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UN POPOLO DI SANTI

La beatificazione di Giovanni Paolo II è un segnale di internazionalizzazione della Chiesa cattolica. Che per molti secoli è stata guidata da papi, cardinali e santi italiani, rischiando in questo modo di indebolire il suo carattere universale. Dal Cinquecento fino al 1978 con l’elezione di Papa Wojtyla tutti i pontefici sono stati italiani. Ugualmente impressionante è il numero di santi nati nel nostro paese. Mentre ancora oggi i cardinali italiani sono sessantacinque su un totale duecentotre. Tanti rispetto al peso del cattolicesimo italiano.

UN BONUS CHE NON PREMIA LA FRANCIA *

Il presidente francese vuole imporre alle imprese che pagheranno dividendi sull’esercizio 2010 di versare un premio anche ai propri dipendenti. È una pessima idea sotto il profilo economico, politico e di bilancio. Perché non cambierà nulla nella retribuzione dei francesi, ma sposterà l’onere delle parti variabili del salario dalle aziende alla collettività. E tutto ciò proprio mentre la Francia presenta a Bruxelles il Piano di stabilità per il periodo 2011-2014, nel quale si impegna a un maggior rigore di bilancio.

SE LA FINANZA SUPERA IL LIMITE

I mercati finanziari sono importanti per lo sviluppo economico. Ma un settore finanziario troppo grande ha conseguenze negative sulla crescita. Come dimostra il fatto che in tutti i paesi che soffrono di più le conseguenze della crisi i prestiti al settore privato oltrepassano il 110 per cento del Pil. Necessaria dunque una regolamentazione che allontani rischi simili: standard di credito più restrittivi potrebbero portare benefici in termini di stabilità e crescita economica.

I FATTORI SCATENANTI DELLE RIVOLTE IN NORD AFRICA

Dalla fine del 2010 in molti paesi del Nord Africa e del Medio Oriente si sono succeduti dei movimenti di popolo, più o meno pacifici, da cui sono derivati dei forti cambiamenti geopolitici. Bottazzi ed Hamaui evidenziano come le condizioni sociali e politiche siano tra i fattori determinanti della rivoluzione egiziana.
È vero ciò anche negli altri paesi in cui le rivolte sono state particolarmente intense?

Tabella 1 – Indicatori economici dei paesi coinvolti dai movimenti popolari

  Pil procapite
(mgl dollari in PPP)*
Inflazione* Tasso di disoccupazione* Economic freedom index
2011

(score)**
Global competitiveness index
2010-2011
(score)***
Indice del livello di istruzione e formazione
2010-2011 (score)***
Indice dell’efficienza mercato del lavoro2010-2011
(score)***
Algeria 6.9 5.7% 10.2% 52.4 4.0 3.6 3.7
Arabia Saudita 23.2 5.1% 11.7% 66.2 4.9 4.5 4.4
Bahrein 27.1 2.8% 15.0% 77.7 4.5 4.6 4.8
Egitto 6.1 16.2% 9.4% 59.1 4.0 3.6 3.4
Giordania 5.6 -0.7% 12.9% 68.9 4.2 4.3 3.9
Iran 11.2 10.3% 11.8% 42.1 4.1 3.8 3.4
Libia 14.3 2.7% 30.0% 38.6 3.7 3.6 2.8
Marocco 4.6 1.0% 9.1% 59.6 4.1 3.5 3.5
Oman 25.1 3.5% 15.0% 69.8 4.6 4.2 4.7
Siria 4.9 2.5% 8.5% 51.3 3.8 3.3 3.4
Tunisia 8.3 3.7% 14.7% 58.5 4.7 4.9 4.3
Yemen 2.5 3.7% 35.0% 54.2 nd nd nd

* I dati si riferiscono all’ultimo anno disponibile.  ** Livello massimo pari a 100.  *** Livello massimo pari a 7.
Fonte: Heritage Foundation, World Economic Forum e CIA-World Factbook.

IL CONFRONTO TRA INDICATORI

Per rispondere a questa domanda abbiamo preso in considerazione i dati (1) riportati nella tabella 1.  Tra i paesi considerati notevole è la dispersione in termini di Pil procapite. Il Bahrein risulta avere il reddito procapite più elevato: è infatti circa il doppio di quello della Libia e 10 volte superiore a quello dello Yemen. Nonostante l’elevato reddito medio il Bahrein risulta comunque avere un alto tasso di disoccupazione (15 per cento), sugli stessi livelli di quello della Tunisia (2). Con l’8,5 per cento la Siria è invece il paese con la disoccupazione più contenuta. Anche in termini di inflazione le differenze sono notevoli. La maggior parte dei paesi si attesta intorno al 3-4 per cento, mentre in Egitto e Iran si registrano variazioni dei prezzi al consumo a due cifre. La Giordania è l’unico paese a trovarsi in un contesto di deflazione. Relativamente alla libertà economica si osserva che il Bahrein mostra un indice particolarmente elevato, mentre in fondo alla classifica si attesta la Libia. Sul fronte della competitività internazionale, sul grado di istruzione e formazione e sull’efficienza del mercato del lavoro primeggiano l’Arabia Saudita, la Tunisia, l’Oman e il Bahrein, mentre i restanti paesi si attestano su livelli sufficientemente vicini.
In sintesi, i dati riportati nella tabella 1 non sembrano segnalare che i paesi coinvolti dai conflitti civili abbiano molti aspetti di natura economica in comune.
Alcuni interessanti spunti di analisi emergono contestualizzando le caratteristiche economiche dei paesi in rivolta rispetto al resto del mondo. Dal ranking mondiale per ognuno degli indicatori considerati, si riscontra che l’unico indice per cui nei dodici paesi esaminati nessuno supera la metà della classifica internazionale è quello relativo alla disoccupazione. L’esistenza di mercati del lavoro non in grado di offrire livelli occupazionali adeguati, se paragonato ad altre realtà economiche, può essere quindi individuato come un fattore che accomuna tutti i paesi in cui si sono registrate rivolte popolari. Il problema della disoccupazione è ancor più sentito in questi paesi in quanto c’è un connubio tra l’alta incidenza della popolazione in età lavorativa e l’alto tasso di disoccupazione giovanile (in Tunisia il 70 per cento della popolazione è concentrato nella fascia di età 15-64, mentre il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 31 per cento).

LA PARTICOLARITÀ DELLA TUNISIA

Si può ulteriormente notare come la popolazione tunisina, che si caratterizza per l’elevato livello di istruzione e formazione (il relativo indicatore vede la Tunisia al 30° posto su quasi 140 paesi; l’Italia in questa classifica si attesta solo in 47° posizione.) sia stata proprio quella ad aver dato il via ai movimenti popolari nel finire del 2010. Tra i fattori che hanno permesso che ciò avvenisse c’è probabilmente la maggiore consapevolezza delle proprie condizioni socioeconomiche (in Tunisia circa il 50  per cento dei disoccupati ha un livello di istruzione medio-alto) e la più ampia diffusione degli strumenti di comunicazione. Con riferimento a quest’ultimo punto va rilevato come proprio in Tunisia l’utilizzo della telefonia mobile, di Internet e dei social network sia particolarmente diffuso (circa il 21 per cento della popolazione è iscritta a Facebook, contro una media mondiale di poco meno del 10 per cento – cfr. tabella 2). 

Tabella 2 – Livello di utilizzo dei mezzi di comunicazione e dei social network
dati in % della popolazione

  Utenti Internet
2009
Utenti Facebook
2011
Utenti telefonia mobile
2009
Data di inizio delle rivolte popolari
Tunisia 33,5 21,2 93,5 17/12/2010
Giordania 29,3 21,7 101,1 14/01/2011
Oman 43,5 7,7 139,5 17/01/2011
Yemen 1,8 1,1 16,3 18/01/2011
Egitto 20,0 7,4 66,7 25/01/2011
Bahrein 82,0 27,1 199,4 14/02/2011
Iran 38,3 nd 72,1 14/02/2011
Libia 5,5 4,8 77,9 16/02/2011
Marocco 32,2 9,5 79,1 20/02/2011
Algeria 13,5 4,7 93,8 22/02/2011
Arabia Saudita 38,6 13,6 176,7 23/02/2011
Siria 18,7 nd 46,0 26/03/2011
Media mondiale 27,1 9,5 69,0  

Fonte: nostre elaborazioni su dati Banca Mondiale e Facebook.

Si può poi notare come anche in Giordania e Oman, paesi che da un punto di vista cronologico hanno per primi seguito le vicende tunisine, ci sia un’ampia diffusione di Internet e della telefonia mobile, ad evidenziare come la maggiore circolazione delle informazioni sia tra le principali determinanti di quell’effetto domino che ha provocato l’estensione delle proteste in tutta l’area del Nord Africa e del Medio Oriente.    

QUALI INDICAZIONI PER LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE?

Prescindendo da considerazioni prettamente politiche, dalle informazioni fin qui descritte sembrerebbe emergere che se la comunità internazionale vuole affrontare in modo strutturale il problema delle popolazioni insorte deve intervenire in primo luogo sui relativi mercati del lavoro, favorendone l’efficienza e lo sviluppo. L’Europa, in particolare, potrebbe beneficiare di questa politica: da un lato, infatti, si ridurrebbero i flussi migratori provenienti dai paesi interessati dalle rivolte; dall’altro, la crescita di benessere delle popolazioni del Nord Africa e del Medio Oriente potrebbe far aumentare i mercati di sbocco per le merce europee, posto che in quelle aree vi vivono più di 300 milioni di persone. 

(1) La lista dei paesi considerati nell’analisi è stata definita sulla base di questa mappa.
(2) La presenza di una forte disoccupazione anche in paesi con elevati redditi procapite discende anche da scelte di natura politica. Come ben evidenziato da Laidi su questo sito. tutti i regimi autoritari hanno interesse a che la popolazione sia dipendente dal potere e dalle sue ricchezze. Si preferisce infatti governare una popolazione disoccupata in quanto è dipendente dallo Stato.

*Le opinioni espresse appartengono esclusivamente agli autori e non sono quindi attribuibili all’Istituto di appartenenza.

 

DEMOCRAZIE D’ARABIA

Le recenti proteste popolari hanno risvegliato il mondo arabo da un pluriennale torpore. Ma quali sono le prospettive della democrazia in Nord Africa e Medio Oriente? L’evidenza storica suggerisce che i paesi meno dipendenti dalle risorse naturali e caratterizzati da una distribuzione della ricchezza più eguale hanno maggiori possibilità di cambiare sistema politico in maniera poco violenta e di arrivare a democrazie caratterizzate da una più ampia tutela delle libertà individuali. E ciò non fa ben sperare per i paesi arabi oggi coinvolti nei conflitti più violenti.

LA LIBIA E NOI

Il prezzo del petrolio ha raggiunto ieri a Londra il valore più alto da settembre 2008. La fibrillazione dei mercati energetici, e di conseguenza dei metalli preziosi e delle materie prime, nasce dai disordini e dalle rivolte popolari che dalle coste del Mediterraneo si vanno allargando al Medio Oriente e al Golfo Persico. Ma sono soprattutto i recenti sviluppi libici a fare scorrere brividi gelidi lungo la schiena dei governanti dei paesi occidentali, dei dirigenti di molte loro imprese e degli operatori, finanziari e non, dei mercati energetici. Vale in particolare per l’Italia.

I VERI PERCHÉ DELLA RIVOLUZIONE EGIZIANA

Le cause della rivoluzione egiziana di questi giorni non sono da individuare nel deterioramento della situazione economica del paese. A partire dal 2000, sono state avviate varie riforme che hanno permesso negli ultimi cinque anni una crescita media del 5 per cento l’anno e una diminuzione della disoccupazione. Le manifestazioni nascono probabilmente dalle condizioni sociali e politiche dell’Egitto. Dove a non trovare lavoro sono soprattutto i giovani più scolarizzati. Gli stessi che peraltro appaiono profondamente tradizionalisti. La tranquillità dei mercati finanziari.

L’ANNO DEL DOHA ROUND

Si può fare: il ciclo di negoziati sul commercio globale denominato Doha Round può concludersi con un accordo entro il 2011. La regolamentazione del commercio entrerebbe finalmente nel ventunesimo secolo. E il Wto potrebbe passare a occuparsi delle problematiche di nuova generazione. Servirà però l’intervento diretto dei capi di Stato e di governo, per accettare i compromessi necessari e dimostrare così quell’atteggiamento illuminato rivelatosi indispensabile ogni qual volta si sia dovuto concludere un accordo commerciale multilaterale, fin dal 1940.

LA TUNISIA E LA TRAGEDIA ARABA

I paesi arabi sono caratterizzati da regimi sistematicamente repressivi, oltre che inefficienti e improntati a un’eccezionale longevità politica. Alla base del regime c’è sempre il clan, costituito dalla famiglia allargata del presidente. Tutto ciò causa una stagnazione politica eccezionale, che provoca un rapporto nevrotico tra mondo arabo e Occidente, di cui l’Iraq è l’esempio paradigmatico. E fa nascere un sentimento d’umiliazione esacerbato dal fallimento economico generalizzato.

La Cina: troppo autoritaria e troppo liberista

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