che usava per correggere il testo del Bollettino Economico, delle bozze della Relazione annuale o dei cosiddetti lavori preparatori, ricerche predisposte dagli economisti del Servizio Studi della banca in funzione della stesura della Relazione annuale e più in generale di analisi e studio dell’economia, italiana (e non). Di quei testi i membri del direttorio leggevano con estrema attenzione ogni riga e restituivano agli autori le bozze commentate, corrette, segnate. C’era attesa per quei commenti. Quelli di Pierluigi Ciocca, a lettere grandi talvolta indecifrabili; le sottolineature lunghe e ondulate di Antonio Fazio; le annotazioni del Dottor Ciampi, poche ma sempre negli snodi del testo, quelli che qualificavano l’interpretazione. Questi commenti erano redatti a penna, bic o stilo, ma di colore blu o nera lo stesso colore che convenzionalmente si usa per apporre una firma su un assegno, il documento per eccellenza di una banca. I commenti di Tommaso Padoa Schioppa erano invece in inchiostro verde. Doveva essere una sua penna, dato che la Banca d’Italia non forniva ai dipendenti (e quindi neanche al direttorio) penne colorate, ma matite sempre dello stesso tipo, penne blu e penne nere, anche quelle sempre dello stesso tipo.

PARLARMENE!

Oltre al colore diverso quei commenti avevano altre due caratteristiche: si concludevano con la sua sigla, TPS, che gli è valso il nome – Tipiesse – con cui a lui ci si riferiva dentro la banca; contenevano spesso una richiesta dal tono perentorio -“parlarmene!” – a margine di un paragrafo che lui reputava importante e sul quale richiedeva all’autore un approfondimento. La sigla era quasi pleonastica dato l’uso della penna verde che garantiva l’identificazione perfetta del commentatore, ma siglandoli si prendeva la responsabilità di quei commenti. “Parlarmene!” evocava la relazione gerarchica tra lui e i colleghi/collaboratori, ma al tempo stesso rivelava l’interesse per il lavoro degli altri e il bisogno di conoscere di più di quello che era stato fatto, e questo aveva un forte effetto sulla motivazione delle persone, ci si sentiva utili. Rimane il colore della penna, perché verde? Perché quel tocco anticonformista? Questo mi stupiva un po’ in un uomo con una mente così organizzata, strutturata e lucida, in una persona così dedicata all’ istituzione a cui apparteneva: perché l’identificazione con essa non arrivava fino al colore della penna? Onestamente non lo so e non ho mai osato chiederglielo. Ma credo sia perché TPS distingueva tra identificazione e omologazione. Ha sempre avuto un tratto personale, un guizzo di fantasia, un elemento di distinzione; lo si ritrova nei suoi scritti, nei vocaboli che usava, in quelli che spesso coniava. I miei ex-colleghi in Banca d’Italia ne ricorderanno parecchi – il quartetto incoerente citato sui media in questi giorni, i piccoli giganti – riferendosi alle piccole banche italiane che si accollano l’intero rischio delle piccole imprese che finanziano – e i giganti nani – le grandi banche che partecipano solo a una parte del rischio delle grandi imprese a cui concedono prestiti, per citarne alcuni. L’uso di queste definizioni era forse un vezzo, una concessione all’estetica, ma era anche e soprattutto un modo concreto di rischiarare il discorso, di comunicare con il lettore in modo diretto, immediato. Lampi di luce che aggiungevano bellezza e chiarezza, come la penna verde.
Ciao TPS, riposa in pace.

Un fondo in affitto

La legge di stabilità mette la parola fine al fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione. E nello stesso tempo la bozza di decreto legislativo sulla fiscalità municipale introduce la cedolare secca sugli affitti con un’aliquota del 20 per cento. Che determinerà una consistente perdita di gettito senza benefici tangibili per le famiglie in difficoltà a pagare un canone di mercato. Non sarebbe meglio allora utilizzare una somma pari al guadagno che deriva ai proprietari dal nuovo sistema di tassazione per rifinanziare il fondo?

 

La cancellazione del debito? Un placebo

Dopo quindici anni, i risultati del programma per la riduzione del debito dei paesi poveri sono deludenti. In particolare, non sembra aver prodotto alcun effetto positivo sul tasso di crescita del Pil, né un boom degli investimenti. Semplicemente perché spesso il debito estero non è la causa della povertà, che va ricercata invece nella fragilità delle istituzioni. E intanto cresce l’importanza del debito domestico. Meglio sarebbe se istituzioni internazionali e paesi donatori aiutassero i paesi debitori nello sviluppo di una prudente gestione macroeconomica, soprattutto fiscale.

 

Pagina 692 di 1041

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén