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Autore: Guido Ascari Pagina 1 di 2

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Guido Ascari è Professore di Economia all'Università di Oxford e Fellow del Somerville College. Ha conseguito il PhD in Economics presso la University of Warwick, ed è stato direttore del Dipartimento di Economia Politica e Metodi Quantitativi presso l’Università di Pavia. I suoi principali campi di ricerca scientifica sono la Macroeconomia e l’Economia Monetaria. È stato visiting Professor presso varie Università straniere e banche centrali (Federal Reserve Bank of New York, Banque de France, Bundesbank).

Semaforo verde per il Quantitative easing

Parte il Quantitative easing (Qe) della Bce. Anche grazie a un implicito parere positivo dell’avvocato generale presso la Corte di giustizia europea che apre la strada a uno strumento di politica monetaria in cui sono riposte forti aspettative.

Il dilemma della Bce

Il Quantitative easing non è probabilmente lo strumento migliore per stimolare la domanda nell’Europa di oggi. Non avrebbe gli stessi effetti apprezzati negli Stati Uniti e anzi potrebbe causare pericolose bolle nella valutazione degli asset. Però è anche l’unica cosa che la Bce può fare.

Se l’Europa mette sul piatto soldi pubblici

Nell’ultimo decennio i livelli di investimento in Europa sono stati molto bassi, determinando un forte deterioramento delle infrastrutture. Per questo il piano Juncker potrebbe dare buoni risultati, come mostrano anche le stime del Fondo monetario. E per l’Eurozona è forse l’ultima occasione.

Deflazione, non è una fatale maledizione divina

La deflazione è un pericolo reale per l’Eurozona: unita alla stagnazione può diventare una tenaglia letale per i paesi con alto debito pubblico. Uscirne si può, a patto di vincere alcuni tabù. Per esempio, avviando una politica di investimenti pubblici finanziata direttamente dalla Bce.

Per un pugno di interessi

In seguito all’adozione delle misure non convenzionali di politica monetaria, le banche centrali detengono oggi una quantità di titoli di Stato molto superiore al passato. Titoli che generano interessi riversati nelle casse dei ministeri del Tesoro. Un’implicita e automatica azione di quantitative easing.

E LA BANCA CENTRALE VA IN TERRITORI INESPLORATI

Le normali politiche monetarie adottate dalle banche centrali non funzionano in una crisi economica come quella attuale. Sono necessarie misure non convenzionali: come aumentare la qualità di moneta comprando titoli di stato. E’ quanto ha fatto la FED che ha seguito una strategia basata su tre misure: prestare alle istituzioni finanziarie, fornire liquidità direttamente ai mercati monetari e del credito, acquistare titoli a lungo termine.. La BCE. Invece, non ha intrapreso questa via. Il motivo? Il prestatore di ultima istanza è uno solo, lo Stato. Difficile svolgere questo ruolo senza un’autorità fiscale alle spalle, che ripiani eventuali perdite.

OLTRE LA SOLUZIONE SVEDESE

La crisi attuale ha la stessa origine di quella che ha colpito la Svezia negli anni Novanta. In quel caso, il governo seppe reagire in modo veloce e appropriato, senza costi per il contribuente. Una ricetta valida anche oggi? Il modello svedese può offrire alcune linee guida, ma la politica dovrebbe avere il coraggio di esplorare nuove soluzioni. Servirebbe una risposta coordinata e cooperativa, che però impone necessariamente agli Stati di mettere a disposizione spazi di sovranità nella gestione della politica economica. E per questo appare, purtroppo, lontana.

Quando la teoria è di rigore

E se i rigori venissero battuti prima dei supplementari? Una proposta apparentemente strampalata trae fondamento dalla teoria dei giochi e presenta aspetti intriganti per migliorare ulteriormente lo spettacolo calcistico nei casi in cui, dopo 90 o 180 minuti, le sue squadre sono ancora in situazione di parità. Dal punto di vista dello spettatore, infatti, sono sempre molto emozionanti. Senza contare che i supplementari diventerebbero così ancora più avvincenti.

Nostalgia e moralismo non servono

E’ ormai un fatto acquisito che l’equilibrio competitivo dei campionati europei in generale, e del nostro in particolare, sia diminuito. Il motivo è la pay-tv, una tecnologia che ha immensamente allargato il mercato di riferimento, soprattutto delle grandi squadre. Il vecchio modello organizzativo del sistema calcio italiano non è più adatto al cambiamento radicale di questo mercato. Il problema è dunque di governance: sono necessarie nuove istituzioni e nuove regole. E per far sì che si giochi fra pari, l’unica soluzione è una superlega europea.

Le soluzioni in campo

La più semplice è seguire il diritto societario e mettere in amministrazione controllata le squadre mal gestite. Anche il lodo Petrucci impedisce alle società con debiti verso il fisco o i giocatori di fare nuovi acquisti. Più dubbi solleva l’idea del salary cap o di una superlega europea, mentre sarebbe auspicabile una sorta di mutualità, che ristrutturi la divisione dei ricavi all’interno dell’industria del calcio in modo che anche i club più piccoli abbiano parti sostanziali degli introiti. Resta comunque il problema di un’autorità di controllo credibile.

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