Lavoce.info

Autore: Agar Brugiavini Pagina 3 di 6

brugiavini Professoressa di Economia Politica presso l'Università Cà Foscari di Venezia ha conseguito una laurea in Scienze Statistiche alla Sapienza di Roma, un Master in Econometria e un Ph.D. in Economia alla London School of Economics. È stata docente alla City University Business School di Londra e visiting scholar presso la Northwestern University negli USA. Nella sua ricerca si occupa principalmente di scelte di risparmio delle famiglie, di pensioni e di stato sociale. Redattrice de lavoce.info.

PENSIONI: SE I RISPARMI RICHIEDONO FLESSIBILITA’

Sono in molti ad auspicare un nuovo intervento sul sistema previdenziale pubblico italiano. Ma nessuno ha calcolato finora l’entità dei risparmi prodotti dalle diverse proposte. Ecco i risultati di nostre simulazioni sotto quattro ipotesi diverse. Dall’equiparazione dell’età di pensionamento tra uomini e donne si ricava ben poco. I maggiori risparmi cumulati derivano da riduzioni attuariali di tutte le pensioni maturate dal 2010 in poi per chi lascia il lavoro prima dei 65 anni. E’ anche la riforma più flessibile ed equa sotto il profilo intergenerazionale.

ETA’ DI PENSIONAMENTO: MEGLIO FLESSIBILE

La proposta di equiparare l’età di pensionamento delle donne a quella degli uomini (rispettivamente 60 e 65 nella legislazione attuale) è sensata da un punto di vista “attuariale” se si considera che le donne vivono in media più a lungo degli uomini. Inoltre una compensazione ex post per gli svantaggi che le donne devono fronteggiare durante le loro carriere, che consiste nella possibilità di uscire prima dal mondo del lavoro, conferma le differenze tra uomini e donne invece di appianarle. In particolare la differenza più marcata tra uomini e donne è nella partecipazione al lavoro e un trattamento pensionistico di favore non rappresenta certamente la molla che convincerà le donne a partecipare alle attività produttive. Tuttavia occorre precisare che la sentenza della corte europea, tesa ad armonizzare le età di uscita, si concentra sui lavoratori pubblici, in quanto appartenenti a uno specifico regime “professionale”, e quindi non obbliga l’Italia ad un trattamento di parità previdenziale tra generi in tutti i casi.
Il vero problema è che, pur essendo cresciuta l’età media di pensionamento, i lavoratori italiani vanno ancora in pensione troppo presto rispetto alla media europea, uomini e donne. La soluzione è quella di ristabilire, da subito, i criteri di uscita flessibili della legge del 1995 (legge Dini). Queste regole prevedevano una finestra di uscita tra i 57 e i 65 anni con livelli diversi della prestazione pensionistica che crescevano al crescere dell’età di pensionamento. Per agganciarsi alla normativa vigente per le pensioni di anzianità si potrebbe prevedere una finestra di 58-66 anni. Naturalmente in questo caso l’intera pensione (e non solo la quota contributiva) dovrà rispondere alle regole del sistema contributivo con una penalizzazione per chi va in pensione prima (una decurtazione della pensione) e un premio per chi va più tardi. Oltre a garantire una parità di trattamento tra uomini e donne, sarebbe salvaguardata la sostenibilità del sistema pensionistico e si realizzerebbero dei risparmi per le casse dello stato.

IL COSTO DEL CUMULO

Il pacchetto delle misure previdenziali varate dal governo contiene l’abolizione del divieto di cumulo tra rendite da lavoro dipendente o autonomo e prestazione da pensione di anzianità. Si potrà quindi lavorare e nello stesso tempo godere di una pensione di anzianità. Da notare che il divieto era sinora totale tra pensione di anzianità e lavoro dipendente e parziale tra pensione di anzianità e lavoro autonomo. Nell’ultimo caso era cumulabile un reddito corrispondente al minimo INPS più il 70% dell’eccedenza della pensione sul minimo, con una trattenuta comunque non superiore al 30% del reddito conseguito. Secondo le intenzioni del Ministro Sacconi  l’abolizione del cumulo mira a combattere il lavoro nero e far emergere il gettito sui redditi da lavoro ora sommerso. Ma la misura porterà anche a ridurre le entrate di coloro che al momento subiscono una trattenuta sui redditi da lavoro se pensionati. Inoltre l’abolizione del divieto di cumulo rende più appetibile l’opzione del pensionamento d’anzianità, abbassando l’età di pensionamento e facendo lievitare la spesa previdenziale. La Ragioneria Generale dello Stato stima un costo della totale cumulabilità pari a 390 milioni di Euro. Può essere una stima per difetto. Il provvedimento infatti si applica a tutte le pensioni di anzianità successive al 31 dicembre 2002. Secondo l’INPS lo stock di pensionati-lavoratori è di circa 2 milioni e 40mila, ma questo dato non  tiene conto di coloro che avrebbero comunque deciso di continuare a lavorare e in più potranno godere della loro pensione di anzianità. Se il flusso delle nuove pensioni di anzianità aumentasse del 40% (rispetto al flusso in assenza del cumulo), il costo potrebbe più che raddoppiare. E’ difficile fare delle previsioni accurate. Buona quindi l’idea della rimozione del divieto, ma andrebbe applicata in un sistema “neutrale”, quale il sistema contributivo, e non in un sistema in cui le pensioni di anzianità sono in media generose.

PENSIONI

PARTITO DEMOCRATICO

La proposta principale del Pd in tema di pensioni è successiva alla presentazione del programma e prevede:

– Bonus medio annuo di 400 euro annui per le pensioni sotto ai 25mila euro; dai 250 ai 100 euro per pensioni tra 25mila e 55mila euro. Si effettua attraverso l’applicazione di maggiori detrazioni fiscali.

Non ci sono provvedimenti per coloro che hanno pensioni inferiori agli 8.675 euro (età maggiore 64 anni) perché il governo Prodi ha già previsto una somma aggiuntiva tra 336 e 504 euro dal 2007, denominata quattordicesima.

– Estensione della quattordicesima alla fascia dagli 8.675 ai 25mila euro.
– Indice del costo della vita calcolato dall’Istat per le famiglie di pensionati per monitorare l’adeguamento al costo della vita delle pensioni. Adeguamenti sulla base di un indice “di sostenibilità” dato dal rapporto tra monte salari dei lavoratori dipendenti e numero dei pensionati.

Per l’invecchiamento attivo: agevolazioni alle imprese che assumono gli over 50 a tempo indeterminato, incentivi ai lavoratori che prolungano l’attività lavorativa oltre l’età pensionabile, abolizione del divieto di cumulo tra pensione e retribuzione

Il costo è di 2,5 miliardi di euro l’anno; la copertura si dovrebbe avere attraverso la riduzione della spesa primaria e la valorizzazione del patrimonio.

POPOLO DELLA LIBERTÀ

Il programma si riassume nella dichiarazione di Silvio Berlusconi del 25 marzo 2008: “Interverremo sulle pensioni più basse e le adegueremo al carovita”.

UDC

– Recupero potere d’acquisto delle pensioni dei dirigenti, dei quadri dell’industria del commercio e trasporti eccetera e dei dirigenti pubblici.
– Abolizione del provvedimento che azzera la perequazione delle pensioni nel 2008 (dell’ultima finanziaria), recuperando nel tempo l’importo dovuto
– Abolizione completa divieto di cumulo tra salari e pensioni
– Possibilità di versare volontariamente la contribuzione ordinaria per dirigenti che a causa di ristrutturazioni aziendali restano senza lavoro
La copertura si ha con il recupero di risorse attraverso risparmi dovuti, ad esempio, all’abolizione delle province.

SINISTRA ARCOBALENO

– Garantire una pensione netta non inferiore al 65 per cento dell’ultima retribuzione e comunque non inferiore ai 600 euro mensili (dal 2008). Tale cifra andrà rivalutata annualmente sulla base dell’inflazione reale.
– Incrementare attuali pensioni minime e basse fino a 800 euro netti.
– Rivalutare tutte le pensioni collegandole alla crescita della ricchezza del paese e calcolo dell’inflazione di riferimento sulla base di un paniere di beni essenziali.

– Tenere conto dell’anzianità e non solo dell’età nei criteri di accesso alla pensione.
– Riconoscimento di pensione anticipata ai lavori usuranti.
– Versamento volontario del Tfr all’Inps per tutti i lavoratori. Conferimento del Tfr ai fondi pensione reso reversibile.

COMMENTO

Il Pd, la Sinistra Arcobaleno e l’Udc hanno toccato un fenomeno importante: la progressiva erosione del potere d’acquisto delle pensioni che sono indicizzate al costo della vita, ma non alla crescita salariale. Problema, questo, particolarmente sentito per le pensioni più basse. Non ci sono chiare indicazioni sulla copertura della spesa addizionale.
In merito alle proposte, il Pd propone da una lato di dare dei bonus alle pensioni più basse e dall’altro di legare l’andamento delle pensioni, al rapporto tra monte salari e spesa pensionistica, correggendo per gli andamenti demografici.
Anche l’Udc si preoccupa degli adeguamenti al costo della vita, ma stranamente solo per alcuni gruppi di lavoratori, mentre la Sinistra Arcobaleno si spinge a riconsiderare la formula stessa del calcolo della pensioni proponendo l’inserimento di elementi “retributivi” nel sistema contributivo.
Ci sembra molto pericoloso reintrodurre elementi di spesa addizionali (come proposto dalla Sinistra Arcobaleno) che non sono necessariamente perequativi e che minano alla base l’equilibrio sostenibile del sistema contributivo che lentamente sta andando a regime.
Occorrerebbe anzi fare menzione dell’adeguamento più diretto alla accresciuta longevità, come previsto dalla legge del 1995.

TANTE NUOVE PROMESSE E UN’IDEA INNOVATIVA

Dopo la pausa pasquale e nonostante il visibile rallentamento della nostra economia, la campagna elettorale è ripresa a pieno ritmo all’insegna di nuove promesse, onerose per la finanza pubblica. Riusciranno mai i nostri politici a formulare proposte a costo zero per le casse dello Stato? La settimana scorsa l’Ocse ci aveva detto che, nel 2008, l’economia italiana crescerà dello 0,6 per cento circa; Questo significherebbe arrivare, senza toccare nulla, a bocce ferme, ad un rapporto deficit pil intorno al 2,5 per cento e quindi vicino a quella soglia del 3 per cento, parametro che non dobbiamo superare. Malgrado questi sviluppi, ecco immediatamente arrivare promesse di nuovi piani di spesa. Ieri Veltroni ha annunciato l’incremento delle pensioni, che peraltro non era nel programma del Partito Democratico; gli ha fatto subito eco Berlusconi anche lui promettendo aumenti delle pensioni. Bisognerebbe stare molto di più con i piedi per terra e quando si fanno delle promesse spiegare come verranno finanziate. C’è comunque un aspetto innovativo nella proposta del Pd, vale a dire l’idea di legare l’andamento delle pensioni, che oggi sono indicizzate al costo della vita, al rapporto tra monte salari e spesa pensionistica. E’ un’idea innovativa perché vuol dire che d’ora in poi i pensionati non si interesseranno soltanto di come vanno i prezzi, ma cercheranno anche di sostenere quelle riforme che dovessero aumentare l’occupazione e la produttività nel nostro paese.  E si potranno pagare pensioni più alte in termini reali solo nella misura in cui aumenta la produttività o il numero degli occupati o gli italiani lavorano più a lungo. Saranno incrementi, in altre parole, sostenibili, coerenti con l’equilibrio di lungo periodo dei nostri conti previdenziali.

PENSIONI

Un primo importante provvedimento è l’eliminazione dello scalone  (Legge 247/2007) che sostituisce allo “scalone” introdotto dal governo Berlusconi un criterio meno stringente secondo il quale si può andare in pensione di anzianità anche in presenza di criteri di anzianità contributiva ed età inferiori. L’accordo comporta un aumento di spesa previdenziale stimato in  circa 10 miliardi di euro in dieci anni.
L’altro provvedimento di rilievo è relativo al conferimento TFR. In particolare il Governo Prodi ha anticipato l’attuazione della riforma al 2007 (anziché 2008 come previsto dalla Legge Maroni). Accanto a questo anticipo viene anche introdotto un trasferimento del TFR in un fondo INPS per i dipendenti di aziende sopra i 50 dipendenti che non aderiscano ad un fondo pensione di categoria o altro fondo pensione (Legge 296/2006, Art. 1, comma 755-760).
Occorre poi menzionare una revisione aliquote contributive lavoratori tipici ed atipici, (Legge 296/2006, Art. 1, comma 749-750, 770-776; Legge 247/2007). Un aumento delle pensioni “ basse”,  e provvedimenti aumentare le pensioni dei giovani,  attraverso la totalizzazione dei contributi e la possibilità di  riscatto della laurea. Inoltre è stata introdotta una revisione dei  contributi figurativi,  per l’intero periodo di godimento delle indennità di disoccupazione,  calcolati non più sugli importi degli assegni di disoccupazione ma sulla retribuzione piena presa a riferimento per il calcolo degli assegni stessi nel caso di disoccupazione e lavori discontinui.  (Legge 247/2007,  Legge 296/2006).
In merito ai Lavori usuranti (Legge 247/2007) è stata formulata una delega a legiferare decreti legislativi, al fine di concedere ai lavoratori dipendenti che maturano i requisiti per l’accesso al pensionamento a decorrere dal 1º gennaio 2008 impegnati in particolari lavori o attività la possibilità di conseguire, su domanda, il diritto al pensionamento anticipato con requisiti inferiori a quelli previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi.
Secondo le stime del Ministero del Lavoro la lista di queste mansioni dovrebbe coinvolgere quasi 1,4 milioni di lavoratori con un costo massimo pari a 2,5 miliardi di Euro per dieci anni dei 10 preventivati per l’abolizione dello scalone.
Durante i lavori della Camera la Commissione aveva eliminato il riferimento che stabiliva il tetto di 80 notti per definire i lavori notturni usuranti ma il governo lo ha reintrodotto in dirittura di arrivo. Sono state individuate nuove categorie quali: lavoratori dipendenti notturni come definiti dal decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66;  lavoratori addetti alla cosiddetta «linea catena» ; conducenti di veicoli pesanti adibiti a servizi pubblici di trasporto di persone;
I lavoratori devono avere svolto nelle attività: nel periodo transitorio, un periodo minimo di sette anni negli ultimi dieci anni di attività lavorativa; a regime, un periodo pari almeno alla metà della vita lavorativa.

QUANDO SI VEDRANNO GLI EFFETTI

L’eliminazione dello scalone ha effetto a partire dal 2008, anno nel quale era previsto l’innalzamento dell’età minima pensionabile a 60 anni. Requisiti per il pensionamento:

Anno Età Anagrafica
  Lavoratori dipendenti pubblici e privati Lavoratori autonomi iscritti all’INPS
2008 58 59
2009 – dal 01/01/2009 al 30/06/2009 58 59

 

Requisiti a partire dal 2009:

Conferimento TFR: anticipata l’entrata in vigore all’inizio del 2007 anziché al 2008 previsto dalla Legge Maroni. L’analisi preliminare degli effetti (dati riferiti a luglio 2007) mostrano che per effetto del conferimento del TFR il tasso di adesione ai fondi pensione negoziali  è salito dal 13.3% del 2006 al 23.6% del 2007, contro un tasso atteso del 40%.  Il Ministero del lavoro sostiene però che occorrerebbe aggiungere i lavoratori che alla data del 30 giugno non hanno operato alcuna scelta esplicita. Si arriverebbe  così ad un tasso di adesione, secondo le stime ministeriali, del 34/35%.

Aumenti aliquote

Già in  finanziaria 2007 si erano già attuati alcuni aumenti delle aliquote contributive lavoratori artigiani e commercianti iscritti alle gestioni autonome dell’INPS sono stabilite in misura pari al 19,5%. A decorrere dal l° gennaio 2008, le predette aliquote sono elevate al 20 %.
Per i lavoratori iscritti alla gestione separata, l’aumento delle aliquote contributive al 23% (23.5% con i contributi aggiuntivi per maternità, malattia, etc.) ha avuto luogo a partire dal 1 gennaio 2007; dal primo gennaio 2008 e per i successivi 3 anni, è previsto un aumento ulteriore di 1 punto percentuale per anno in aggiunta, nel primo anno, ad un ulteriore incremento dello 0.25% per contributi di maternità, malattia, etc.). In questo caso il Governo Prodi è andato nella direzione di armonizzazione delle aliquote contributiva aumentando così la contribuzione totale che rappresenta il montante delle future pensioni dei lavoratori atipici.

Pensioni basse: a partire dal 2007 introdotta una una tantum aggiuntiva annua per le pensioni basse (pagata ad ottobre dello stesso anno).
La misura della somma aggiuntiva alle pensioni basse è calcolata in base all’anzianità contributiva. 
Lavori usuranti: devono essere stabilite le categorie che usufruiranno della definizione di lavoratori usurati.

OCCASIONI MANCATE

Ammorbidire lo scalone ha protetto circa 129.500 pensionandi d’anzianità, molti dei quali provenienti dal pubblico impiego e non ha quindi portato quei risparmi di spesa necessari a garantire pensioni migliori per i più giovani. Si è stimato che  l’eliminazione dello scalone porterà ad un aumenti di spesa di 10 miliardi di euro in 10 anni

Non è l’ultima sigaretta, forse neanche la penultima, di Tito Boeri e Agar Brugiavini
E’ una questione di metodo. Contributivo,  di Agar Brugiavini e Elsa Fornero;
Gli italiani e le pensioni, di Sandro Gronchi, 17.07.2007

Non è stato affrontato il nodo della  revisione dei coefficienti di trasformazione, in effetti slittata al 2010. E’ prevista una commissione col "compito di verificare e proporre modifiche" agli stessi.
Non c’è  all’interno del protocollo d’intesa, interventi volti alla diversificazione dei coefficienti di trasformazione al fine di considerare le differenze in termini di vita attesa a seconda della carriera lavorativa svolta.  Viene però istituita una apposita Commissione che dovrà valutare il rapporto intercorrente tra l’età media attesa di vita e quella dei singoli settori di attività. Sulla base dell’istruttoria svolta la Commissione dovrà fornire quindi entro il 31 Dicembre 2008 un parere sull’eventuale revisione dei coefficienti di trasformazione. Una definizione per il lavoro usurante, di Jacopo Canello e Stefano Marchiante, https://www.lavoce.info/articoli/pagina2619.html,  23.07.2007. Quando il lavoro è usurante di Matteo Richiardi , Roberto Leombruni e Mauro Gallegati

Non è l’ultima sigaretta, forse neanche la penultima

L’accordo sulle pensioni è stato firmato. Ma non è certo l’inizio di un nuovo patto intergenerazionale. E’ un tampone che serve a guadagnare tempo in attesa di nuovi correttivi. Tutti i problemi di fondo rimangono irrisolti. La “concertazione” non c’è stata. E continua l’opera di demolizione della riforma che ha introdotto il metodo contributivo. Bisogna assicurare vere coperture. Quelle sui parasubordinati non lo sono. Perché si scambia il vincolo di bilancio annuale dell’Inps con il vero vincolo di bilancio di un sistema previdenziale: quello che guarda al futuro.

E’ una questione di metodo. Contributivo

Il presidente del Consiglio presenta la “sua” proposta sulla riforma delle pensioni. Sarebbe un vero peccato se vertesse soltanto sullo scalone, che pure si può ammorbidire. A patto di saper progettare il futuro e di riaffermare il metodo contributivo, il punto forte della riforma del 1995. E l’unico in grado di garantire al tempo stesso sostenibilità finanziaria ed equità tra le generazioni. Essenziale perciò approvare subito i nuovi coefficienti di trasformazione. Altrimenti si torna a un sistema pensionistico governato dalla discrezionalità politica.

Tanto rumore per nulla?

La reazione italiana al rapporto Ocse sulle pensioni ha sollevato un vespaio che ha tolto credibilità al nostro governo, rendendo ancora più difficile il negoziato in corso sulla riforma. Non si voleva far apparire il nostro sistema come troppo generoso. Ma se i “tecnici” del ministero della Solidarietà sociale avessero letto con cura le tabelle, avrebbero potuto notare che non lo è affatto. E magari anche che le stime dell’Ocse ipotizzano che vi sia nel frattempo una revisione dei coefficienti di trasformazione.

Tfr o fondi pensione: alcuni esempi

L’attuale governo ha disposto con Decreto Legge (13 Novembre 2006 n. 279) l’anticipo al 1 gennaio 2007 degli effetti previsti (a partire dal 2008) dal Decreto Legislativo n. 252/2005 in materia di previdenza complementare per i lavoratori dipendenti privati. I lavoratori dovranno fare una scelta sulla destinazione del proprio Tfr. Le storie contributive dei lavoratori sono molto diverse tra loro, come sono diversi i profili salariali, e difficilmente si possono fornire degli esempi utili alla platea degli undici milioni di lavoratori coinvolti.
Sembra tuttavia utile basarsi su dati concreti per capire i motivi (o meno) della convenienza.
I percorsi a disposizione dei lavoratori vedono nella data del 29 aprile 1993 un importante spartiacque:

  1. coloro che già erano iscritti alla previdenza obbligatoria a quella data e non partecipavano a forme pensionistiche complementari possono ora scegliere di mantenere il TFR maturando presso il datore di lavoro che provvederà a versarlo in un fondo costituito presso l’Inps, oppure possono conferirlo ad un fondo pensione nella misura prevista dagli accordi o contratti collettivi, o in mancanza di questi in misura non inferiore al 50%. Nel caso in cui tale lavoratore avesse già contribuito a forme pensionistiche complementari, la sua scelta è ancora tra il mantenimento del TFR presso il datore di lavoro o il conferimento ad un fondo, ma in questo caso il TFR maturando andrà alla forma pensionistica a cui già aderisce. Se il lavoratore non si esprime entro il 30 giugno 2007 (o entro 6 mesi dalla data di assunzione), il datore di lavoro provvederà a trasferire il TFR maturando alla forma pensionistica complementare prevista dagli accordi o contratti collettivi (o aziendali) se non aderiva già ad un fondo pensione, o viceversa al fondo pensione già prescelto dal lavoratore (forma di adesione tacita);
  2. per i lavoratori assunti dopo il 29 aprile 1993, la scelta esplicita è di nuovo tra conferimento a forma pensionistica complementare o mantenimento presso il datore di lavoro (fondo Inps). La scelta tacita prevede che il datore di lavoro trasferisca il futuro TFR alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi (salvo diverso accordo aziendale), e nel caso di più forme, presso quella con il maggior numero di iscritti. Qualora le due alternative descritte non fossero applicabili, il TFR verrà indirizzato presso il fondo Inps.

Oltre a questo elemento discriminante occorre tenere presente che l’età anagrafica e l’anzianità contributiva (numero di anni di contributi) del lavoratore sono variabili rilevanti nella determinazione della prestazione pensionistica di base – cioè quella erogata dall’Inps.
Il lavoratore "tipo" prescelto è un lavoratore rappresentativo dei dipendenti privati: il suo profilo salariale è la mediana dei redditi dei lavoratori maschi. I suoi salariali sono stati agganciati alla dinamica salariale aggregata pur tenendo conto delle differenze di livello salariale esistente, a tutte le età, per generazioni di lavoratori più giovani. I salari tipici di questi lavoratori variano – nell’arco della vita lavorativa – da un minimo di circa 20000 euro all’anno a un massimo di 45000 euro.
E’ utile distinguere tre casi, che sono soggetti a trattamenti diversi a causa delle riforme pensionistiche degli anni ’90: un lavoratore con almeno 18 anni di contributi nel 1995 che va in pensione con regime retributivo puro, uno con meno di 18 anni di contribuzione al tempo della riforma Dini e quindi sottoposto ad un regime misto (quello retributivo per la parte di contributi precedente il 1996 e il contributivo per quella successiva e sino alla pensione), e infine un lavoratore assunto dopo il 1995 con una pensione interamente contributiva. Le età di pensionamento sono quelle calcolate applicando tutte le principali regole del sistema pensionistico italiano fino alla riforma del 2004 (riforma Maroni).

Ipotesi di base sulle tipologie dei lavoratori

Coorte di nascita Età di ingresso nel mondo del lavoro Anni di contributi Età di pensionamento
       
1953 19 40 59
1956 21 40 61
1967 22 39 61
1976 23 38 61

L’esercizio consiste in una simulazione – basata sulle regole vigenti e sulle ipotesi discusse – che permetta un confronto tra Tfr e Fondo Pensione. Dalla simulazione si ottengono i montanti sia nel caso TFR che nel caso Fondo Pensione (FP) derivanti dalla medesima contribuzione (6.91% annuo del salario lordo). Il montante rappresenta la cifra accumulata nel tempo dal lavoratore, che si rende disponibile al momento del pensionamento (e quindi è una ricchezza), mentre la rendita rappresenta il reddito, cioè il flusso che si può ottenere periodicamente (la pensione o il vitalizio) negli anni successivi al pensionamento(1).
Nella prima colonna della successiva tabella, si legge l’ammontare di TFR maturato dal 2007 alla data di pensionamento e rivalutato seconda i criteri di legge al netto della tassazione dell’11% (tassa sulla rivalutazione del tfr applicata solo dal 1/01/2001), nelle colonne dalla seconda alla quarta il montante derivante dal trasferimento del TFR maturando dal 2007 ad un fondo chiuso (ipotesi sui rendimenti basati su valori medi COVIP, 2005), e nelle successive colonne quello derivante dal conferimento del futuro TFR ad un fondo aperto. Le altre colonne presentano il montante derivante da un investimenti in fondo chiuso o aperto con rendimenti massimi tenendo conto di commissioni – cioè costi di gestione ecc… – differenti (pari a 0.19% per fondo negoziale, 1.7% per fondo aperto).

Tabella 1. TFR e Fondo Pensione Accumulati da un lavoratore "a reddito medio" (rendimenti tassati all’11%)

Coorte

Nati nel

Età di pensionamento

TFR dal 2007 in azienda (o presso INPS)

Rendimento 2,4%

Fondo chiuso min

(rendimento 2,8%)

Fondo chiuso

(5,4%)

Fondo chiuso max

(11,7%)

Fondo Aperto

Min

(3,6%)

Fondo aperto

(6,10%)

Fondo aperto Max

(12,6%)

                 
1953 59 6.045 6.332 6770 7946 6461 6888 8116
1956 61 15.897 17.113 19.370 26.275 17.762 20.005 27.379
1967 61 46.722 53.296 68.440 131.200 57.396 73.151 143.710
1976 61 88.052 104.466 146.984 372.080 115.458 161.244 425.116

La Tabella 1 mostra che il montante derivante da un fondo chiuso (a parità di contribuzione) è sempre preferibile al TFR, particolarmente per orizzonti temporali più lunghi (coorti nate nel 1976). Questo risultato è dovuto in parte ai rendimenti ipotizzati – sulla base delle informazioni desumibili – che sono più vantaggiosi del rendimento offerto dal TFR, in parte alla caratteristica che il TFR, avendo un rendimento pari all’1.5% più il 75% del tasso d’inflazione, recupera solo parte dell’inflazione. Per i lavoratori "tipo" nati nel 1953 si osservano differenze minime nel risultato da Tfr o da FP chiuso.
E’ ovvio che nelle previsioni per il futuro occorre tenere conto dei rischi. Il rendimento del Tfr (qui ipotizzato al 2,4%), è un rendimento certo, mentre per i fondi pensione esiste il rischio di rendimento legato all’andamento dei mercati, che da un lato giustifica un rendimento medio dei FP più elevato (proprio come premio al rischio) e dall’altro espone la ricchezza finale da FP a fluttuazioni. Il risultato finale del FP dipende quindi dalla capacità del gestore di investire il patrimonio in maniera redditizia – nei limiti della legge- e di applicare la giusta regola di diversificazione. Per illustrare gli effetti del rischio di rendimento vengono presentati anche una caso Minimo e un caso Massimo – sempre basati sull’esperienza storica.
Per i fondi aperti i risultati sono di più difficile lettura, proprio perché se da un lato si possono raggiungere rendimenti elevati (vedi valori massimi), dall’altro si ha maggiore volatilità (vedi differenze tra valori massimi e minimi) e maggiori costi di gestione.
Un nota finale sui rischi impliciti nella scelta tra Tfr e FP non deve trascurare il fatto che – qualora il Tfr fosse lasciato in azienda – sarebbe soggetto ai rischi tipici fronteggiati dalle imprese (pur in presenza di un fondo di garanzia), mentre il FP è ben isolato dalle vicende dell’impresa di riferimento.

La caratteristica specifica dei fondi pensione è quella di offrire una rendita vitalizia (cioè un reddito negli anni della pensione). I fondi pensione offrono già nel loro "pacchetto" un contratto di rendita vitalizia che è molto diverso da quello che il singolo individuo può ottenere da un assicuratore per via della ripartizione dei rischi che si può operare su gruppi di lavoratori.
Per offrire un confronto più completo è utile ipotizzare che il lavoratore decida che metà del suo FP venga liquidato in capitale e metà in rendita (il minimo previsto dalle regole). La parte "soluzione capitale" è confrontabile con la metà del TFR, entrambi lordi in questo esempio. In più il lavoratore otterrà una rendita dal FP che è certamente superiore a una rendita ottenibile, per eguale premio, dall’acquisto di un vitalizio individuale. Cioè se il lavoratore decidesse di utilizzare metà del suo Tfr per l’acquisto di un vitalizio, al momento del pensionamento, sarebbe svantaggiato rispetto al contratto ottenibile dal FP.
La tabella intende mostrare come in alcuni casi (specialmente per i lavoratori più giovani) la rendita ottenibile dal FP costituisca un complemento importante della pensione pubblica. Questo è semplicemente dovuto al fatto che il FP è stato accumulato per più anni (e quindi il montante è più alto), ma anche al fatto che le pensioni pubbliche offriranno tassi di rimpiazzo più bassi (rapporto tra prima pensione e ultimo salario).
La rendita può variare molto sia per la variabilità dei rendimenti del FP (abbiamo ipotizzato i rendimenti "medi" della Tabella 1), sia per le condizioni con cui è stato stipulato il contratto tra FP e compagnia di assicurazione nell’erogazione della rendita stessa.
E’ evidente che se i lavoratori si preoccupano di proteggere il loro reddito nelle età anziane dovrebbero valutare la gamma delle opzioni che si offrono.

Tabella 2. Pensione pubblica e Rendita.
(prima rata di pensione e di una rendita annuale acquistata pagando come premio unico il 50% del montante derivante da fondo pensione chiuso)
(2)
Profili salariali "medi"

Coorte

Pensione Pubblica

annuale

Tasso di rimpiazzo: prima pensione su ultimo salario (%) Metà Montante lordo da TFR Metà Montante lordo del FP (fondo chiuso al 5,4%)

Rendita annua vitalizia da fondo chiuso

(al 2%)

Pensione più rendita Metà Montante lordo del FP (fondo aperto al 6,10%) Rendita annua Vitalizia da fondo aperto (2%) Pensione più rendita
                   
1953 13.831 78,92 3.022 3.385 201 14.032 3.444 205 14.036
1956 17.872 75,53 7.948 9.685 615 18.487 10.002 635 18.507
1967 22.304 63,18 23.361 34.220 2.173 24.477 36.575 2.322 24.627
1976 26.081 49,96 44.026 73.492 4.667 30.749 80.622 5.120 31.202

1) In dettaglio le ipotesi sui rendimenti e commissioni fondi pensione sono le seguenti. Il montante derivante dall’investimento dell’intero TFR futuro in fondo pensione negoziale: commissioni: 0.19%; rendimento: 2.8%, 5,4% e 11,7%.
2) Per poter proporre un esempio si considera una rendita vitalizia immediata, (certa per 10 anni e poi vitalizia significa che per i primi 10 anni è percepita dall’assicurato a vita e in caso di decesso dalla persona designata sino al termine del periodo di 10 anni). Il calcolo della rendita dipende fortemente dalle ipotesi sulla sopravvivenza, che qui è ipotizzata seguite le tavole di mortalità ISTAT pubblicate.

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