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Autore: Marisa Civardi

Laureata in Fisica presso l'Università di Pavia, le sue ricerche hanno riguardato le misure di disuguaglianza della distribuzione personale dei redditi, le matrici di contabilità sociale come strumento di valutazione di politiche sociali, l'analisi della povertà, la misura di concetti latenti (qualità dei servizi e della didattica universitaria in particolare) e lo studio delle problematiche connesse con il fenomeno della transizione Università-Lavoro.
Ha insegnato nelle Università di Pavia, della Calabria, Firenze, Brescia, Milano Statale e Milano-Bicocca.
È stata per 6 anni preside della Facoltà di Economia di Milano-Bicocca, delegata del Rettore per il Job Placement e membro della Commissione di Garanzia per l'Informazione Statistica in cui ha ricoperto la carica di Vicepresidente. Dal gennaio 2014 è presidente del Nucleo di Valutazione dell’Università di Pavia.
Dal 24 febbraio 2014 è professore emerito di Statistica Sociale dell’Università di Milano-Bicocca in cui ha tuttora in affidamento il modulo di Indagine campionarie e Sondaggi demoscopici nel Corso di Laurea Magistrale di Marketing e Mercati globali.

Referendum e regole statistiche

Ringrazio i lettori che hanno commentato il mio articolo “Referendum costituzionale bocciato dal metodo statistico” e rispondo.
Mi spiace ma non sono stata in grado di capire il commento di Roberto, tranne ovviamente le ultime sei parole che sono chiarissime. Penso tuttavia che Roberto possa convenire che con la consultazione referendaria, anche se è “un procedimento stabilito per legge” di fatto viene condotta un’indagine per rilevare il giudizio (se gli dà fastidio parlare di atteggiamento) degli elettori sulla legge costituzionale. Sotto il profilo della metodologia statistica il tema che mi proponevo di affrontare era quello delle regole che dovrebbero essere rispettate da chi progetta un’indagine (il legislatore che decide, come lo chiama Guido). Non posso quindi essere d’accordo con Henri Schmit che, sostenendo che “è chi pone la domanda che decide su che cosa si decide” (il che è vero), afferma che “non si misura ma si decide”. Infatti con il referendum si misura quanti votanti approvano quello che è stato deciso e quanti lo rifiutano. Gli elettori cioè sono solo i soggetti sottoposti a osservazione ma ad essi deve essere comunque assicurato il diritto della libertà di voto, cioè il diritto di esprimere correttamente la loro accettazione o il loro rifiuto delle singole modifiche apportate alla costituzione vigente, ed è della verifica di come, e quando, questo diritto sia stato assicurato che l’articolo si occupa.
L’affermazione di Guido: ”è il legislatore che decide” è corretta ma troppo semplicistica. Infatti l’iter per arrivare ad indire il referendum è articolato e a ogni passo, al fine di assicurare il diritto di cui sopra, sarebbe stato possibile innescare un processo di modifica della decisione iniziale del Governo (il primo decisore) che ha proposto il titolo della legge costituzionale sapendo che, in base alla normativa, quello sarebbe stato il testo dell’eventuale referendum. In primo luogo lo avrebbe potuto fare il Parlamento che però non aveva la “forza” di modificarlo ma che, avendo votata la legge con una maggioranza inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, ha reso possibile la raccolta di firme perché si procedesse al referendum popolare. In secondo luogo l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte suprema di Cassazione, che con le ordinanze (del 6 maggio e dell’8 agosto 2016) ha dichiarato legittime e ammesse le richieste di referendum popolare svolgendo unicamente un ruolo di tutela generale dell’ordinamento. In terzo luogo il Presidente della Repubblica che però, a quel punto non poteva far altro che emanare la legge. Da ultimo la giudice del tribunale di Milano che ha respinto il ricorso di impugnazione (con una motivazione in linea con quanto scritto da Enrico Rettore) guidata probabilmente anche da “motivi di convenienza politica-organizzativa”, come scrive Michele Lalla a proposito della scelta di proporre il quesito non “spacchettato”.

Referendum costituzionale bocciato dal metodo statistico*

Il referendum del 4 dicembre può essere considerato una ricerca statistica per misurare l’atteggiamento degli elettori nei confronti della legge costituzionale. La formulazione del quesito e le regole sulla necessità che si rilevi un solo concetto, in modo chiaro e senza suggerire la risposta.

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