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Categoria: Fisco Pagina 54 di 82

Un civil servant al ministero dell’economia

Tommaso Padoa-Schioppa è stato ministro dell’Economia e delle finanze solo per un biennio, vivendo la breve parabola del secondo Governo Prodi. Egli lascia però un’eredità politica ed etica di grande spessore. Il titolo del suo ultimo libro, “La veduta corta”, riassume bene la sua diagnosi sui mali del paese. Da circa 12 anni l’Italia cresce poco e comunque molto meno dei paesi occidentali con cui ci si confronta.

Nebbia in comune sull’autonomia tributaria

Lo schema di decreto legislativo sul federalismo fiscale municipale andrà a regime solo nel 2014. Nella fase transitoria (2011-2013) la devoluzione dei tributi erariali immobiliari viene controbilanciata dalla eliminazione di gran parte dei trasferimenti statali ai Comuni in una misura che però non è stata ancora concordata. Sarebbe bene avere presto un quadro più preciso dei numeri in gioco e delle regole da seguire per garantire più certezze per le politiche di bilancio dei Comuni.

 

Gli Italiani e l’evasione fiscale

Meno evasione e servizi pubblici migliori sono le priorità degli italiani. Lo dice un’indagine del Censis su un campione rappresentativo della popolazione. L’evasione, percepita in aumento negli ultimi tre anni, è considerata un problema grave dall’89,7 per cento degli intervistati. Il gettito recuperato con il contrasto all’evasione dovrebbe però essere utilizzato per ridurre le imposte e non tradursi in un aumento della pressione fiscale, giudicata già alta. E servirebbe un impegno credibile a migliorare la capacità della spesa pubblica di rispondere ai bisogni dei cittadini.

 

La risposta ai commenti

1.  Sembra chiaro ormai, anche se non sta scritto nella bozza di decreto, che i cosiddetti “costi standard” serviranno a ridurre il budget del SSN, a partire dal 2013. Il budget 2012, già approvato, è di 110 mld di euro, ma quello del 2013 – ottenuto applicando i “costi standard” delle 3 regioni virtuose –potrebbe rimanere inchiodato a 110 mld o persino scendere a 109 mld. Lo accetteranno le regioni? Non era forse chiaro dall’’articolo, ma ben presente nel testo del decreto, che il fabbisogno nazionale è fissato a priori dal governo, compatibilmente con le variabili macroeconomiche e i vincoli comunitari
Per chi non avesse afferrato, lo scoop sta nel fatto che, secondo le numerose dichiarazioni ascoltate, –il costo standard dovrebbe guidare la distribuzione delle risorse tra le regioni –(e non è vero, come dimostrato nell’’articolo) mentre guida semmai la riduzione del fabbisogno nazionale, che è tutt’’altra cosa. La riduzione penalizzerà, in proporzione, tutte le regioni. Se si voleva ridurre la spesa delle regioni inefficienti, questo non succederà, perché continueranno a ricevere la stessa quota di oggi.
2.   C’’è un equivoco da chiarire, che è fonte di molte incomprensioni: quello secondo cui i costi standard bassi sono sinonimo di efficienza e quelli alti di inefficienza. I costi standard, invece, non sono altro che il fabbisogno finanziario medio per abitante (o quota capitaria pesata) – sta scritto nel decreto, art. 22 comma 5 –che è l’’ammontare di risorse eque e necessarie per ogni regione, data la sua struttura demografica e i suoi bisogni sanitari. La quota capitaria è calcolata presupponendo un’’efficienza media eguale in tutte le regioni ed è crescente in funzione dell’’età. Il decreto governativo afferma invece che sono efficienti solo le regioni che chiudono i bilanci in pareggio. Siccome, di fatto, solo 5-6 regioni del nord, con popolazione giovane e molta spesa privata, che alleggerisce la pressione sul pubblico, chiudono alla pari, si assumono come regioni efficienti e virtuose. Ma questo è un falso ideologico: sono efficienti, data la loro struttura demografica giovane. Efficiente potrebbe essere anche una regione anziana, come la Liguria, che ha la quota capitaria massima: allora dovremmo assumere questo valore come costo standard efficiente e aumentare il budget del SSN? Applicare il fabbisogno medio delle regioni benchmark  chiunque esse siano –è un’’operazione in ogni caso illegittima e distorsiva.
Non condivido quindi la posizione che questo metodo sia comunque un passo in avanti: è invece una regressione, non ha fondamento teorico e non è presente in nessun paese con sistema sanitario decentrato o federale. Vorrà dire qualcosa?
3.   Da alcuni commenti traspare una certa confusione tra i costi standard per prestazione, come molti pensano e la L 42/09 autorizza a pensare, e i costi standard per abitante, come invece fa il decreto attuativo. Ciò che tutti hanno in mente, salvo poi aggiungere che è inattuabile, è l’’idea di un costo standard per prestazione (un ricovero, una visita, una certa dose di farmaci). Questo metodo (analitico) porterebbe a risultati simili a quelli voluti dalla bozza di decreto. E sarebbe molto più trasparente per i rapporti tra Stato-Regioni e tra Regioni-cittadini. Aprirebbe però la strada a chiedersi anche quante prestazioni debba comprendere lo standard. E’ un’’operazione comunque fattibile, a dispetto dei molti scettici (ho effettuato una simulazione a questo proposito), anzi viene già compiuta con la ponderazione della popolazione e lo si può dimostrare facilmente. Vogliamo parlarne?

Il nuovo fisco regionale? Quello di prima

Nel decreto omnibus sul federalismo fiscale approvato dal governo è delineato anche il sistema di finanziamento delle Regioni a statuto ordinario. I tributi disponibili restano quelli di oggi: Irap, addizionale Irpef, compartecipazione Iva, con qualche margine di manovra in più, seppure sotto il vincolo di non aumentare la pressione fiscale generale. Sul sistema perequativo delle Regioni, lo schema di decreto aggiunge poco a quanto detto dalla legge delega. Scioglie alcuni ma non tutti i dubbi e suscita però anche nuovi interrogativi.

Riforma fiscale: è l’ora di discuterne

Il tema della riforma fiscale è stato più volte riproposto nel corso della legislatura. Da ultimo il presidente del Consiglio ha fatto del fisco uno dei cinque punti su cui richiedere la fiducia alle Camere. Il ministro dell’Economia ha in più occasioni affermato che su questo tema è auspicabile un ampio confronto. Un contributo alla discussione può venire da un documento di analisi e discussione elaborato da un gruppo di esperti che ha lavorato in questi mesi presso la sede del Nens.

Cedolare con molti difetti

L’introduzione della cedolare secca farà probabilmente emergere parte dei redditi da affitto finora non dichiarati al fisco, grazie al contrasto di interessi che si crea tra proprietario e inquilino. Difficilmente invece riuscirà ad ampliare l’offerta di case in locazione, anche perché si applica solo alle persone fisiche. Mentre mette la parola fine al tentativo di abbassare i canoni attraverso la leva fiscale. Gli effetti sui comuni.

La risposta ai commenti

Sono piacevolmente sorpresa dell’’interesse suscitato da un pezzo che riporta il dettaglio degli studi scientifici sugli effetti dell’’inquinamento dell’’aria sulla salute umana.
Naturalmente, l’’interesse maggiore è centrato sulle possibili soluzioni da adottare per contenere questo fenomeno. Mi sembra interessante ed estremamente attuale quanto osservato da Giuseppe Caffo, che sottolinea la necessità di scelte importanti quando la difesa della salute sembra essere in contraddizione con gli interessi del settore produttivo, a meno di rilevanti innovazioni.
Dello stesso tenore è il commento di Marco Spampinato, che richiama l’’attenzione sulla necessità di valutare l’’efficacia degli interventi mirati a migliorare la qualità dell’’aria. Approfitto del suo commento per ricordare che la valutazione di efficacia di questi interventi è attualmente orientata, a livello internazionale (Health Effect Institute), su cinque tematiche che vanno dal bando del carbone come combustibile, ad interventi complessi di lungo termine e di largo raggio che riguardano più di un paese (1) . La riduzione del traffico è inclusa tra le tematiche ma, fino ad ora, le tante soluzioni adottate, non sempre confrontabili tra loro, hanno prodotto risultati non univoci, come nell’’ultima esperienza londinese, nota come “London Congestion Charge” (2).
Il commento di Bruno Stucchi, anche se improntato ad una intolleranza direi antigalileiana, mi dà l’’opportunità di fare qualche considerazione sui criteri di causalità (originariamente fissati da Bradford-Hill) che si utilizzano anche negli studi epidemiologici. L’’ultimo di questi criteri, e forse il più intrigante, dice che, rimossa la causa di una patologia, la sua frequenza dovrebbe ridursi. Anche nel nostro caso, come suggerisce anche Fabrizio Balda, il risultato atteso, quando si riduca la concentrazione del particolato (PM10), è un miglioramento dello stato di salute della popolazione. Allo stesso principio si ispirano le direttive della Comunità Europea nell’’adottare limiti sempre più ridotti per la concentrazione degli inquinanti atmosferici.
Per questa ragione lo stesso gruppo di ricercatori ha proposto un secondo progetto (EPIAIR2), che è stato approvato dal Ministero della Salute ed è appena iniziato. L’’obiettivo è quello di misurare, nelle stesse aree, l’’effetto degli inquinanti atmosferici nel periodo 2006-2009, durante il quale si è registrata una riduzione del particolato. Il progetto, che sarà coordinato da ARPA Piemonte, presenta tre novità importanti: 1) include altre città rispetto alle 10 originarie, in modo da ottenere una migliore rappresentatività a livello nazionale; 2) stima gli effetti della frazione fine del particolato (PM2.5), di cui non erano disponibili a dati per il 2001-2005 e che rappresenta la frazione più attiva rispetto agli effetti sulla salute; 3) utilizza anche dati di caratterizzazione chimica del particolato. Questa scelta si ispira ai risultati dei più recenti studi internazionali che hanno evidenziato la possibilità di effetti sanitari importanti anche dopo riduzione della concentrazione del particolato. L’’ipotesi di diversi ricercatori sia in USA che in Europa è che la composizione chimica del particolato possa spiegare questo andamento.
Da lettrice appassionata della Domenica quiz (spero non me ne vogliano i lettori della Settimana enigmistica per questa storica rivalità) devo spezzare una lancia a favore delle riviste di enigmistica. Non vi troverete i risultati dei più recenti studi scientifici, e neanche del nostro EPIAIR, ma i giochi che propongono irrobustiscono la capacità logica che molto contribuisce ad un approccio scientifico ai problemi.

(1) Annemoon M. M. van Erp, Robert O’Keefe, Aaron J. Cohen, and Jane Warren. Evaluating the Effectiveness of Air Quality Interventions. Journal of Toxicology and Environmental Health, Part A, 2008; 71: 583–587.
(2) C Tonne, S Beevers, B Armstrong, F Kelly, P Wilkinson. Air pollution and mortality benefits of the London Congestion Charge: spatial and socioeconomic inequalities. Occupational and Environmental Medicine 2008; 65:620-627

Effetto cedolare

Dal 2011 scatta la possibilità di scegliere una cedolare secca del 20 per cento sugli affitti in sostituzione di quanto pagato finora per Irpef, addizionale regionale e comunale, imposta di registro. Con quali effetti? Le stime indicano che l’intervento porterà a una diminuzione del gettito fiscale dello 0,74 per cento. Che dovrà essere compensato da una massiccia, e ardua da realizzare, emersione dal “nero”: si dovranno trovare tre evasori ogni quattro contribuenti. Aumentano poi le disuguaglianze perché la cedolare avvantaggia di più le famiglie con reddito più elevato.

La risposta ai commenti

L’’imposizione sull’’abitazione di residenza è la norma negli altri paesi. Il valore dell’’immobile di residenza è un ottimo indicatore di capacità contributiva, fortemente correlato con reddito e ricchezza.
L’esenzione da imposte sulla “prima casa” determina dunque iniquità orizzontale. Tale esenzione non si giustifica con il fatto che si tratta di un bene primario: molti altri beni primari (il cibo, il vestiario) sono tassati.
D’altra parte, l’’imposizione sulla casa di residenza non esclude la possibilità di applicare deduzioni o detrazioni in grado di modulare l’’onere impositivo tra le diverse famiglie (molto meglio che distinguere soltanto tra abitazioni di lusso e non di lusso).
Va anche detto che l’investimento immobiliare ha nel nostro sistema un trattamento di favore, visto che la rendita catastale sottostima fortemente la redditività effettiva dell’immobile. Ciò discrimina rispetto a investimenti alternativi ad esempio in attività produttive.
Non si dimentichi inoltre che l’’imposta sugli immobili rappresenta uno dei pochi esempi di tributo effettivamente locale, in quanto caratterizzata da una base imponibile sufficientemente uniforme e stabile sul territorio nazionale e che ben si collega ai benefici che i cittadini ricevono dall’’attività pubblica. Anche da questo punto di vista, è chiaro che l’’esenzione delle abitazioni principali non consente di ottenere un federalismo pienamente responsabile. Il punto sollevato nell’’articolo riguardava proprio questo aspetto: chi prende le decisioni deve essere anche chi sopporta i costi di queste decisioni; dunque non si possono escludere i residenti nel disegno dell’autonomia tributaria.

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