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Categoria: Unione europea Pagina 77 di 96

DOVE APPRODA IL PRESTITO PONTE

Per essere utile il prestito ponte dovrebbe essere risolutivo per le sorti di Alitalia. Preludere cioè dell’arrivo di un acquirente certo. A queste condizioni neanche Bruxelles avrebbe da ridire. Alla compagnia serve non solo un partner finanziario, ma anche un partner industriale solido. Il socio finanziario dovrebbe immettere soldi freschi, quello industriale essere in grado di inserirla in uno dei grandi network europei. Air France rispondeva a entrambi i requisiti. Non altrettanto si può dire dei nuovi pretendenti. Soprattutto se tra questi c’è Sviluppo Italia.

CHI PIANGE SULL’EURO FORTE*

La rivalutazione della moneta europea è un problema per gli esportatori che devono ridurre i margini. Ma è una buona notizia per i consumatori. O almeno per gli importatori dai paesi dell’area dollaro, che realizzano grandi guadagni. D’altra parte, ben più delle banche centrali sono i mercati finanziari a dettar legge sui tassi di cambio. Ed è bene che sia così. Perché nessuno sa quale sia il giusto livello del dollaro. Tanto meno quei governi che ascoltano troppo chi oggi piange e troppo poco chi ride.

LARGO ALLE GIOVANI IMPRESE*

Le grandi imprese europee se la cavano bene nella competizione internazionale. Invece, hanno difficoltà ad affermarsi le start up, al contrario di quanto avviene negli Stati Uniti. Dove da tempo il sistema finanziario è in grado di garantire gli investimenti necessari alle aziende emergenti. L’Europa dovrebbe allora rivedere la regolamentazione prudenziale, aprire il settore a soggetti non banking e stabilire regole semplici valide per tutti. Insieme a una tassazione omogenea delle attività finanziarie e alla armonizzazione delle norme sulla bancarotta.

DIRETTIVA SUL CONSUMO, MA SENZA MUTUI

Nel complesso la nuova direttiva comunitaria sul credito al consumo è un passo avanti sulla strada della tutela dei consumatori. Propone un’articolata serie di norme sugli obblighi di informazione attraverso i quali il consumatore diverrà più consapevole delle proprie capacità di indebitamento e capace di scegliere le migliori condizioni contrattuali offerte dagli intermediari. Tuttavia, il legislatore comunitario poteva avere più di coraggio e occuparsi anche di una delle principali cause di sovraindebitamento: il mutuo per acquistare la casa.

ATLANTIDE: UNA PARABOLA SUL FEDERALISMO*

Diversi stati europei ripensano la loro organizzazione federale. Mentre in Italia si discute dell’istituzione di un senato federale, in Germania si cerca di distinguere in modo più netto tra le competenze del governo centrale e quelle dei länder. In Gran Bretagna si riformula il sistema di finanziamento delle amministrazioni locali. Per valutare questi interventi è però necessario avere un modello comune di federalismo. E se come punto di partenza si considerano gli individui, si scopre che molti problemi istituzionali finiscono per scomparire.

QUALI REDDITI SONO RIMASTI AL PALO

I dati relativi al 2006 dell’indagine sui bilanci familiari della Banca d’Italia confermano quanto era prevedibile: gli indici di disuguaglianza e povertà per le famiglie italiane non hanno subito di recente modifiche di rilievo. Con un rischio di povertà molto superiore per i giovani rispetto agli anziani. Tuttavia, è in corso da tempo una ricomposizione interna ai redditi delle classi medie. Crescono i redditi degli indipendenti, mentre sono praticamente fermi quelli dei dipendenti, soprattutto nel settore privato. E l’euro non c’entra.

L’ACCORDO CHE NULLA CAMBIA*

L’intesa appena raggiunta tra le parti sociali in Francia non aprirà la strada a una riforma storica del mercato del lavoro. Tutt’altro. Il piano introduce cambiamenti di importanza secondaria: continua a proteggere i lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato. Mentre per i disoccupati si resta sul piano delle belle parole, senza interventi concreti di sostegno. Anche sui licenziamenti nessuna novità. Anzi la cosiddetta rottura convenzionale del rapporto di lavoro potrebbe avere alla lunga effetti negativi.

RICCARDO ROVELLI COMMENTA L’INTERVENTO DI VITO TANZI

Concordo con Vito Tanzi che “non c’è un solo modello europeo o sistema di protezione sociale”.
Aggiungo anzi che la malintesa idea che l’UE dovesse farsi carico di promuovere un “modello sociale europeo” è all’origine di svariati equivoci, e in parte anche di un’eccessiva acrimonia nei confronti della (ormai superata) “Proposta di una costituzione per l’Europa”.
Ed è giusto chiederci, con Tanzi “se nei prossimi anni gli attuali modelli europei di protezione sociale potranno sopravvivere senza che ciò significhi un serio danno per le economie europee.”
Ma cosa ne consegue, in positivo?

Tanzi evidenzia un obiettivo, anche questo del tutto condivisibile: “Bisogna riuscire a studiare e introdurre moderne reti di protezione sociale che ottengano obiettivi non dissimili da quelli raggiunti dai migliori sistemi europei, ma che lo facciano in modo più efficiente e più ‘amico del mercato’.”
Tuttavia, ci ricorda anche un pesante vincolo: “l’Unione Europea non riuscirà a divenire ‘l’economia più competitiva del mondo’ senza ridurre significativamente i livelli di tassazione”.
A questo punto, rimango un po’ perplesso.  Da un lato vogliamo un sistema di protezione più inclusivo è  più amico del mercato, ossia più indirizzato a incentivare alti livelli di occupazione (questo è, tra l’alto, uno dei principali obiettivi della “strategia di Lisbona”) … ma dall’altro vogliamo un sistema che costi di meno e consenta di ridurre i livelli di tassazione. Non sarà che vogliamo la quadratura del cerchio?
In effetti è proprio così! Come mostra un recente studio (dal quale ho tratto la Figura sotto riprodotta) c’è una correlazione piuttosto elevata, all’interno dell’UE, fra il tasso di occupazione di un paese e la spesa nelle politiche volte al mercato del lavoro (in percentuale del PIL).

Spese in politiche del lavoro (%PIL) e Tasso di occupazione in 24 paesi UE (2005)

Fonte: R. Rovelli e R. Bruno, Labor Market Policies and Outcomes: Cross Country Evidence for the EU-27, IZA DP No. 3161, scaricabile da: http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1036861

Fra i paesi che sembrano “sfuggire” a questa correlazione c’è il Regno Unito (uk): che tuttavia ottiene un elvato tasso di occupazione (ai livelli della Svezia) con un sistema di politiche del lavoro senz’alto poco costoso (meno di 0,7 % del PIL), ma al prezzo di un tasso di povertà relativa fra i peggiori d’Europa.
In effetti, in tutta l’Europa c’è solo la Repubblica Ceca che riesce a “spendere poco” nel mercato del lavoro e ad ottenere in cambio sia un tasso di occupazione “discreto” (il 65%) sia bassi indici di povertà relativa. 
Pur tenendo conto di questa e poche altre eccezioni, sembra assai difficile sfuggire alla regola per cui alti tassi di occupazione e di inclusione sociale costano molto: Danimarca, Finlandia, Olanda, Svezia e Germania spendono in politiche del lavoro fra il 2,5 ed il 4% del rispettivo PIL (l’Italia, tanto per dire, sta all’ 1,3%).
Né, i paesi che ho nominato, sembrano essere troppo penalizzati dai costi di queste politiche: tutti e cinque i paesi virtuosi hanno ampli surplus di conto corrente nella bilancia dei pagamenti, bilanci pubblici in ordine, mercati di borsa in rapida crescita (tranne la Svezia), e il loro PIL cresce più velocemente di quello italiano!
Il problema, in conclusione, mi sembra legato alla composizione e qualità della spesa per lo stato sociale. A paesi come l’Italia certo non servirebbe spendere di più e male. Ma neppure tagliare la spesa pubblica e basta sarebbe una soluzione. Bisognerebbe invece sostitituire interventi e spese che scoraggiano la partecipazione al mercato del lavoro con altri che effettivamente promuovano la flessibilità e la ricerca dell’impiego. Ma senza promuovere l’illusione che queste politiche non abbiano un costo elevato.

STRATEGIA DI LISBONA E MODELLI DI WELFARE

L’Unione Europea non riuscirà a divenire l’economia più competitiva del pianeta se non riduce significativamente gli attuali livelli di tassazione, necessari per finanziarie i costosi welfare state, e il ruolo dello Stato nella regolazione dei mercati. In un mondo sempre più globalizzato e con una competizione crescente servono reti di sicurezza che proteggano i lavoratori più esposti ai rischi del cambiamento. Ma che non possono essere i sistemi di protezione sociale pensati nel secolo scorso. Ne occorrono di nuovi, più efficienti e più amici del mercato.

IL PREZZO DEL SOSPETTO*

I francesi più di ogni altro popolo al mondo diffidano dei concittadini, dei colleghi, dei poteri pubblici e del sistema giudiziario. Ovviamente sono anche ostili all’economia di mercato. Un atteggiamento assunto dopo la seconda guerra mondiale. Che però ha generato un circolo vizioso dagli alti costi economici, e non solo. Come uscirne?Ristabilire la fiducia vuol dire invertire la marcia, correggendo la deriva corporativista e opponendosi all’interventismo statalista del modello sociale francese. Per permettere alla Francia di guardare al futuro con fiducia.

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