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Autore: Nicola Persico Pagina 4 di 5

persico Ha ottenuto il PhD. in Economics alla Northwestern University. Ha insegnato alla University of California Los Angeles (UCLA), alla University of Pennsylvania, e alla New York University, prima di ritornare alla Northwestern University nella Kellogg School of Business. E' Research Associate per il National Bureau of Economic Research (NBER) e Honorary Fellow del Collegio Carlo Alberto. Ha pubblicato numerosi articoli presso le maggiori riviste scientifiche internazionali. I suoi interessi scientifici riguardano la Political Economy (l'economia della politica), Legge ed Economia, Criminologia, e la teoria economica. E' stato redattore de lavoce.info dal 2009 al 2015.

COME MISURARE LA CORRUZIONE

Ha fatto scalpore la denuncia della Corte dei conti su un vertiginoso aumento dei casi di concussione e corruzione in Italia. Una loro misurazione precisa è però estremamente difficile con gli strumenti finora a disposizione. Tuttavia, la percezione dei cittadini è che il fenomeno sia grave, in peggioramento e si irradi dalla politica alla pubblica amministrazione. Prendere provvedimenti è dunque indispensabile. Magari a partire da dati affidabili. E proprio la Corte dei conti potrebbe costruire una misura accurata di corruzione.

 

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Un lettore fa notare che i conti non tornano: 67 per cento coperti da assicurazioni private, piu il 27 per cento coperti dal settore pubblico, più 15 per cento non coperti, sommano a più del 100 per cento. La ragione per la discrepanza è che i tipi di assicurazione non si escludono mutualmente: una persona può essere coperta da più di un tipo di assicurazione durante un anno. I dati sono tratti dalla Figura 7 del report "Income, Poverty, and Health Insurance Coverage in the United States: 2007" pubblicato da U.S. Census Bureau.
Alcuni lettori argomentano che la riforma, per quanto imperfetta, è importante. Sono d’accordo, e non voglio minimizzarne l’importanza. Mi limito a fare notare che l’appetito per spendere denaro pubblico in
assistanza sanitaria e’ bipartisan. Per esempio, circa 3 anni fa il Presidente G.W. Bush introdusse una riforma volta a rimborsare parte del costo delle medicine per gli anziani. Questa importante riforma ha un
costo che oggi è proiettato a 1 trilione di dollari in 10 anni. Anche quella riforma è stata passata senza eccessivi problemi politici. In questo senso le due riforme sono simili, l’unica differenza è che una è
stata passata da un presidente Democratico, l’altra da uno Repubblicano.

LA SANITÀ DI OBAMA: UNA RIFORMA A METÀ

Un indubbio successo politico per il presidente Obama che l’ha fortemente voluta. Ma anche un compromesso con la lobby delle compagnie di assicurazione, che non ne vengono minimamente danneggiate. La riforma del sistema assicurativo per la sanità negli Stati Uniti si ferma infatti a metà strada: affronta il problema dei milioni di cittadini che non hanno una copertura per le cure mediche, ma non quello della esorbitante spesa sanitaria americana.

ALFANO, FERROTTI E LA QUERELLE ENNA

L’articolo precedente è firmato da Calogero Ferrotti, procuratore della Repubblica di recente fama mediatica. In breve, i fatti sono questi. Qualche giorno fa, di fronte al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e ad altri magistrati, Ferrotti ha lamentato il progressivo impoverimento di organico della procura di Enna: in cinque anni è sceso da cinque pubblici ministeri a uno, lo stesso Ferretti. E ha minacciato di mettersi in pensione. La risposta del ministro non si è fatta attendere. Poche ore dopo, Alfano ha dichiarato all’agenzia Ansa: “Ho già fatto presente a Ferrotti che amministrare la giustizia è compito difficile e quindi, se non se la sente, è meglio che si goda una meritata pensione. Io chiederò al Csm l’immediata nomina del nuovo procuratore”.
 
ASPETTANDO LA RIFORMA
 
Sono parole forti perché vengono dal ministro della Giustizia. Particolarmente forti quando il magistrato è impegnato in prima linea, in una sede difficile e in condizioni difficili. Ferrotti, tra parentesi, non è coscritto, ma volontario: viene dalla procura di Orvieto, una sede presumibilmente meno problematica, perché ha espressamente richiesto il trasferimento a Enna. Insomma, la reazione del ministro sembra proprio fuori luogo.
La “querelle Enna” ha attirato una certa attenzione da parte dei media, giustificata non soltanto dalla reazione inappropriata del ministro, ma anche e soprattutto perché la perdita di organico delle procure del Sud è un fenomeno importante e grave. (1) Come mette in rilievo un recente articolo del Sole24Ore e come peraltro è sottolineato nell’articolo di Ferrotti. (2)
Ferrotti però aggiunge un elemento importante per comprendere le cause della fuga dei pm dal Sud, e cioè la norma del 2007 che vieta i posti di procura ai magistrati di prima nomina. La norma priva le procure di giovani validi. Inoltre, è difficile che pubblici ministeri “svezzati” si trasferiscano dalla magistratura giudicante, a causa di un nuovo divieto di trasferimento all’interno della stessa provincia. Il profilo normativo, quindi, è diventato ostile alla figura del pm: sembra ormai essere quasi un ruolo “a esaurimento,” in attesa di una riforma che separi i pubblici ministeri dalla magistratura giudicante e, possibilmente, li ponga sotto il controllo del potere esecutivo.
La norma del 2007 è stata approvata con consenso bipartisan, l’attuale governo non è dunque l’unico colpevole. E, invero, una eventuale riforma del ruolo del pm potrebbe avere i suoi vantaggi.
Nel frattempo, però, mentre di riforme si discute e ridiscute, le procure del Mezzogiorno si spopolano. Chi ha vissuto al Sud capisce l’importanza di lanciare un segnale forte alla criminalità, in zone dove spesso il potere dello Stato fa fatica a estendersi oltre le mura del palazzo di Giustizia. Quindi, la progressiva mancanza di azione da parte dello Stato fa paura ai cittadini onesti e rincuora quelli disonesti. Se dunque la depopolazione delle procure è una politica perseguita razionalmente, è quanto meno rischiosa.
 
QUESTIONE DI EQUILIBRI
 
Perché è una politica rischiosa? Per via della teoria del “tipping point,” sviluppata dal premio Nobel per l’Economia Thomas Schelling. In parole povere, l’idea è che in una situazione come quella della giustizia ci sono due “equilibri”: nel primo, quello buono, quasi nessun cittadino commette un crimine perché ci sono abbastanza magistrati per perseguire tutti i crimini che vengono commessi, e anche personale extra per perseguire un cittadino qualora decidesse di commetterli. Nel secondo equilibrio, invece, moltissimi cittadini commettono crimini perché la probabilità che ogni singolo cittadino venga perseguita è minuscola. È il tipo di equilibrio che prevale in certi ghetti delle città degli Usa, o in alcuni stati, tipo Haiti. Si noti che nei due equilibri il numero di magistrati può anche essere lo stesso, ma nel secondo i cittadini si coordinano sull’azione criminale, dando così luogo a una situazione di “uovo e gallina”: si commettono tanti crimini perché ogni magistrato è oberato di lavoro perché si commette troppo crimine.
È facile capire che per uscire da questo equilibrio bisogna investire una quantità di risorse molto maggiore di quante ne siano necessarie per mantenersi nell’equilibrio “buono”. E perciò, se assumiamo di essere ancora vicini all’equilibrio “buono” nel Sud, una diminuzione delle risorse destinate alla giustizia rischia di farci cadere in un equilibrio “di Haiti”, da cui sarebbe estremamente difficile uscire.
Concludo tornando a Ferrotti. Come pensate sia finita la querelle? Magari con le scuse del ministro per una esternazione impetuosa, ma non indicativa di un vero convincimento? No, naturalmente. Il ministro tace. Invece, Ferrotti ha raccolto il sostegno dei suoi colleghi magistrati e, con senso dello Stato ma, immagino, una punta di umiliazione, ha scelto di ritirare le sue dimissioni: continuerà a servire lo Stato (e tutti noi) a Enna. Da solo.
 
 
(1) Una ricerca su Google al 14 dicembre 2009 dei termini "Ferrotti Alfano Enna" restituisce 1.400 hit.
(2)Il Sole 24Ore del 14 dicembre 2009 http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/dossier/Italia/2009/commenti-sole-24-ore/14-dicembre-2009/capi-solitari-procure-siciliane.shtml

QUOTE ROSA: UN FALLIMENTO DELLA POLITICA

Il Tar ha imposto di cambiare la giunta provinciale di Taranto composta solo di uomini. In generale, le quote rosa mandano il segnale sbagliato che il merito non conta, ma in politica sono probabilmente più utili che altrove. Ma la mancanza di donne è una manifestazione di un punto più generale, che la politica opera come un filtro fra le preferenze degli elettori (in questo caso presumibilmente per più donne) e le persone che finiscono per prendere le decisioni (tutti uomini). La mancanza di donne in politica è dunque un sintomo di un più generale “fallimento della politica”. Ed è di questo, forse, che dovremmo discutere.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Un certo numero di lettori ritiene che il Messico non possa essere preso ad esempio per l’Italia, perché tutto sommato in Messico ci sono più problemi che in Italia. Capisco il punto, ma a mio parere ciò non ci vieta di identificare alcuni punti specifici in cui il Messico sembra fare meglio dell’Italia, per cercare di saperne di più e magari imparare  
qualcosa. Peraltro, proprio il fatto che il Messico deve fare fronte a gravi problemi rende più sorprendente, e forse più interessante, il fatto che riesca a far bene in certi settori specifici.
Alcuni lettori obbiettano che la tecnocrazia è anti-democratica. A tal proposito cito gli USA dove, come altri lettori ricordano, i tecnici ricoprono spesso posizioni chiave di policy-making, e nessuno pensa che ciò metta in pericolo la democrazia.
In ultimo, un lettore ci domanda chiarimenti su una politica di prelievo del 2% operata dalle banche. Crediamo che il lettore si riferisca a una politica per cui ogni banca è tenuta a trattenere il 2% di ogni deposito bancario. Le somme trattenute saranno poi dedotte dalle tasse dell’intestatario del conto corrente. Questa norma è stata introdotta per  
combattere l’evasione fiscale.

LÀ DOVE TORNANO I CERVELLI

In Messico la maggioranza dei ministri economici sono tecnici che non hanno mai partecipato a una elezione. Fanno parte di una tecnocrazia formatasi negli Stati Uniti e rientrata nel paese per assumere importanti incarichi governativi. Potrebbe accadere la stessa cosa anche in Italia, con il ritorno dei molti cervelli emigrati all’estero? E’ assai improbabile perché da noi mancano altri fattori fondamentali che hanno permesso la nascita e l’affermazione della tequila technocracy. A partire dal fatto che il Messico è una repubblica presidenziale.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Grazie per gli interessanti (e talvolta energici!) commenti. Rispondo brevemente.

Alcuni lettori argomentano che le cose non vanno fantasticamente in Messico, e che quindi non si può prendere il Messico come esempio di buon governo. In particolare, l’alto indice di Gini del Messico è preso da alcuni lettori come indice di una mancanza di sensibilità sociale delle politiche messicane. A questo riguardo osservo che dal 1982, anno che segna l’inizio della tequila technocracy, l’indice di Gini è sceso dal 50 al 45 percento (si veda http://en.wikipedia.org/wiki/File:Gini_since_WWII.gif ), segno di una tendenza verso un maggiore egualitarismo, ancorché in partenza la distribuzione del reddito fosse molto diseguale. Più in generale, nel valutare la performance di governo si deve necessariamente tenere conto delle condizioni iniziali. E’ chiaro che il Messico ha un retaggio di povertà e vari altri problemi che non scompaiono in pochi anni. La corruzione diffusa, che alcuni lettori menzionano, esiste, certo, ma è un fatto in parte culturale che predata il 1982 e che non mi sembra possa attribuirsi in prima battuta alla governance economica post-1982.

Alcuni lettori obiettano all’associazione fra tecnocrazia e buon governo, e/o vedono la stessa tecnocrazia come una casta sui generis. Non voglio certo dire, in astratto e in generale, che essere un politico di professione è dequalificante per ministeri tecnico-economici. Ovviamente non tutti i tecnocrati sono o saranno esempi di virtù amministrativa, ne’ tutti i politici sono inetti. La questione, in concreto, è se il meccanismo di selezione che consente per esempio ad un Antonio Gava di divenire ministro delle Finanze (1987-88) è meglio o peggio, in media, di un meccanismo in cui viene privilegiata la conoscenza tecnica e, magari, una certa (relativa, magari) estraneità alla politica elettorale di lungo corso.

Colgo l’occasione per evidenziare un possibile problema del meccanismo di selezione tecnocratico quale è in Messico. Dando per buona che in Messico la presenza di un meccanismo di selezione sia in parte basato sulla capacità di ottenere un PhD in una università americana, e nonostante il fatto che per ottenere questo obiettivo una condizione necessaria è avere notevoli abilità “cognitive”, rimane il fatto che ci vogliono anche i soldi. Un ragazzo povero in Messico non può permettersi di andare al tipo di scuole, quasi tutte private, che sono il percorso necessario per essere ammessi a un PhD negli USA. Quindi, una tecnocrazia selezionata su questa base sarà anche, in media, una tecnocrazia di estrazione almeno benestante.

Alcuni lettori suggeriscono che la tecnocrazia non è la pietra filosofale e che altre doti quali il buon senso, il “senso dello stato”, ecc., sono almeno altrettanto importanti. Sono d’accordo sull’importanza di queste qualità, e auspico moltissimo anch’io la nascita di una “onestocrazia.”

Chiudo ringraziando per i commenti e con una osservazione. Il nostro dibattito su una Casta soffocante ed egoista ha un precedente storico nella Progressive Era negli Stati Uniti. Così come oggi in Italia, la popolazione americana degli anni 1890-1920 era stufa di essere comandata da caste politiche chiuse, corrotte ed inefficienti, particolarmente forti nelle grandi città, e sensibili per lo più alle esigenze della popolazione di ceto meno abbiente. In contrapposizione a queste caste si affermarono le idee del Progressive Reform Movement, un movimento di elites benestanti che riponevano fiducia nella capacità di risolvere problemi, sociali e di governo, della scienza e della expertise disinteressata . I presidenti Theodore Roosevelt e Woodrow Wilson, per esempio, furono parte del Reform Movement.(1) Voglio ricordare in particolare la cosiddetta “Wisconsin Idea”, l’idea che i docenti dell’Università del Wisconsin potessero contribuire attivamente al miglioramento delle condizioni sociali, ciò che fecero partecipando a numerosi incarichi amministrativi statali.(2) Insomma, non c’è nulla di nuovo sotto il sole.

(1) Si veda http://en.wikipedia.org/wiki/Progressive_Era
(2) Si veda http://www.wisconsinidea.wisc.edu/history.html

TEQUILA TECHNOCRACY

Negli ultimi venticinque anni in Messico è arrivata a importanti incarichi di governo una tecnocrazia formatasi nelle migliori facoltà di economia degli Stati Uniti. Ciò ha permesso di realizzare riforme strutturali fondamentali, tanto più meritorie in un paese con un retaggio di gravi problemi economici e sociali. In Italia, invece, una prospettiva simile non è neanche pensabile. Perché la classe politica premia più la fedeltà di partito che la competenza.

MILANO DA BERE

Il comune di Milano vieta il consumo di alcolici in luogo pubblico ai minori di 16 anni. E motiva il provvedimento con la necessità di contrastare una epidemia di alcolismo fra i giovanissimi. Le statistiche citate dal sindaco, però, non sembrano dare una solida base all’inasprimento delle norme già esistenti. Anche gli effetti sulla salute dei ragazzi saranno modesti. L’ordinanza ha invece una plausibile giustificazione di costo-beneficio su un altro aspetto: mettere un freno alla movida giovanile. Dove il beneficio primario è quello dei residenti nelle aree interessate.

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