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Autore: Paolo Manasse Pagina 3 di 5

Il costo dell’instabilità politica

La fase di conflittualità e di incertezza politica registrata negli ultimi mesi potrebbe avere effetti assai gravi sui delicati equilibri della finanza pubblica. Abbiamo analizzato la relazione tra una misura di conflittualità e la variazione del tasso a lungo termine sui titoli del nostro debito pubblico a dieci anni. Ad esempio, alle polemiche dell’affaire Montecarlo di agosto si associata un aumento del tasso a lungo termine di circa 5 punti base. Che, se dovesse perdurare indefinitamente, potrebbe equivalere a oltre 830 milioni di euro di maggiori oneri di interessi.

Virtuosi e lazzaroni dei tagli di bilancio

È proprio vero, come afferma il ministro Tremonti, che la manovra economica del Governo italiano è in linea con quanto fanno gli altri paesi europei? Passando in rassegna i tagli di bilancio dei paesi dell’Unione e mettendoli a confronto con un benchmark europeo, possiamo assegnare ad ognuno la patente di “virtuoso” o di “lazzarone”. E risulta evidente che l’Italia, purtroppo, si comporta peggio degli altri.

I tagli in Europa

 

I tagli di bilancio sono oggi all’’ordine del giorno in tutta Europa. Le manovre ”presentano, da paese a paese, notevoli differenze per l’’entità, l’’orizzonte di attuazione, la composizione (tra tagli di spese  ed aumenti di entrate), la natura di breve o lungo periodo dei risparmi,  le riforme istituzionali che li accompagnano (o meno), i livelli di governo (centrale, locale) maggiormente coinvolti. La Tabella 1 descrive  la dimensione dei tagli di bilancio in rapporto al PIL dei diversi programmi nazionali per il 2010-2015. Si va dalle “grandi manovre” di Grecia, Spagna,  Portogallo, Spagna,  ma anche di Francia e Regno Unito, a tagli tutto sommato modesti di Italia, Austria, Olanda, Ungheria, Slovacchia (i tagli in Irlanda sono anteriori al 2010 e quindi non compaiono appieno nella tabella).

Tabella 1: Aggiustamenti  di Bilancio in Europa, 2010-15 (% PIL)

Paese Aggiustamento
Austria 0,9%
Belgio 5,3%
Francia 4,5%
Germania 3,0%
Grecia 10,7%
Irlanda 3,2%
Italia 1,6%
Paesi Bassi 2,1%
Portogallo 6,6%
Slovacchia 2,5%
Spagna 8,2%
Svizzera 0,9%
Ungheria 1,6%
UK 6,0%

Fonte: CESIFO

Per lo più  le manovre consistono in riduzioni (o limiti alla crescita) della spesa corrente (in Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Irlanda, Olanda, Spagna), e spesso incidono su comparti sensibili  di spesa sociale (sanità in Belgio e Olanda; stipendi pubblici e pensioni, nella Repubblica Ceca, Grecia, Olanda). In altri paesi non sono risparmiati neanche gli investimenti pubblici (Irlanda, Italia, UK). Per ragioni connesse alla loro organizzazione federale, in Belgio, Germania, Italia, Spagna, Svizzera (e Svezia ) i tagli coinvolgono in maggior misura i livelli di governo locale.
Alcuni paesi hanno recentemente introdotto dei vincoli legali che pongono le decisioni di bilancio all’’interno di un  framework di medio termine che garantisca la disciplina del bilancio. Vincoli a livello Costituzionale sono presenti in Polonia e Germania, dove il  governo ha recentemente approvato una norma costituzionale che a partire dal 2016 impone che il deficit strutturale del bilancio federale non superi lo 0,35 per cento del Pil e che i Laender presentino bilanci in pareggio. Regole fiscali che rendono vincolanti gli impegni di riduzione di spesa sono presenti/ad esempio in Ungheria, Irlanda (annunciato nel 2009), UK.
Guardando ai paesi della zona Euro appare che, in media, i tagli previsti tendono ad essere più cospicui per i paesi che presentano più elevati disavanzi primari, maggiore indebitamento rispetto al Pil e più elevato disavanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti (1). Se prendiamo i tagli descritti nella Tabella per i soli paesi della zona Euro più Regno Unito e ponderiamo ciascuna manovra con il peso di ciascun paese sul Pil della zona, scopriamo che l’’entità dei tagli previsti dal 2010 al 2015 è considerevole: circa 5 punti del Pil dell’’Euro-zona.
(1) Si veda il mio blog per maggiori dettagli.

La soluzione ragionevole dell’emergenza greca

L’euforia seguita all’annuncio delle misure del pacchetto salva-euro ha avuto vita breve: il giorno dopo, le borse sono ridiscese, gli spread sui titoli dei paesi a rischio aumentati e l’euro ha proseguito la sua caduta. Ha ragione allora chi sostiene che le misure sono inutili o dannose e che era preferibile il default della Grecia? Il piano Europa-Fondo monetario rappresenta una risposta ragionevole in una situazione di emergenza. Se darà gli effetti sperati dipende in larga misura dalle prossime mosse dei più importanti paesi europei, Germania in testa.

SALVIAMO LA GRECIA. DA SE STESSA

Il governo greco ha chiesto all’Unione Europea e all’Fmi di attivare i 45 miliardi di aiuti concordati. Ma è ancora possibile salvare a Grecia? E quanto costerebbe? Lasciato a se stesso, il paese è condannato al ripudio del debito pubblico. Eppure, la crescita del debito è in larga misura dovuta alla spesa per gli interessi e l’apertura di linee di credito internazionali potrebbero migliorare le cose. E non costerebbe neanche molto. Dopo il primo anno di aiuti, però, si dovrebbe lasciare la Grecia al proprio destino, preparando una ristrutturazione ordinata del debito.

IDENTIKIT DI UN FONDO PER L’EUROPA

L’Europa ha bisogno di un Fondo monetario europeo? E se sì, quali caratteristiche dovrebbe avere? Quello che non funziona oggi è la procedura per deficit eccessivo. Andrebbe sostituita da regole auto-imposte che assicurino la disciplina di bilancio senza però compromettere la possibilità di politiche moderatamente anticicliche. Dovrebbe funzionare sostanzialmente come un fondo di ammortamento sulla base di un sistema di crediti accumulati, in modo da incentivare i governi a risparmi di bilancio durante le fasi di espansione. In caso di crisi, potrebbe concedere una garanzia sul debito pubblico estero.

LACRIME E SANGUE PER LA GRECIA. MA NON BASTA

Anche ammesso che il governo Papandreu riesca a ridurre la spesa complessiva al ritmo di 2,5 punti di Pil all’anno, la Grecia dovrà rimanere a lungo sotto la tutela dell’Europa, non basteranno le misure tampone. Per questo è positivo che si pensi alla creazione di un Fondo monetario europeo. Ma la vera questione posta dalla vicenda greca è che se l’Europa non saprà esprimere adeguate istituzioni e strumenti, difficilmente l’euro sopravvivrà alle prossime crisi.

IL RISCHIO DEL DOMINO DALLA GRECIA ALL’ITALIA

E’ fondato il timore che il caso Grecia contagi anche gli altri paesi europei ad alto debito e bassa competitività? Oggi i mercati attribuiscono ai Gipsi diversi valori e diversi profili temporali di rischio d ‘ insolvenza. In Grecia e Portogallo i rischi appaiono concentrati nel breve termine, in Italia e Spagna nel medio periodo. Forse perché considerano questi ultimi due paesi nella “seconda linea” d’attacco. E allora, nell’interesse nazionale, il nostro governo dovrebbe muoversi immediatamente in Europa per scongiurare un esito catastrofico della crisi greca.

PIIGS, PORCI CON LE ALI

Se per Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna valessero gli stessi criteri usati per giudicare la vulnerabilità dei paesi emergenti, sarebbero tutti indicati a rischio default. Per fortuna, i mercati sembrano applicare ai paesi europei criteri di tolleranza del tutto diversi. Verosimilmente per l’appartenenza all’euro, l’accesso ai mercati finanziari e a linee di credito intergovernative, per le banche centrali nazionali all’interno dell’euro-sistema e l’assenza di recenti episodi di insolvenza. Ma fino a quando riusciranno a volare gli euro-porcelli?

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringrazio i lettori che hanno commentato il mio articolo. Il tema è molto delicato: lo spettro di classi ghetto, gli echi di Rosarno, l’insoddisfazione verso la scuola pubblica, la fuga dei ricchi verso le scuole private: ce n’è a sufficienza per alimentare commenti molto accesi Riassumo sinteticamente. Bisogna distinguere tra obiettivi e strumenti. Evitare classi ghetto e ripartire gli studenti con difficoltà linguistiche tra le scuole (oltre che, ovviamente, tra le classi) è un obiettivo al contempo “equo” (perché garantisce lo stesso trattamento ai cittadini-studenti) ed “efficiente” (al fine di favorire l’integrazione e l’apprendimento degli stessi). L’imposizione di quote è invece uno dei possibili strumenti per realizzare l’obiettivo: una politica scolastica seria deve indicane i costi e le modalità di applicazione. In particolare, a) con quale criterio si vuole discriminare tra chi ha diritto ad iscriversi alla scuola più vicina e chi no? b) Quanto costa trasferire studenti tra le scuole e chi sostiene tali spese? Senza dettagli a riguardo, è molto difficile valutare se lo strumento delle quote sia il più idoneo, o non vi siano mezzi sostitutivi o complementari (più insegnanti di sostegno o fondi per le scuole con più stranieri) preferibili.
Sono d’accordo con i lettori Marco Dore e Adriano Stabile (parte 2) che sottolineano come si debba partire dal garantire omogeneità nella composizione delle classi all’interno di ciascuna scuola, e come la quota stranieri vada nella direzione giusta, contribuendo anche a ridurre le disparità tra istituti. Circa la proposta di avere classi differenziate all’interno delle scuole, per intelligenti e meno intelligenti (lettore Dore, parte 3), ricordo che stiamo parlando della scuola dell’obbligo, e che Albert Einstein da piccolo era notoriamente un somaro…
Alcuni lettori rilevano altre difficoltà d’applicazione della “quota per stranieri”. Il provvedimento, chiede il lettore Iansolo, deve essere applicato solo alle classi di nuova formazione (le “prime” elementari, medie)? O richiederà invece di smembrare e ricostituire classi esistenti (e legami affettivi tra i ragazzi)? E cosa accadrebbe se eventuali bocciature comportassero la violazione delle quote? Come osserva il lettore Franco M, se il problema è quello della lingua, esso va affrontato valutando le capacità degli alunni (bambini “stranieri” potrebbero avere maggiore padronanza della lingua di bambini italiani, si pensi ad esempio al caso di bambini adottati). Ma quanto costeranno le task-force richieste per tali valutazioni? Altri lettori sottolineano il problema della ripartizione dei costi: saranno gli immigrati a pagare (lettore Roberto Simone)? I piccoli comuni, che con difficoltà riescono a pagare uno scuolabus (lettore Mauro Vecchietti)? Le scuole, dove già gli insegnanti non hanno la formazione per aiutare gli studenti che non capiscono la nostra lingua (lettore Mario)? Concordo con queste perplessità.
Altri lettori invece sembrano più ottimisti di me. Antonio Cianci, ad esempio, confida in una specie di “mano invisibile del mercato scolastico”: i genitori , votando con piedi, renderebbero omogenea la qualità dell’offerta scolastica tra gli istituti. Temo ciò non accada, e dunque penso che le quote possano, insieme ad altri strumenti, essere utili. Come ho detto, ritengo giusta l’esigenza di distribuire tra le classi i ragazzi con difficoltà linguistiche (lettore Rinaldi). Infine, non è vero quanto sostiene il lettore Bruno Stucchi: il mio esempio numerico non richiede l’uso di Excel, ma di sole carta e penna!

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