Lavoce.info

Autore: Luigi Guiso Pagina 6 di 9

guiso È professore di Economia all’Einaudi Institute for Economics and Finance, Roma, dopo essere stato professore allo European University Institute, Firenze. È fellow del CEPR e è stato direttore del Finance Program. Gli interessi correnti di studio e di ricerca vertono sui campi dell’economia finanziaria, delle scelte finanziarie delle famiglie, della macroeconomia, dei legami tra economia e istituzioni. Temi recenti di ricerca includono l’effetto della cultura sull’economia e le origini del capitale sociale. Redattore de lavoce.info fin dall’inizio.

YES, THEY CAN

L’emozionante esito della campagna elettorale in America, le parole e lo stile del vincitore e forse ancor più quelle del perdente mi ha riportato alla mente una domanda che tante altre volte mi sono posto: cosa c’e di diverso in America? Cosa ha l’America che noi non abbiamo? Non ho una risposta a un quesito così vasto, ma alcune piccole esperienze che mi sono sovvenute possono forse aiutare a trovarne una.
Alcuni anni fa ero in visita a san Francisco. Di rientro da Sausalito, attraversavo in auto il Golden Gate per andare all’aeroporto e prendere un volo per Chicago. All’uscita del ponte le strade si dividono in varie direzioni; solo una conduce all’aeroporto. Avevo con me tutte le istruzioni ma, nella confusione del viaggio, le avevo smarrite dentro l’auto. Ero preoccupato perché sbagliare strada avrebbe significato forse perdere il volo. Al momento di pagare il pedaggio chiedo al casallente dove dirigermi per andare all’eroporto. Si gira, prende uno stampato da uno scaffale e me lo passa. Conteneva una mappa che illustrava esattamente come arrivare da quel punto all’eroporto. Mi è sorta spontanea la domanda: come fa ad avere lo stampato? La risposta è semplice: altri viaggiatori, nel passato, si sono trovati nella stessa condizione e si sono rivolti al casellante, il casellante ha riferito al suo principale e questo ha provveduto. Mi resi conto che una cosa simile forse non sarebbe accaduta in Italia: quando il problema emerge non c’e reazione. Quasi sicuramete il giorno dopo, l’anno dopo, cinque anni dopo, il problema è ancora lì a riproporsi stancamente senza che il casellante di turno, o chi per lui muova un passo.
La scorsa settimana ero a New York per tenere dei seminari (discussione di una ricerca con un piccolo gruppo di colleghi del ramo). Uno di questi a New York University, nel Dipartimento di Economia e di Science Politiche, al 19 della 4th steet, nel centro di Manhattan. Fa sempre un gran piacere entrare in un’università che vibra di idee e pulsa di vitalità. Nel pomeriggio, dopo il seminario, passa a prendermi mia moglie. Mi fa notare che lì nel Dipartimento di Economia c’è un centro di Neuroeconomics – una nuova branca a cavallo tra le neuroscienze e le discipline comportamentali, economia, psicologia, scienze sociali – che negli ultimi anni ha iniziato a studiare i processi di formazione delle decisioni utilizzando le tecniche messe a disposizione dalle neuroscienze.  E’ la traduzione immediata, la risposta organizzattiva e istituzionale a una nuova esigenza di conoscenza. Mia moglie, mi chiede, non è stupendo? Non è affascinante questa disponibilità e immediatezza a reagire a uno stimolo positivo?
Ieri ho ricevuto un bando appena uscito della Alfred P. Sloan Foundation – una fondazione intitolata ad Alfred Sloan Jr., il CEO che in 23 anni di comando tra il 1923 e il 1946 fece prosperare la General Motors. La fondazione ha lo scopo di dare supporto finanziario per la produzione di ricerca originale nei campi delle scienze, delle tecnologie, dell’economia, nel “…convincimento profondo che una migliore e ragionata comprensione delle forze che muovono la natura e la societa’, quando applicate con inventiva e saggezza, possono migliorare il mondo per tutti”. Il bando mette a disposione degli studiosi 2.7 milioni di dollari per analizzare le cause e le conseguenze della crisi finanziaria e delle sue ripercussioni economiche e per esplorare riforme regolamentari e istituzionali che possano migliorare il funzionamento dei mercati. Nel convincimento che sviluppare la conoscenza economica possa aiutare individui e istituzioni a prendere decisioni più sagge. Sono rimasto sbalordito: siamo nel mezzo della crisi, nel pieno del problema ed ecco una reazione, un investimento per risolverlo che emerge prontamente dalla società. Una collega mi ha chiesto: perché non facciamo cosi anche in Italia, in Europa? Ho rifletutto un attimo per cercare di capire chi, in Italia, in Europa possa essere cosi reattivo. Chi possa pensare al bene comune dell’Europa con prontezza. Non mi è venuto in mente nessuno.
Provo dispiacere nel vedere che c’e una parte del mondo– quella dove vivo e mi piace vivere – che non trova risposte ai problemi, piccoli e grandi, che si presentano, quando le trova sono tardive, lente, affannate e spesso dirette non a risolvere quel problema al meglio ma a qualche cosa d’altro. Provo amarezza nel constatare che No, we cannot.
Provo però una grande contentezza nel vedere che c’è un’altra parte del mondo dove quando un problema emerge trova una risposta, produce una reazione mirata alla soluzione di quel problema. Mi consola vedere che Yes, they can.

ECONOMISTI E PREVISIONI

Dare addosso agli economisti sembra sia diventato uno sport nazionale. Lo ha fatto il Ministro del Tesoro che li ha invitati a tacere, già li criticava Eugenio Scalfari ai tempi del governo Prodi (essenzialmente perché non risparmiavano critiche anche a quel governo), ora inaspettatamente si aggiunge al coro anche Lei, Professor Sartori, che dal pulpito del Corriere della Sera tuona per la seconda volta in pochi giorni contro gli economisti per non aver saputo prevedere la crisi finanziaria e quindi consentire di evitarla (anche se da una cosa non segue l’altra – Cassandra insegna). Lei non se la prende con tutti gli economisti (nel mucchio è ovvio che qualcuno avrà previsto giusto) ma solo con quelli di rilievo, nessuno dei quali secondo lei “… ha davvero visto in tempo e capito a fondo i fatti e misfatti di Wall Street”. Fa eccezione Paul Krugman, che però secondo Lei non sarebbe abbastanza economista (assomiglia piu’ a uno scienziato politico?). E si chiede: “Mi sono sbagliato?”
Sì, caro Sartori, si è sbagliato. Per capire perché, occorre intendersi su che cosa sia una previsione. Uso la sua definizione per comodità: “dato un ben circoscritto e precisato progetto di intervento, quale ne sarà precisamente l’effetto? Riuscirà come previsto o no? Se no, perché no?”. Dice bene, dato un ben circoscritto progetto etc., e lei infatti cita il “mattarellum” come esempio su cui Lei si è esercitato a prevederne con ragione gli effetti nefasti. Purtroppo la crisi finanziaria non è il mattarellum. Non c’è nessun “precisato progetto di intervento” a cui si possa imputare la crisi. Vi sono molti elementi che congiuntamente hanno prodotto la miscela della crisi finanziaria: la politica monetaria eccessivamente espansiva di Greenspan dopo l’11 settembre, la bolla immobiliare (sostenuta anch’essa dalla politica monetaria della FED), la riduzione dei coefficienti di capitalizzazione delle banche d’affari e numerosi altri – incluso l’assetto privato di Fannie Mae and Freddie Mac e la natura pubblica delle garanzie che essi offrivano sui mutui. L’importanza di questi elementi e il loro potenziale destabilizzante sono stati messi in evidenza da tanti economisti. Uno per tutti: Robert Shiller e i suoi scritti sulla bolla immobiliare o sull’“esuberanza irrazionale” dei mercati americani. Ovviamente nessuno ha previsto che ad agosto di quest’anno la crisi sabebbe precipitata in una crisi di fiducia e che questa ad ottobre sarebbe potuta degenerare in corsa agli sportelli. Si poteva prevedere tutto ciò con congruo anticipo, in particolare il timing di questi eventi? No. Così come Lei non ha previsto e non poteva prevedere che i politici italiani avrebbero adottato il mattarellum. Ciò che Lei ha fatto è analizzare le possibili conseguenze di quella legge servendosi dello strumentario analitico che la sua disciplina Le mette a disposizione. Prevedere gli effetti di “un progetto di intervento” una volta adottato è una cosa, prevedere l’ adozione di un determinato progetto di intervento è cosa diversa e molto più complessa: richiede che si prevedano le mosse e le astuzie di Bossi, quelle di Berlusconi, il potere contrattuale degli altri partiti, etc. È opera improba anche per un politologo del Suo calibro. Infatti non ci ha provato: ha aspettato che facessero e poi ha sentenziato quali sarebbero state le conseguenze. E ha fatto la cosa giusta. Ma se uno dovesse applicare a Lei e alla scienza politica quello che Lei chiede alla scienza economica e agli economisti, allora ci avrebbe dovuto avvisare con congruo anticipo che i politici di casa nostra avrebbero partorito il mattarellum. Non lo ha fatto.
Se prevedere è quello che dice lei, allora gli economisti lo fanno di routine. Con riferimento alla crisi e “ai ben precisati progetti di intervento”, molti economisti hanno capito e previsto che il piano Paulson, nella versione iniziale, non avrebbe funzionato perché non interveniva nel capitale delle banche (vedi l’articolo di Luigi Zingales “Why Paulson is wrong”). L’amministrazione americana ha modificato il provvedimeno di conseguenza. In tanti abbiamo anticipato che provvedimenti adottati in via isolata dai paesi europei, senza un serio coordinamento sarebbero stati inefficaci come risposta alla crisi. Chissà, forse anche per questo alla fine i governi hanno convenuto su una serie di misure comuni. Da tanti anni, da quando è stata adottata la moneta unica, andiamo predicando che bisogna avere un’istituzione che faccia vigilanza per l’intera Europa. Lo facciamo perché prevediamo che sia questo l’assetto istituzionale migliore per prevenire l’emergere delle crisi e per gestirle se la prevenzione non fosse sufficiente. L’abbiamo fatto sulle riviste e non pretendo che Lei le legga, ma l’ha fatto Francesco Giavazzi tante volte dalle colonne del suo giornale, e quello suppongo che Lei lo legga (da ultimo Marco Pagano).
Tutto questo, mi darà atto, è prevedere secondo la sua definizione; nè più nè meno. E, mi pare che sia chiaro dagli esempi, queste previsioni sono fatte per cercare di prevenire. Che effettivamente ci si riesca è un altro paio di maniche. Qui entra in gioco la politica e anticiparne le mosse è più compito Suo che degli economisti.

UN’OPPORTUNITA’ PER L’EUROPA

Anche se il provvedimento varato dal governo italiano per la ricapitalizzazione delle banche è largamente condivisibile, resta sul tappeto il problema dell’eventuale salvataggio delle grandi banche transnazionali europee. Che hanno un ruolo chiave sia nell’integrazione dei mercati finanziari europei che nella loro stabilità sistemica. La Bce ha affrontato bene uno dei due aspetti della crisi, il problema di liquidità. In Europa manca però una istituzione che possa mettere in atto una risposta organica. Così dopo il fallimento dell’Ecofin, i paesi membri procedono in ordine sparso. Ma la definizione di regole condivise è questione non più eludibile.

UN PASSO IN PIU’

Il Ministro Tremonti ha minacciato di dimettersi se dovesse passare l’emendamento, inserito ad opera di due parlamentari nel decreto sull’Alitalia, che metterebbe al riparo una serie di managers implicati in recenti e non dimenticati scandali finanziari. La scelta del Ministro e’ un passo importante verso la moralizzazione dell’economia italiana. Ne potrebbe compiere un’altro, con lo stesso spirito e nella stessa direzione. Riveda quella norma contenuta nel decreto del Ministro del Tesoro (1998, n° 516) che fissa le incompatibilità con l’esercizio della funzione di amministratore presso un intermediario finanziario per chi ha subito una condanna definitiva. Renda questo criterio più stringente e lo ampli anche a chi ha procedimenti a carico in corso o subito condanne non definitive. E’ vero che si rischia di rovinare la carriera di un innocente, ma ben peggiore è il rischio – dati i tempi della giustizia italiana – di lasciar gestire per anni a un potenziale truffaldino i soldi degli altri.

A SPESE DEL CLIENTE

Si dice che in America il capitalismo è sfrenato, mentre da noi si concedono meno prestiti, si cartolarizza di meno e non c’è stata la bolla immobiliare. Per questo le nostre banche sono più solide. Ma se gli americani sono un popolo di consumatori indebitati, gli italiani sono un popolo di risparmiatori. Ed è su questo versante che si fanno gli affari e qualche malefatta. Infatti, nel mezzo di una crisi finanziaria con epicentro del rischio nel settore bancario, i portafogli delle famiglie italiane sono zeppi di depositi e obbligazioni bancarie, nazionali e non.

CRISI E NUOVE REGOLE

Nel dibattito in corso sulla crisi si intersecano e si confondono due piani:

a) Le misure da adottare per evitare che la crisi di fiducia tra banche dilaghi in crisi di fiducia verso le banche;
b) Le misure da adottare per migliorare la regolamentazione dei mercati alla luce di quanto imparato dalla crisi. Le prime misure sono il problema dell’oggi e non vi è moltissomo tempo per dibattere sui dettagli. L’approvazione in seconda battuta del Piano Paulson da parte del congresso risponde a questa necessità. Approvato il piano e rassicurati i mercati sulla sua implementazione vi è uno spazio per meglio definirne alcune modalità, ma questo spazio è contenuto nel tempo. Se anche l’Europa riuscisse ad adottare misure analoghe in tempi ragionevoli le chance di successo nel bloccare la crisi si accrescerebbero di molto.
Vi è invece molto più tempo per rivedere i meccanismi di regolamentazione, negli Stati Uniti e in Europa, per correggerne i difetti che si sono manifestati durante la crisi. Qui il tempo disponibile occorre prenderlo tutto per pensare accuratamente cosa fare. Vi sono tre ragioni per questo:

1. Qualunque nuova regolamentazione non serve a fermare la crisi in atto ma a prevenire quelle future; il suo successo dipende da una buona comprensione di cosa non ha funzionato negli strumenti di regolamentazione disponibili.
2. La storia insegna che la reazione alle crisi è l’iper-regolamentazione del mercato. Accadde dopo la Grande Depressione con una severa repressione finanziaria e il costo è stato molto elevato (pensiamo alle quotidiane lamentale  degli imprenditori italiani sulladifficoltà di ottenere finanziamenti dalle banche).
3. Non abbiamo solidi principi guida sul disegno e il dosaggio della regolamentazione dei mercati finanziari; la regolamentazione è guidata dall’esperienza e dagli sviluppi empirici. Sappiamo però anche che una regolamentazione lasca espone a instabilità finanziaria; ma anche che la regolamentazione che elimina le crisi elimina anche l’economia. Il giusto dosaggio richiede un’accurata ponderazione.

DUE DOMANDE AL MINISTRO

1. Ora che il prezzo del petrolio sembra ritornare a livelli "normali" e secondo alcuni potrebbe anche crollare, ora che gli "speculatori" contro cui lei si era tanto accanito sembrano aver preso di mira i petrolieri forzando con le loro subdole manovre il prezzo del petrolio artatamente verso il basso, che farà, restituire il "maltolto" con un Robin Hood subsidy?
2. Pochi giorni fa ci raccontava che sempre quei maledetti speculatori "pompavano" il prezzo del petrolio per rifarsi dalle perdite sui mercati finanziari; ma com’è che oggi hanno deciso di fare perdite su entrambi i fronti, deprimendo le borse e anche il prezzo del petrolio?Che siano diventati scemi?

ANTITRUST, SE CI SEI BATTI UN COLPO!

Udite, udite! Oggi, 11 settembre, l’amministratore unico della Cai – la nuova Alitalia – Rocco Sabelli ha dichiarato con riferimento alla confluenza di Air One in CAI . "Sul mercato domestico c’è la necessità di avere un maggiore presidio sulle rotte fondamentali e con Air One non lasciamo spazi ad altri competitor". Il programma dell’amministratore è chiaro: conquistare una posizione dominante e amazzare la concorrenza. Compensibile dal suo punto di vista, molto meno da quello dei viaggiatori italani che dalla concorrenza traggono beneficio. E l’autorità antitrust che fa? Vuole dare un segno di vita? O considera la faccenda irrilevante in nome di oscuri supremi interessi nazionali?

Alitalia: una privatizzazione molto privata

“Questa è una vera privatizzazione e quindi i soci devono essere solo entità private”. E’’ la dichiarazione rilasciata dall’A.D. di Intesa SanPaolo, Corrado Passera, ieri a Cernobbio a commento della richiesta del Governatore della Regione Lazio, Marrazzo, e del Presidente della provincia di Milano, Penati, di entrare nella cordata che controllerà CAI – la compagnia che dovrebbe rinascere dalle ceneri di Alitalia.

TREMONTI, FAISSOLA E IL MUTUO CREATIVO

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