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Categoria: Infrastrutture e trasporti Pagina 45 di 57

CORDATE

AirFrance, Aeroflot. Tutto va bene per migliorare il risultato finale della trattativa. Anche se, fuori dalle polemiche elettorali, Alitalia convolerà a giuste nozze, quasi certamente con Air France. Come ha detto Berlusconi, basta che ci sia “pari dignità – il che non significa nulla, ma aiuta perché si può sempre sostenere che finora Air France non l’avesse data, e che la sua prossima proposta (quasi identica alla prima) soddisfa invece questo requisito.
E va bene così proprio per difendere l’interesse nazionale, per avere qualcuno che ha capacità manageriale, risorse finanziarie e network capaci di rilanciare questa impresa. Questo non basterà per garantire che la nuova Alitalia sappia dare un servizio di qualità a prezzi accettabili – per questo si dovrà far funzionare la concorrenza. E largo ai vari Meridiana, AirOne, ecc., ben vengano, e chi ha pilo (competitivo) farà più tela.
E Malpensa? Non è mai stato un problema del nord. Andate a Bergamo o Brescia per sentire quanto tengono a Malpensa. Eppure i milanesi ricordano bene che l’unica ragione per cui tanti volano da Malpensa è che dieci anni fa un decreto del governo (centro sinistra) chiuse centinaia di voli da Linate, che il mercato voleva tenere lì e cheper decreto sono stati deportati a Malpensa.
Il ridimensionamento di Malpensa è un problema dell’alta Lombardia e dovrà esssere risolto come tale: un problema di sviluppo territoriale.
La lega – a suo tempo contraria all’intervento dello Stato – oggi reclama i soldi di Roma per Malpensa. Ma se diamo aiuti di Stato a una delle regioni più ricche d’Europa, quanto denaro dovremo dare alla Sicilia?

INFRASTRUTTURE

Un esame dettagliato di tutti i programmi elettorali per quanto riguarda le politiche delle infrastrutture e dei trasporti è stato condotto dal gruppo di lavoro Movitalia del Wwf.
Tutti i programmi elettorali dei partiti parlano di “infrastrutture” o di “opere pubbliche”, sia pure con diversi gradi di priorità.

POPOLO DELLA LIBERTÀ

Il Popolo delle libertà pone il tema delle infrastrutture (insieme a energia e telecomunicazioni) nell’ambito della “prima missione” e, quindi dà a esso grande rilevanza. In realtà, non si dice molto salvo proporre “il rifinanziamento della Legge obiettivo e delle grandi opere, con priorità alle Pedemontane lombarda e veneta, al Ponte sullo Stretto di Messina e all’alta velocità ferroviaria (…) realizzazione dei rigassificatori”. Il tema ricorre ancora nella “quinta missione” (Sud) quando si parla di “un piano decennale straordinario concordato con le Regioni per la realizzazione delle infrastrutture”. Qui si menzionano i porti, le reti stradali e autostradali e, di nuovo, l’alta capacità ferroviaria e il Ponte sullo Stretto. Un cenno c’è alla necessità di valorizzare Malpensa come “hub”, in contrasto con i piani di Alitalia.
Nessun riferimento viene fatto all’esigenza di creare un preciso ordinamento dei programmi relativi alle diverse infrastrutture secondo i criteri standard internazionali di valutazione economica e finanziaria; nessun cenno all’esigenza di inserire le infrastrutture in una logica di programmazione dei servizi che dovrebbero farne uso; nessuna menzione del ruolo che la tecnologia può avere per migliorare la funzionalità delle infrastrutture esistenti, a costi assai inferiori rispetto a quelli della costruzione di nuove infrastrutture. Silenzio su come superare la “sindrome Nimby” senza innescare scontri frontali con le comunità locali e silenzio profondo sull’ammontare delle risorse da destinare alle infrastrutture. Del resto, la riproposizione della logica della Legge obiettivo è già un’indicazione piuttosto precisa della direzione che l’eventuale governo del Pdl prenderebbe in materia.

PARTITO DEMOCRATICO

Il Partito Democratico parla di infrastrutture nell’ambito dell’ “azione 5, l’ambientalismo del fare”.
È esplicitamente dichiarata la priorità al trasporto ferroviario ed è esplicitamente menzionata la Tav Torino-Lione. Il punto forte sembra essere la “cura del ferro” per le aree metropolitane, seguendo l’esperienza avviata con successo nello scorso decennio a Roma e, molto prima, nelle aree metropolitane tedesche, francesi, inglesi. In questo quadro si inserisce l’accenno al fatto che “il completamento dell’alta velocità metterà a disposizione del trasporto regionale un aumento del 50 per cento delle tratte ferroviarie”. Si tratta di una considerazione molto ottimistica e vera soltanto per poche direttrici, mentre in alcuni casi la penetrazione dell’Av nei nodi è stata progettata in modo da rendere più difficoltosa la circolazione dei treni pendolari.
Come nel caso del Pdl, le priorità menzionate dal Pd prescindono da qualsiasi valutazione dei costi e dei benefici delle opere; si propone soltanto una riforma della procedura di valutazione d’impatto ambientale, al fine di superare “l’ambientalismo che cavalca ogni Nimby e impedisce di fare le infrastrutture necessarie al paese”. C’è forte timore che ci voglia ben altro. Non si parla di una revisione della Legge obiettivo, né della necessità di coordinare la programmazione delle infrastrutture con una coerente politica dei servizi. Non è chiaro come tutto ciò si concili con la proposizione del “federalismo infrastrutturale” dell’“azione 2, per un fisco amico dello sviluppo”, sperimentato dal governo Prodi con la regione Lombardia.

SINISTRA ARCOBALENO

Alle “grandi opere” fa riferimento anche la Sinistra Arcobaleno, per dire che non vanno fatte la Tav, il Ponte sullo Stretto e il Mose di Venezia, ma “interventi su nodi ferroviari urbani, infrastrutture ferroviarie nel Mezzogiorno e potenziamento dei valichi alpini”, oltre a “messa in sicurezza del territorio dal rischio sismico e idrogeologico” e investimenti per migliorare la mobilità pendolare e urbana (metropolitane, tranvie e mezzi a energia pulita). Anche qui, le priorità vengono dichiarate senza neanche menzionare la necessità di un supporto di valutazione economica e un quadro di programmazione che tenga conto della scarsità di risorse per gli usi alternativi.

UDC

Il programma dell’Udc mette al primo posto “il ripristino della Legge obiettivo (eliminazione dei diritti di veto localistici)” e al secondo la realizzazione delle grandi reti su rotaia, menzionando esplicitamente la Tav e il terzo valico (Milano-Genova, per chi non sapesse). Seguono: piano dei porti e “autostrade del mare”, nonché ammodernamento e ristrutturazione della rete autostradale. Pure questo programma non fa cenno alla valutazione e alla programmazione di servizi e infrastrutture.

LEGA NORD

In una risoluzione del sedicente Parlamento del Nord, la Lega ha deciso di mettere al primo posto tra i punti fondamentali del programma il completamento della rete infrastrutturale padana; la regionalizzazione del patrimonio autostradale; il sostegno, non è chiaro se con soldi pubblici, dell’hub di Malpensa, insieme a tutto il “sistema aeroportuale padano” (la contraddizione tra i due obiettivi non viene colta); la costruzione della Tav e di ogni altra opera ferroviaria che colleghi il Nord con il resto d’Europa. Naturalmente, anche in questo caso è assente la nozione di valutazione e di priorità. Anzi una ce n’è: costruire il Ponte sullo Stretto dopo la Tav e a costo zero per lo Stato. L’intersezione tra le due condizioni identifica un insieme vuoto.

LA DESTRA

Secondo La Destra, “se non si fanno tutte le infrastrutture necessarie l’Italia sarà presto fuori dai mercati europei e internazionali”. A prescindere dal fatto che l’affermazione risulta indimostrata e difficilmente dimostrabile, essa è seguita da un elenco che comprende, praticamente, tutto il pensabile. Una priorità però c’è: l’infrastrutturazione del Sud, dalla rete idrica per l’agricoltura (e chissà perché non quella per le assetate città), alle infrastrutture per il turismo, alla riconversione dei vecchi poli industriali dimessi. Non è chiaro come debbano essere individuate le opere “necessarie”, mancando anche in questo caso qualsiasi cenno alla valutazione. Se ne deduce che l’accento (nella frase citata sopra) vada posto più sul “tutte” che sul “necessarie”.

COMMENTO

Stando ai programmi, emerge l’unanime allergia dei partiti italiani nei confronti della scelta assistita da procedure di valutazione basate su criteri scientifici nonché nei confronti dei vincoli di bilancio pubblico (almeno in campagna elettorale). Unanime è anche la tendenza a identificare infrastrutture con cemento e, in larghissima misura, con infrastrutture di trasporto. C’è inoltre una larghissima maggioranza a favore della Tav Torino-Lione e, in generale, delle opere ferroviarie (qualsiasi esse siano e qualsiasi cifra costino), un diffuso fastidio verso i localismi, senza sapere bene come incanalarli e regolarli ex ante in modo che non diventino ostacoli insormontabili ex post. Comunque vada, per la politica infrastrutturale non ci sono good news.

COME RIMETTERE LE ALI AL CARGO

Uno dei maggiori handicap di competitività dell’Italia è la mancanza di una cultura e di una organizzazione logistica moderna. Perché allora non approfittare della crisi di Alitalia e far sì che Poste italiane e Ferrovie dello Stato costituiscano il nucleo iniziale di un polo industriale nella logistica? Magari seguendo l’esempio dei tedeschi. L’operazione sarebbe certo complessa sotto il profilo industriale, finanziario, di governance e della concorrenza. Ma è proprio qui che dovrebbe intervenire lo Stato, per delineare un disegno industriale coerente.

L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL’IRRESPONSABILITÀ

Chi ha accolto con sollievo l’abbandono della trattativa da parte di Air France dovrebbe capire che nel caso di Alitalia l’amministrazione straordinaria porta dritti al fallimento perché la compagnia, così com’è, non è in grado di generare le risorse necessarie a soddisfare i creditori. I sindacati del settore sono riusciti a perdere anche quel poco di credibilità che ancora avevano. Insieme ad alcuni politici hanno mostrato un’irresponsabilità insostenibile. Mentre la cordata fantasma resta tale.

EXPO VUOL DIRE SVILUPPO?

Nell’entusiasmo per l’assegnazione dell’Expo 2015 a Milano, forse è meglio non accettare in maniera acritica affermazioni non dimostrate sugli effetti benefici della manifestazione. Perché le incertezze sono molte. A partire dal bilancio finale dell’organizzatore: eventuali perdite sarebbero pagate dallo Stato italiano. Nel calcolo dell’impatto occupazionale non si considera l’effetto sostituzione. Quanto alle infrastrutture, seppure utili, la loro costruzione non dipende dall’evento.

MONTAGNE RUSSE E BOCCONI AMARI

Nella vicenda Alitalia-Malpensa la politica nostrana sta offrendo il peggio di sé. Il boccone elettorale è evidentemente troppo ghiotto per resistere agli impulsi demagogici. Così, da una parte, si invocano fantomatiche cordate nazionali a sostegno dell’italianità, dimenticandosi che anche se si trovassero le risorse finanziarie si dovrebbe poi essere in grado di far volare gli aerei. Dall’altra, si moltiplicano gli appelli per la difesa dell’indifendibile, dalle rotte ai livelli occupazionali, dimenticandosi che proprio questa difesa a oltranza è stata la responsabile principale della crisi attuale. Ogni parte in gioco, dai sindacati ai politici nazionali e locali, di maggioranza e di opposizione, appare impegnata a criticare le altre nella speranza di far dimenticare le proprie responsabilità. Nell’incertezza, i corsi azionari assomigliano a montagne russe e la compagnia di bandiera è sempre più vicina al punto di non ritorno. La  confusione è tale da far perdere di vista l’essenziale. Per esempio, nel caso dell’offerta Air France quello che appare più indigeribile non è il prezzo offerto (quanto vale una compagnia fallita?) né gli esuberi di personale, oltretutto limitati e facilmente riassorbibili. Piuttosto, è la pretesa della compagnia d’oltre alpe, per difendere i propri hub di Amsterdam e Parigi, di avere la garanzia da parte del governo italiano che da Malpensa non partiranno più le rotte internazionali extracomunitarie precedentemente servite da Alitalia e ora chiuse, una richiesta che secondo le anticipazioni di stampa l’Enac avrebbe già garantito. Se è vero, questo sì che appare lesivo dell’unico interesse nazionale reale, quello dei consumatori italiani, che avranno pure il diritto di volare da dove gli pare e con chi gli pare. Se una compagnia area d’oltreoceano, poniamo asiatica, vuol provare a servire quelle rotte da Malpensa, perché impedirglielo? E’ possibile che il tentativo si riveli fallimentare, come fallimentare era stato quello di Alitalia. Ma sta al mercato stabilirlo e non al governo per conto di Air France. E’ vero che Air France ha posto come irrinunciabile questa condizione, e che comunque, una eventuale risposta negativa da parte del governo ridurrebbe probabilmente ulteriormente il prezzo che Air France è disposta a pagare o aumenterebbe gli esuberi dichiarati. Ma per la collettività può valere la pena di incassare qualche euro in meno o spenderne qualcuno in più per il sostegno dei lavoratori in mobilità, che rinunciare a delle opportunità di mercato che se funzionano potrebbero offrire ritorni economici che sono multipli della spesa attuale. Ed è anche possibile che una simile scelta da parte del governo ridurrebbe anche le richieste di danno della SEA, che allora sì apparirebbero eccessive e ingiustificate. Speriamo dunque che il governo ci ripensi. Ci farebbe una figura migliore, comunque finisca la vicenda.

IL NODO DI MALPENSA

Ostacoli insormontabili nella trattativa per la vendita di Alitalia non sono né la salvaguardia degli occupati né il prestito-ponte. E in fin dei conti neanche la richiesta di indennizzo della Sea. Il vero conflitto riguarda il futuro assetto del mercato fra Fiumicino, Malpensa e gli hub di riferimento di Air France-Klm. E’ qui che deve intervenire il ruolo negoziale del governo. Perché una soluzione di mercato non può prevedere condizioni protezionistiche a vantaggio di qualcuno.

CONSOB E LA CORDATA FANTASMA

Il caso Alitalia tiene ancora banco. Ma nella ridda di dichiarazioni degli ultimi giorni molti sembrano aver dimenticato che la compagnia aerea è una società quotata. E che la Consob, dopo l’attuazione della direttiva Opa, ha in tali situazioni i poteri per garantire la trasparenza e la correttezza delle informazioni. Possiamo quindi sperare che il mistero della cordata fantasma sia tra breve svelato grazie all’intervento dell’Autorità di vigilanza.

ALITALIA AL TERMINAL

L’ultima offerta di Spinetta – CEO di Air France – sembra chiudere il caso Alitalia, lasciando poche speranze a chi ancora pensa o per convinzione ideologica o per opportunismo politico che sia possibile far assorbire manodopera in eccesso a prescindere dal vincolo di bilancio. Puo’ essere vero per una azienda pubblica (e Alitalia lo e’ solo a meta’) ma non per una azienda privata (come Air France con l’ 80% di capitale in mani private). I 2100 esuberi indicati da Spinetta sono probabilmente una delle stime piu’ basse che un acquirente di Alitalia puo’ permettersi di offrire. Questo per due ragioni. In primo luogo perche’ Air France ha un forte interesse per il mercato Italiano e per Alitalia ed e’ disposta – come dimostra l’insistenza in questa trattattiva – a prendersi il rischio di una ristrutturazione complessa e onerosa, e quindi anche ad accollarsi qualche adetto in eccesso in cambio di consenso sindacale. In secondo luogo perche’ la dimensione del gruppo e le sue prospettive di crescita consentono la riallocazione all’interno dello stesso in modo indolore di parte degli esuberi veri che eccedono di gran lunga i 2100 dichiarati. Prima di rifiutare l’offerta di Air France e’ bene quindi riflettere attentamente. L’alternativa potrebbe essere molto peggiore.

CON IL COMMISSARIO NON SI VOLA

Cosa accadrebbe se Alitalia non trovasse un compratore? Cos’è il “commissariamento” di cui si parla come di uno spauracchio? Quali conseguenze scatterebbero per azionisti, creditori, lavoratori e viaggiatori? Se si trasformassero i debiti della società in azioni, come si è fatto con Parmalat, i suoi creditori avrebbero comunque il problema di un’impresa che perde. Occorre una soluzione industriale, perché la finanza ha già fatto tutto quello che doveva, e forse ha fatto anche troppo.

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