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Autore: Daniela Del Boca Pagina 8 di 10

del boca

Ph.D. Università di Wisconsin-Madison, è Professore di Economia Politica all’Università di Torino e Fellow del Collegio Carlo Alberto. È anche Research Fellow dell’Institute di Human Development(IHDSC) della New York University, del network HCEO dell Università di Chicago e dell’ IZA (Bonn). È stata membro del Consiglio Generale della Compagnia San Paolo (2012-2020) e del Comitato Scientifico della Confindustria. I suoi interessi di ricerca riguardano l’economia della famiglia e del lavoro, le differenze di genere e degli investimenti nella prima infanzia. È Associate Editor del Journal oh Human Capital e Review of Economics of the Household. Dal 2000 è Direttore del Centro CHILD e di IEU (Unit of Evaluation) del Collegio Carlo Alberto. Nel 2007 è stata insignita dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dell’Ordine del Merito della Repubblica Italiana e nel 2021 ha vinto il Premio Tarantelli.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Appare evidente in questi commenti una forte contrapposizione tra donne e uomini. Mentre le donne chiedono più opzioni, per aumentare la possibilità di conciliazione lavoro-famiglia e parità di responsabilità nella famiglia (part-time, reinserimento dopo i periodi di maternità,orari degli asili più flessibili, politiche aziendali  family..), gli uomini che tendono a considerare come vincolante  qualsiasi soluzione che possa incentivare il lavoro femminile, sostenendo l’importanza del lavoro familiare delle donne.
Inoltre emerge una radicata convinzione della componente maschile che le preferenze delle donne non siano ben note e male interpretate e che in realtà ogni donna desideri soprattutto rimanere a casa ad accudire marito e figli. Strano che nessuna donna che ci scrive rivendichi questa vocazione.
L’obiettivo qui era di ragionare su politiche che allarghino le possibilità di scelta e che rispondano ad esigenze diverse di famiglie diverse nell’ottica di una maggiore uguaglianza di opportunità più che uguaglianza degli esiti. L’obiettivo non è mandare tutti i bambini al nido ma mettere tutti nelle condizioni di avere per i figli piccoli di tipo di cura che ritengono più appropriata. Né di mandare tutte le donne a lavorare.
Siamo convinti che molte donne hanno preferenze per il lavoro in casa. Tuttavia una parte di esse desidera lavorare  e ne ha anche bisogno. Lo dimostrano un tasso di disoccupazione del 10% e il fatto che tra gli inattivi disposti a lavorare (secondo le indagini ISTAT)  il 67% sono donne. Lo suggerisce, tra le varie cose, il fatto che le giovani donne italiane di oggi siano in media più istruite dei loro coetanei maschi (il 25% delle venticinquenni raggiunge la laurea contro il 19% dei loro coetanei)
Lo desiderano e ne hanno bisogno anche perchè i redditi familiari italiani (soprattutto delle famiglie con figli piccoli) sono tra i più bassi d’Europa e i tassi di separazione/ divorzi sono in crescita e si stanno avvicinando a quelli degli altri paesi europei. L’obiettivo qui è pensare a interventi che aumentino le opportunità di fare la propria scelta con una varietà di opzioni maggiore di quella attuale.

Per quanto riguarda il quoziente familiare per una spiegazione piu’ approfondita si rimanda “Imposte:una questione di famiglia”di Maria Concetta Chiuri e Daniela Del Boca a “Aliquote rosa” di Marco Leonardi e Carlo Fiorio) e a “Quel singolare quoziente di famiglia” di Claudio De Vincenti e  Ruggero Paladino, 5 Marzo 2007). Come si spiega in questi articoli, il quoziente familiare favorisce, rispetto al sistema attuale, la famiglie dove entra un unico reddito elevato tramite l’abbassamento dell’aliquota media che deve pagare. Mentre se ci sono due percettori di reddito, quello con reddito inferiore e’ sottoposto ad una aliquota marginale decisamente più alta elativamente al sistema di tassazione disgiunto (il reddito più basso è in genere quello femminile), con conseguente disincentivo a possedere un reddito da tassare.
E’ sicuramente vero che in Francia, dove è in vigore il quoziente familiare da molto tempo, il tasso di partecipazione femminile è tradizionalmente  molto più elevato  rispetto al caso italiano. E’ altresì vero che in Francia sono da tempo adottatati molti strumenti di conciliazione famiglia-lavoro decisamente carenti in Italia, quali asili statali e privati più diffusi ma anche forte presenza di asili aziendali, orari di lavoro più flessibili e ridotti, incentivi statali per l’assistenza domiciliare dei bambini e, infine, generosi sussidi per i figli (Allocation Parental d’Education). Tutto questi strumenti hanno contribuito al “miracolo” francese, ovvero alta natalità ed alta partecipazione femminile al mercato del lavoro.
Per un confronto delle varie politiche per la famiglia e indicatori dettagliati che comprendono anche il benessere dei bambini (1)

Un ultimo aspetto riguarda il presunto effetto negativo dell’uso dei servizi educativi per la prima infanzia sul benessere dei bambini. Studi recenti che hanno analizzato a fondo questa questione (tra questi il premio Nobel 2000 James Heckman) mostrano come i servizi educativi per l’infanzia (quelli di alcune regioni Italiane  sono tra l’altro tra i migliori d’Europa) offrono ai bambini importanti possibilità di interazione, soprattutto per i bambini italiani che crescono spesso senza fratelli o sorelle, ed enormi possibilità  di stimolo e apprendimento. Vi è inoltre la convinzione che i bambini risentano del lavoro della madre in termini di minor tempo e minori attenzioni a loro dedicati. I dati Multiscopo  ISTAT mostrano, invece, che le donne che lavorano ‘compensano’ il minor tempo a loro disposizione riducendo in primis il proprio tempo libero piuttosto che quello passato con i figli; inoltre, tendono a incrementare le attività di qualità (quali lettura , gioco, etc) sicuramente positive per lo sviluppo del bambino. Rimane, pertanto, tutta da provare l’eventuale relazione negativa fra lavoro della madre e sviluppo del bambino. Queste ricerche mostrano anche che l’apporto dei padri e ‘ molto importante ai fini dello sviluppo cognitivo e non dei bambini piccoli indicando come anche dalle prime fasi del ciclo vitale il ruolo dei genitori potrebbe essere molto più intercambiabile.

(1) si veda Del Boca D. e C. Wetzels “Social Policies Motherhood and Labour Markets” Cambridge University Press 2007

E LE DONNE RESTANO A CASA

Nel rapporto di Save the Children l’Italia è agli ultimi posti fra i paesi europei per condizioni di salute, lavoro e pari opportunità delle madri. Quoziente familiare e detassazione degli straordinari  aumentano il divario tra lavoratori e lavoratrici. Mentre con costi simili si potrebbero detassare le spese delle famiglie con figli in cui le madri lavorano e usano servizi, in un percorso volto a modificare la struttura familiare italiana, caratterizzata da ruoli fortemente tradizionali. Altrimenti, il rischio è di rendere ancora più grave il binomio donne a casa e culle vuote.

TUTTE LE DONNE DEL PRESIDENTE

FAMIGLIA

I problemi più gravi delle famiglie italiane, come mostrano i dati recenti, sono la bassa partecipazione, la bassa fertilità e l’elevato tasso di povertà tra le famiglie con figli minori.
Tutti i partiti implicitamente o esplicitamente concordano su queste priorità, ma i programmi del Partito democratico e del Popolo della libertà si differenziano per vari aspetti sostanziali. Mentre il primo propone strumenti che favoriscono la crescita di famiglie dove si lavora in due, il secondo propone strumenti che di fatto sostengono le famiglie con figli, ma non incentivano il lavoro femminile
Molta attenzione di tutti i partiti per aspetti che riguardano libertà e diritti nella sfera privata delle unioni e della procreazione. La maggior parte dei programmi, inoltre, sono a favore di programmi di inasprimento delle pene per i reati di violenza sui minori e sulle donne.

PARTITO DEMOCRATICO

Incentivi al lavoro femminile 

Per facilitare la partecipazione femminile, il Pd propone vari tipi di incentivi: misure fiscali mirate per il lavoro delle donne, migliori strumenti di conciliazione, orari flessibili negli asili e nelle scuole, congedi parentali simili al Nord Europa e alla Francia per durata e generosità, ampliamento ulteriore della rete dei servizi per l’infanzia. Propone poi uno strumento utilizzato con successo in Gran Bretagna: il credito d’imposta rimborsabile per le donne che lavorano e hanno spese di cura.
Per incentivare invece le imprese ad assumere donne, il Pd propone leggi sull’eguaglianza di genere nel mercato del lavoro, come in Spagna, e punteggi più elevati nelle graduatorie per gli appalti alle aziende che rispettano la parità di genere.

Sostegno economico delle famiglie con figli

Il Pd punta su strumenti che si basano su sgravi fiscali e servizi.
Propone una dote per i figli che sostituisce gli attuali assegni per il nucleo familiare e le detrazioni Irpef per figli a carico. La dote è di 2.500 euro annui sul primo figlio, aumenta col numero dei figli secondo parametri di equivalenza e diventa imposta negativa in quanto viene erogata come trasferimento a favore delle famiglie incapienti. Questa somma, che può interessare circa 300 mila mamme all’anno, ha un costo di circa 2 miliardi (da coprire con i tagli alla spesa pubblica previsti).

Decisioni di procreazione e diritti delle unioni di fatto

Per il Pd educare alla procreazione responsabile e alla genitorialita è un obiettivo prioritario, ma si aggiunge un giudizio positivo della legge 194, come norma equilibrata che ha dato buoni risultati.
Nell’ambito dei diritti all’interno delle unioni di fatto, il Pd promuove il riconoscimento giuridico dei diritti, prerogative e facoltà delle persone stabilmente conviventi, indipendentemente dal loro orientamento sessuale.

POPOLO DELLA LIBERTÀ

Incentivi al lavoro femminile

Il Pdl propone di introdurre il quoziente familiare, che invece scoraggia il lavoro femminile e garantisce vantaggi alle famiglie con un unico reddito. Il costo va dai 6 a i 10 miliardi. Propone poi sconti fiscali alle imprese che assumono donne e crediti d’imposta quelle che assumono giovani e che trasformano contratti temporanei in contratti a tempo indeterminato.

Sostegno economico delle famiglie con figli

Il Pdl propone, come in passato, strumenti di sostegno di tipo monetario. Si tratta di riprendere l’erogazione del bonus bebè per incentivare i bassi tassi di fertilità, mentre per sostenere le famiglie con figli piccoli si propongono riduzioni dell’Iva sugli alimenti base dell’infanzia, libri gratuiti.
Per tutte le famiglie inoltre c’è l’eliminazione dell’Ici sulla prima casa, la costruzione di nuovi alloggi nonché la riduzione del costo dei mutui e bonus affitti per aiutare le giovani coppie.

Decisioni di procreazione e diritti delle unioni di fatto

Nel programma di sostegno della famiglia, il Pdl si propone un rilancio della prevenzione e di assistenza dei consultori pubblici e privati per garantire alternative all’aborto.

LA DESTRA

Esplicito nel programma della Destra-Fiamma tricolore, il progetto di revisione della legge 194 al fine di rendere effettiva la difesa della vita dal concepimento. Dichiara una decisa opposizione a formule Dico-Pacs.

FAMIGLIE

PROVVEDIMENTI

La politica di sostegno economico della famiglie del governo Prodi è articolata in varie direzioni.
Sul piano del servizi per i bambini in età prescolare, il piano asili nidi 2007-2009 è stato il primo intervento importante di sviluppo del sistema dei servizi dalla legge 1044-1971 e per questo molto apprezzabile. Per questo piano, che include obiettivi di incrementi della copertura media degli asili nido, livelli minimi di copertura regionale, standard di qualità e sviluppo di attività di monitoraggio, sono stati stanziati 300 milioni per gli anni 2007, 2008 e 2009 più 35 milioni di euro per le cosiddette "sezioni primavera" (destinate ai bambini di età 24-36 mesi).
Per il sostegno alle famiglie numerose, è stata prevista un’agevolazione di 1200 euro, cioè 100 euro al mese per il 2008 erogati sotto forma di detrazione Irpef, destinati ai nuclei familiari con più di 4 figli a carico. Questo beneficio è previsto anche per i coniugi separati: in questo caso la detrazione spetta al genitore affidatario. Per le famiglie con un reddito basso è previsto anche un bonus di 150 euro, erogato una tantum. Il bonus è destinato a tutti i contribuenti la cui imposta netta Irpef nel 2006 è risultata pari a zero e viene distribuito a lavoratori dipendenti e pensionati.
Per il sostegno delle spese familiari per l’abitazione è stato introdotto un aumento della detrazione Ici sulla prima casa. Lo sconto sull’ICI riguarda tutte le abitazioni (ad eccezione per quelle signorili, le ville e i castelli) ed è dunque esteso alla maggior parte dei contribuenti Ici. Sono state anche introdotte detrazioni, variamente articolate, anche per i contribuenti a basso reddito che non sono proprietari ma pagano un canone di affitto. Queste detrazioni si traducono in trasferimenti nel caso delle famiglie incapienti.
Infine sono stati introdotti incentivi all’assunzione di forza lavoro femminile (per incentivare l’occupazione femminile dal lato della domanda, laddove la partecipazione è più bassa). Si tratta di sconti IRAP alle imprese del Sud che assumono lavoratrici a tempo indeterminato rientranti nella categoria di " lavoratore svantaggiato" nelle regioni del sud. L’agevolazione fiscale comporta un beneficio di circa 150 euro al mese per ogni lavoratrice assunta.

QUANDO SI VEDRANNO GLI EFFETTI

L’incremento del numero degli asili può essere uno strumento efficace nel sostenere le decisioni di lavoro e fertilità delle famiglie.
Anche se è difficile ipotizzare una relazione causale si è evidenziato come nelle aree dove gli strumenti per l’infanzia sono cresciuti è aumentata la fecondità e la partecipazione e al lavoro (Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e Toscana indicando in quali contesti avere figli e lavorare appare più conciliabile).
Nonostante gli obiettivi dichiarati, gli interventi a favore delle famiglie in termini di tasse/trasferimenti avranno effetti redistributivi modesti. Da un lato perché in generale privilegiano i trasferimenti monetari rispetto ai servizi, in parte perché non si distingue tra redditi individuali e familiari. Come appare vero per altri interventi nel campo delle pensioni minime anche lo sconto ICI, esteso alla maggior parte dei contribuenti, finisce per avere scarsissimi effetti redistributivi. Quanto e poco redistributiva la finanziaria 2008 3.01.2008.Gli effetti redistributivi sono meno modesti nel caso delle detrazioni si traducono in trasferimenti positivi a favore dei soggetti incapienti.

OCCASIONI MANCATE

Per incentivare la partecipazione femminile, il credito di imposta per la cura dei figli, (come testimonia il caso del Regno Unito 2003) è uno strumento efficace nell’incentivare la partecipazione senza disincentivare la fertilità.
Un credito di imposta per le spese sostenute per la cura dei figli (sia nel settore pubblico che nell’ambito di istituti privati) avrebbe anche il vantaggio di incentivare forme di lavoro regolare, scoraggiando invece gli impieghi nel sommerso.
Infine sarebbe stato auspicabile un passaggio più deciso dalle deduzioni alle detrazioni per tipologie di reddito e carichi familiari, con una riduzione delle aliquote marginali sui redditi per i quali l’elasticità dell’offerta di lavoro al reddito netto è più elevata, in direzione di un intervento più ampio finalizzato all’unificazione degli strumenti fiscali (detrazioni) e di spesa (assegni familiari) a sostegno dei carichi familiari.

MA IL DATO NON VA ESTORTO

La Corte dei conti contesta all’Istat di non aver mai applicato una norma che prevede multe per chi non risponde ai suoi questionari. Ma si tratta di una disposizione gravemente intrusiva della privacy. Non solo: non contribuisce a ottenere dai cittadini risposte attendibili, minando la qualità delle indagini. Oltretutto la sua applicazione costerebbe all’Istituto o all’erario circa 10 milioni di euro l’anno. Bene ha fatto il governo a intervenire con un decreto che ha anche effetti retroattivi. E che ora deve essere convertito in legge.

EPPURE L’INVERSIONE DI TENDENZA C’È

Ringraziamo Gianpiero Dalla Zuanna (che -è bene sottolinearlo- è consulente del ministro delle Politiche per la Famiglia), per l’attenzione dedicata al nostro pezzo. Le sue obiezioni a quanto da noi scritto si possono riassumere nei due punti seguenti:

a) Non avremmo tenuto nella giusta considerazione le misure effettivamente messe in atto.
b) Non sarebbe vero che in Italia si osserva un’inversione di tendenza del legame negativo fra lavoro della donna e fecondità.

Misure "timide" e lavoro femminile

Noi però non possiamo che ribadire quanto abbiamo scritto. Ovvero:

a) A noi sembra di aver ben riconosciuto, nel nostro pezzo, che la Finanziaria 2007 ha avviato un piano straordinario di asili nidi, il primo intervento complessivo dopo un lungo periodo di stasi. Tuttavia, come lo stesso Dalla Zuanna ammette, lo stanziamento non è sufficientea coprire la domanda potenziale. Diamo atto al ministro Bindi di possedere una grande sensibilità su questi temi, e concordiamo con la sua insoddisfazione sulla parte dedicata dalla Finanziaria 2008 alla famiglia, anche se secondo Dalla Zuanna l’insoddisfazione sarebbe solo da imputare alla mancata implementazione dell’assegno unico universale per i figli.
L’accusa che ci si rivolge è di aver definito "timide" le misure per la famiglia contenute sulla Finanziaria 2008, in particolare sulla conciliazione. Era lecito avere aspettative più alte? Secondo noi sì. Non solo relativamente agli asili nido (secondo noi cruciali e che meritano ogni sforzo utile per potenziarne copertura e qualità), ma anche perché, come è stato dimostrato da vari studi recenti le politiche per la conciliazione hanno effetto soprattutto in sinergia. Sarebbe stato auspicabile allora una riforma dei congedi parentali , nonché sgravi fiscali per chi lavora e svolge lavoro di cura che incentivano sia lavoro che fecondità. Il fatto poi che su questi punti la Finanziaria possa essere legittimamente considerata timida è ulteriormente confermato dalla recente notizia di possibili emendamenti che vanno proprio nella direzione di potenziare le misure di conciliazione. (1)

b) Appare poi inconsistente la critica di Dalla Zuanna sull’inversione del legame tra lavoro femminile e fecondità Non dobbiamo essere noia ricordare a Dalla Zuanna quanto la letteratura scientifica, e vari rapporti Ocse, abbiano molto insistito negli ultimi anni sul cambiamento di segno della correlazione cross-country tra occupazione femminile e fecondità nei paesi occidentali. Non si tratta quindi di una nostra balzana invenzione: stiamo parlando di due indicatori e di una relazione tra di essi che viene costantemente presa a riferimento in ambito scientifico. Fino a qualche anno fa, però, non vi era alcuna evidenza di cambiamento di segno all’interno del territorio italiano. Ora qualcosa in tale direzione appare, come abbiamo messo in evidenza, soprattutto se guardiamo al recupero di fecondità dal 1995 in poi. Quello che si ottiene è che il recupero (comunque lo si guardi e al netto del contributo degli stranieri) è stato maggiore nelle regioni nelle quali l’occupazione femminile è più alta. Si dovrà convenire che ciò quantomeno significa che l’occupazione femminile non ha ostacolato il recupero.

Livello macro e livello micro

Contestare poi, come fa Dalla Zuanna, la relazione macro con il fatto che a livello individuale il legame rimane invece negativo, è un argomento completamente fuori bersaglio. Primo perché il legame negativo a livello micro era già chiaro dalla nostra relazione, dove si dice infatti che: "Risulta inoltre più ridotto, nel Nord Italia, il divario nei tassi di occupazione delle donne in funzione della loro condizione familiare. Ciò significa che lavorare deprime meno la fecondità nel Nord che nel Sud. In particolare, secondo i dati forniti dall’Istat, nel Nord Italia tra le donne single di 35-45 anni le occupate sono l’87 per cento, e si scende al 67 per cento tra le donne in coppia con figli. Nel meridione i valori sono rispettivamente il 68 per cento e il 35 per cento". Appare molto chiaro da tale frase che ha più figli chi non lavora, ma anche che nel Nord (dove gli strumenti di conciliazione sono più diffusi) "lavorare deprime meno la fecondità".

Ma il secondo motivo per cui l’obiezione di Dalla Zuanna proprio non ci torna, è che una relazione negativa a livello individuale di per sé non smentisce per nulla la sostanza della nostra argomentazione. Lo spieghiamo con un esempio molto semplice. Supponiamo che nella regione A ci siano quattro donne: due lavorano e hanno un figlio e due non lavorano ed hanno tre figli. Il numero medio di figli regionale risulta pari a 2. Supponiamo poi invece che nella regione B sia maggiore l’occupazione e sia più conciliabile con la possibilità di avere figli. Per le quattro donne della regione B la situazione sia allora la seguente: tre lavorano e hanno due figli, mentre una non lavora e ha tre figli. La media in questo caso risulta pari a 2,25.
Risulta chiaro allora, da questo semplice esempio, come il numero medio di figli dove c’è maggiore occupazione e conciliazione possa risultare più elevato, anche se a livello micro fanno più figli le donne non occupate.

(1) Un esempio è la proposta di cui è relatore Giovanni Legnini, Ulivo.

L’EFFIMERO BOOM DELLE NASCITE

Proprio perché si iniziano a intravedere anche in Italia possibili segnali di una relazione positiva tra occupazione femminile e fecondità, bisognerebbe investire di più per alimentare e consolidare tale processo, e avvicinarci quindi ai livelli medi europei. La crescita dei due indicatori ha per lo sviluppo del nostro paese un’importanza cruciale. Perciò il continuo potenziamento delle misure di conciliazione dovrebbe diventare una priorità. Invece la Finanziaria 2008 sembra dimostrare, ancora una volta, che così non è.

Chi lavora in famiglia?

E’ l’anno delle pari opportunità e si sostiene da più parti che occorre aumentare il lavoro delle donne. Ma in Italia già oggi lavorano più degli uomini. Lo fanno senza essere pagate, nella cura della casa e dei famigliari. E quando lavorano per un salario spesso rinunciano ad avere figli. Se vogliamo davvero aumentare il benessere di più della metà degli italiani c’è bisogno di misure che riconcilino lavoro e responsabilità famigliari per le famiglie a basso reddito. Proponiamo di introdurre un contributo alle spese per i servizi di cura dei bambini piccoli e/o degli anziani. Non convince invece nè l’idea di diminuire le tasse delle donne e alzare quelle degli uomini nè quella di introdurre un quoziente famigliare.

Pari opportunità anche di restare al lavoro

Le differenze di genere nei tassi di crescita salariale sono legate a fenomeni di mobilità “volontaria”. Forse perché le donne decidono di muoversi verso imprese più grandi per motivi diversi dalla retribuzione, come la maggiore protezione o la flessibilità nell’orario di lavoro. Nelle politiche del lavoro è necessario considerare questo aspetto e sviluppare misure di supporto che permettano di conciliare vita lavorativa e familiare senza per questo rinunciare alla realizzazione professionale.

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