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Autore: Alfredo Del Monte

delmonteProfessore Ordinario di Economia e Politica Industriale presso l’Università Federico II di Napoli, Facoltà di Economia. Coordinatore dal 2012 del progetto ”Reti, Politiche Pubbliche ,Sviluppo“ finanziato dalla UE. Dal 2002 è Direttore del Master in “Concorrenza, Economia della Valutazione e della Regolamentazione”. Visiting professor presso Institute of Urban and Regional Development dell’Università di Berkley nel 1987. Master in Economics e Ph.D Candidacy Università del Michigan nel 1971 e si è laureato all’Università Luigi Bocconi nel 1966.
Si occupa di corruzione,sviluppo economico, problemi del Mezzogiorno, economia industriale ed incentivi a R&S.

Sentimenti anti-stranieri: il potere della propaganda

I dati confermano che non si può parlare di emergenza immigrazione, né in Italia né in Europa. Ma gli elettori di molti paesi hanno creduto alla propaganda dei partiti di destra. L’argine è in politiche che proprio il populismo al potere rende difficili.

Disuguaglianze e immigrazione spiegano il voto di marzo

Nelle aree dove la percentuale di stranieri è più forte, ha vinto il centro-destra. Mentre le zone a più alto tasso di disoccupazione hanno premiato il Movimento 5 stelle. Solo dove le istituzioni funzionano meglio i populismi si fermano.

Il peso della disoccupazione sul voto

Confronto tra 2016 e 2013

È opinione comune che il “no” al referendum costituzionale sia stato non tanto un voto sul merito della riforma costituzionale quanto un voto contro il governo in carica. Ciò che non viene sottolineato è che i motivi della protesta – elevata disoccupazione, paura dell’immigrazione, alto livello della tassazione – avevano già influito sui risultati elettorali delle politiche del 2013, che l’esito del referendum ha sostanzialmente confermato. Il grafico 1 evidenzia, a livello di regioni, la relazione fra la percentuale di voti per il “no” nel 2016 e la percentuale di voti presi nelle elezioni politiche del 2013 dalle forze che nel 2016 erano per il “no”.
Il “no” ha ottenuto meno consensi di quelli presi nel 2013 dai partiti che lo sostenevano nel Nord-Ovest (Piemonte, Liguria, Lombardia), in Emilia Romagna e nelle regioni dell’Italia centrale, con l’eccezione del Lazio. Tuttavia, solo in Emilia e Romagna e Toscana ha prevalso il “sì”. Invece nel Nord-Est il “no” ha ricevuto più voti di quelli presi nel 2013 dai partiti a suo favore. Il Mezzogiorno ha un andamento analogo a quello del Nord-Est. Il “no” ha avuto una percentuale di voti maggiore rispetto alla quella registrata nel 2013 dalle forze che lo sostenevano. Le uniche eccezioni sono gli Abruzzi e il Molise.
La difformità di voto tra 2016 e 2013 può essere stata determinata dalla variazione del tasso di disoccupazione (tabella 1). Infatti, la gran parte delle regioni dove il “no” ha preso meno voti di quelli conseguiti nel 2013 dai partiti che lo sostenevano hanno registrato un miglioramento del dato (tabella 1). Il contrario è avvenuto nelle regioni, come quelle meridionali, che hanno visto un peggioramento del tasso di disoccupazione.

Elettorato stabile

L’esito del voto referendario evidenzia una notevole stabilità dell’elettorato, anche se all’interno di ciascun partito vi sono state defezioni rispetto alla posizione ufficiale. Secondo il sondaggio di Demos apparso su La Repubblica del 22 dicembre 2016, l’84 per cento degli elettori del Pd, se si dovesse rivotare per il referendum, confermerebbe il “sì”; l’83 per cento di quelli del Movimento 5 Stelle confermerebbe il “no”, così come il 73 per cento di chi vota Lega Nord e il 68 per cento di chi sceglie Forza Italia. In base allo stesso sondaggio, le forze politiche a favore del “sì” avrebbero il 34,7 per cento dei voti e quelle per il “no” il 65,3 per cento.
Ora, tenendo conto dei voti dei partiti e di quanti in ciascun partito si sono espressi per il “no”, il “sì” avrebbe dovuto prendere l’8,25 per cento in più del voto a favore delle forze per il “sì” nel 2013, e cioè il 42,95 per cento, mentre il “no” avrebbe dovuto prendere il 57,05 per cento. I risultati effettivi – 40,89 per cento al “sì” e 59,11 per cento al “no” – sono del tutto coerenti con questi dati e mostrano che la sconfitta del “sì” è stata meno drammatica di quanto si sia detto. In ogni caso, era prevedibile in base ai risultati delle politiche del 2013.
Il disagio sociale, che in qualche modo è approssimato dal tasso di disoccupazione, era già stato allora l’elemento cruciale che aveva determinato l’esplosione di voti per il M5S e l’affermazione del tripolarismo. Il governo Renzi, utilizzando la strategia di un mix di riforme e di stile personalistico del presidente del Consiglio, ha tentato di contrastare questa tendenza. Il risultato delle Europee, con un forte ridimensionamento del M5S ha illuso Renzi e, se da un lato lo ha incoraggiato sulla via delle riforme, dall’altro lo ha spinto a ricercare un successo popolare personale con il referendum costituzionale. L’obiettivo è fallito perché, nonostante un lieve miglioramento nella situazione sociale, non si sono realizzate le aspettative create dal governo Renzi. Giacché è presumibile che le modifiche nei tassi di disoccupazione saranno minime nel breve termine, appare difficile che nelle prossime elezioni si registrino grandi cambiamenti nei rapporti di forza fra i vari schieramenti politici.

Tabella 1

Fonte: Elaborazioni Istituto Cattaneo su dati del ministero degli Interni per i dati elettorali; Istat per i tassi disoccupazione

Fonte: Elaborazioni Istituto Cattaneo su dati del ministero degli Interni per i dati elettorali; Istat per i tassi disoccupazione

Grafico 1

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Quanto pesa la corruzione sul debito pubblico

L’elevato livello di corruzione del nostro paese ha influito sulla crescita del Pil e di conseguenza ha peggiorato la situazione della nostra finanza pubblica. Necessari provvedimenti coerenti che aumentino la probabilità di condanna e riducano nettamente i benefici per corrotti e corruttori.

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