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Autore: Alberto Alesina

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo i lettori per gli interessanti commenti ricevuti.
fRancY coglie una implicazione importante della nostra proposta: se lo squilibrio dei compiti familiari diminuisce, si riducono le ragioni per tassare donne e uomini in modo diverso; la tassazione preferenziale a favore delle donne è una misura flessibile da adeguare nel tempo a un contesto in evoluzione. Riguardo al suo secondo commento, non ci sentiamo assolutamente in diritto di dire che cosa le famiglie devono fare. Se pero’ il Paese ritiene che le donne siano una  “fonte di energia” che attualmente è in parte sprecata perchè troppo concentrata sulla famiglia e se al tempo stesso ritiene che gli uomini siano una “fonte di energia” troppo concentrata sul mercato, allora la leva fiscale è uno strumento semplice ed efficace per raggiungere un maggiore equilibrio e un uso migliore di entrambe le risorse. Forse anche gli uomini potrebbero essere usati piu’ efficientemente nell’educazione dei figli e nell’assistenza agli anziani. Se invece va tutto bene cosi’ allora lasciamo le tasse invariate ma smettiamo di parlare di 8 marzo e di differenze di genere … !
Matteo ricorda che esistono gia’ incentivi alle aziende, dal lato della domanda, per favorire l’occupazione femminile. Ci sono pero’ vari studi che mostarno la maggiore efficacia di agire con incentivi dal lato dell’offerta. La donna ha molto più interesse dell’azienda a usare bene l’incentivo.
Francesco Bloise dice che le retribuzioni dipendono dalla produttivita’, che la produttivita’ delle donne e’ inferiore per via dei carichi familiari e proprio per questo le donne sono pagate meno. E’ esattamente il presupposto (dimostrato dai dati) su cui si basa la nostra proposta . Se i carichi di lavoro fossero più equilibrati in famiglia, le aziende non percepirebbero le donne come relativamente meno produttive degli uomini. La tassazione preferenziale per le donne mira proprio a cambiare questa percezione. Riguardo al suo secondo commento, non e’ possibile che tutto l’incentivo dato alle donne si trasformi in margini di profitto: nella situazione limite in cui l’incentivo andasse tutto nelle tasche dell’azienda, la donna non aumenterebbe la sua offerta di lavoro e quindi anche il vantaggio per l’azienda si volatilizzerebbe. O non ci sono effetti, oppure sono distribuiti tra domanda e offerta. Ma non puo’ esserci solo un aumento dei margini di profitto.
Il problema della Costituzionalità è risolto dal secondo comma dell’Art. 3, che risolve analogamente il problema di ogni altra “azione positiva” (affirmative action). La legge (con approvazione bi-partisan) per il “rientro dei cervelli” prevede già agevolazioni fiscali maggiori per le donne, e non sono stati sollevati problemi di costituzionalita’. Il sistema fiscale italiano prevede agevolazioni per chi ha figli, anche a parità di produzione del reddito. Francamente trovo maggiori ragioni per incentivare il lavoro femminile piuttosto che i figli data la sovrapopolazione mondiale (io che ne ho 4 dovrei essere tassato).
Chiara Saraceno non vede come la tassazione possa risolvere i problemi di conciliazione famiglia e lavoro, da lei considerati solo un problema delle donne! Noi non capiamo come lei non veda che non si puo’ continuare a chiedere di risolvere i problemi della conciliazione famiglia-lavoro alle aziende o allo stato. O per lo meno, prima di chiedere alle aziende o allo stato di risolvere il problema, chiediamolo agli uomini direttamente in famiglia: ci sembra piu’ semplice e trasparente. Quello che  Saraceno propone equivale a prendere l’aspirina per curare i sintomi e ridurre il dolore, senza curare le vere cause della malattia: peggio, dilazionando il bisogno di andare dal dottore per eliminare davvero le cause!
Senza incentivi, per forza la maggiore occupazione femminile non fa aumentare il contributo maschile al lavoro familiare! Proprio questo e’ il punto che giustifica la la leva fiscale a favore delle donne.
Quanto ai dati, il fatto che in USA e UK le donne anche a bassa istruzione e reddito lavorino di più che in Italia è sotto gli occhi di tutti.

PERCHÉ È UTILE TASSARE MENO LE DONNE

Un governo che volesse realizzare una riduzione della pressione fiscale per stimolare la crescita economica, otterrebbe risultati maggiori concentrandola sulle sole donne. La minore aliquota sui redditi delle donne si applicherebbe poi a una base imponibile maggiore e quindi il gettito fiscale diminuirebbe poco. Non è la mancanza di servizi di cura a tenere le donne lontane dal mercato del lavoro, ma una divisione dei compiti squilibrata all’interno della famiglia. La tassazione differenziata per genere aiuta a cambiare una mentalità che non ha più alcuna giustificazione.

Ricette sbagliate: più spesa in Germania

Sono in molti ad accusare la Germania per la sua politica fiscale prudente, che finirebbe per aggravare la crisi. La cui soluzione sarebbe invece in un’espansione della spesa pubblica tedesca. Ma si tratta di una ricetta sbagliata, frutto di un keynesianismo datato. E’ un’illusione credere che un 5 per cento sul Pil di deficit di bilancio in Germania basti per risolvere i problemi di crescita dell’Europa. Che dipendono piuttosto dalle rigidità sul lato dell’offerta, soprattutto nei paesi oggi più in difficoltà.

IL CREDITO CARO ALLE DONNE

In Italia micro-imprese e auto-impiego sono più diffusi che in altri paesi. E le donne rappresentano il 25 per cento di questa categoria di imprenditori. Ma le banche praticano un tasso di interesse più alto quando è un’imprenditrice a chiedere l’accesso al fido, una fonte di credito importante per le necessità di cassa di aziende così piccole. Il differenziale non è giustificato da un maggior rischio di fallimento, si rileva su tutto il territorio nazionale ed è alto all’interno dei settori. Scende se c’è un garante uomo. E se si trattasse di una forma di discriminazione?

A conti fatti, l’America è più lontana *

Il declino economico dell’Europa rispetto agli Stati Uniti si basa sull’osservazione che a partire dai primi anni Novanta il divario tra i rispettivi Pil pro capite ha ripreso ad allargarsi. Ma questo dato non è una misura adeguata del successo economico di un paese perché trascura la produzione non per il mercato e gli investimenti immateriali. Tuttavia, anche se prendiamo in considerazione le due voci, la situazione non migliora. Anzi, il declino relativo dell’Europa potrebbe essere ancora più marcato di quanto appare dalle statistiche ufficiali.

A European Display of Hypocrisy

Paul Wolfowitz non ha esperienza in economia dello sviluppo; ma neanche James Wolfensohn l’ aveva quando fu nominato presidente della Banca Mondiale nel 1995. Tuttavia, all’ epoca non vi fu alcuna sollevazione europea comparabile a quella attuale. Gli europei non amano Wolfowitz perché è un “unilateralista”, e pensano che i “multilateralisti” come se stessi dimostrino una maggiore attenzione ai problemi degli altri popoli. Non siamo d’accordo.

La riforma impossibile

I tentativi di modificare in meglio l’università italiana si sono trasformati in altrettanti fallimenti. E continuare a credere che il sistema sia riformabile è un’illusione che avvantaggia chi vuole conservare lo status quo. È necessario invece puntare su istituzioni nuove, come l’Iit, che possano contare su finanziamenti adeguati, ma soprattutto siano libere da ogni legame con l’attuale establishment accademico. Solo così avremo il rigore, i controlli e gli incentivi necessari alla ricerca scientifica di livello internazionale.

Uniti nella diversità

L’Europa che verrà è un’Unione di Stati, dunque la sua solidità dipende dalla uniformità di vedute tra i cittadini dei Paesi membri. Ma se gli europei sono d’accordo nell’avere una politica estera comune, hanno opinioni molte diverse su altri temi importanti come difesa, welfare, giustizia e immigrazione. La nuova costituzione dovrebbe tenerne conto e limitare le competenze dell’Unione alle aree sulle quali esiste una larga convergenza. Altrimenti, si rischia la disillusione degli entusiasti e una accentuata conflittualità tra Stati ricchi e i più omogenei e agguerriti “nuovi entranti”.

Europa senza più alibi

Dopo il taglio dei tassi l’Europa non ha piu’ alibi per non crescere. E non puo’ continuare ad addossare agli Stati Uniti colpe che sono solo sue. Condannare la politica del dollaro debole è solo l’ultima versione dell’antiamericanismo nostrano. In realtà, i livelli dei cambi sono decisi dai mercati e i tagli alle imposte voluti da Bush favoriranno la crescita. Con buona pace dei keynesiani italiani.

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