Il Ceta è un accordo favorevole all’Italia? I dati registrati dopo la sua entrata in vigore provvisoria dicono che il Canada è per noi un mercato in crescita, e non solo nel comparto agroalimentare. Ma per una valutazione complessiva serve più tempo.

Ceta o non Ceta?

È tornata di moda la discussione sull’accordo di libero scambio tra Unione europea e Canada, il Ceta (Comprehensive economic and trade agreement). Infatti, mesi dopo l’entrata in vigore provvisoria dell’accordo (21 settembre 2017) si è tornati a parlarne anche in Italia, dato che le forze di maggioranza minacciano di non volerne ratificare il testo.

Per uscire dai toni da stadio, è utile quindi analizzare qualche dato generale sul commercio tra Italia e Canada.

Il Canada rappresenta il quindicesimo partner commerciale extra-UE dell’Italia: nel 2017 le nostre esportazioni nel paese nordamericano hanno sfiorato il valore di 4 miliardi di euro, contro importazioni di 1,5 miliardi. Vantiamo quindi un saldo commerciale più che positivo, pari a circa 2,5 miliardi di euro.

Ma come si sono mossi questi indicatori dopo l’entrata in vigore provvisoria del Ceta? Nella figura 1 si mettono a confronto esportazioni, importazioni e saldo commerciale in due diversi periodi: in quello immediatamente successivo alla sua entrata in vigore (ottobre 2017-aprile 2018, mese per cui sono disponibili gli ultimi dati) e nello stesso periodo dei dodici mesi precedenti (ottobre 2016-aprile 2017). I dati usati sono a prezzi correnti, per cui risentono degli effetti di inflazione e cambio.

Figura 1

Le esportazioni dopo l’entrata in vigore provvisoria del Ceta sono aumentate del 3,7 per cento, le importazioni si sono ridotte del 2,2 per cento e il saldo commerciale, già positivo, è aumentato dell’8,5 per cento. Un risultato tutto sommato buono, anche se non si può essere certi che derivi esclusivamente dal Ceta. Tuttavia, c’è da dire che le esportazioni italiane sono andate bene nonostante un apprezzamento del tasso di cambio euro-dollaro canadese, che è passato da 1,47 del 21 settembre 2016 a 1,54 di oggi, toccando anche picchi di 1,61.

Numeri sull’agroalimentare

Il dibattito sul Ceta è particolarmente teso in Italia soprattutto quando si parla del settore agroalimentare, che secondo il sentire comune rischia di compromettersi per l’invasione di carni agli ormoni e grano al glifosato. E soprattutto rischierebbe di perdere competitività, a causa dell’italian sounding di cui sono vittime i prodotti italiani all’estero, che subiscono la concorrenza di alimenti meno costosi e all’apparenza simili agli originali.

Prima di passare ai dati sui singoli beni esportati, è bene guardare anche al risultato del settore agroalimentare nel suo complesso in questo ultimo periodo, sempre rispetto allo stesso lasso temporale dei dodici mesi precedenti.

Figura 2

Le esportazioni del settore agroalimentare sono aumentate del 6,2 per cento e le importazioni si sono ridotte del 18,1 per cento. Una dinamica confermata anche dai dati in chilogrammi: +3,5 di export e -25,8 di import.

Quali prodotti ci scambiamo?

I grafici 3 e 4 mostrano i primi 20 sottocapitoli di prodotti (classificati da Istat come Sh4) che l’Italia e il Canada si sono scambiati nel 2017 per valore in euro. È evidente come l’import dal Canada sia profondamente legato al mercato del petrolio (circa 294 milioni di euro nel 2017) e del frumento (più di 190 milioni di euro), che insieme corrispondono a più del 30 per cento delle importazioni totali. È utile sottolineare come l’import di petrolio abbia vissuto una forte crescita in questi anni, aumentando più del doppio rispetto al 2016, mentre l’import di frumento sia in costante calo. Infatti, sebbene il mercato del grano sia al centro delle polemiche sul Ceta, rispetto al 2015 i chili di frumento importati dal Canada sono diminuiti di più del 40 per cento, toccando il minimo record di 795 mila tonnellate nel 2017.

L’export italiano è dominato invece dalla vendita di vini. Quasi 80 mila tonnellate di vino esportate nel 2017, in crescita del 9 per cento rispetto al 2016.

Accanto alla vendita di beni agroalimentari, l’Italia ha una posizione netta positiva considerevole anche nel settore manifatturiero. Considerando la classificazione Ateco 2007, si nota, per esempio, un export di macchinari verso il Canada nel 2017 pari a 818 milioni di euro contro un import di soli 75; un export di 396 milioni in abbigliamento e prodotti in pelle contro un import di 5; un export di 286 milioni in autoveicoli contro un import di 41; un export di 157 milioni in prodotti farmaceutici contro un import di 40; un export di 151 milioni in prodotti chimici contro un import di 43; un export di 139 milioni in prodotti metallurgici contro un import di 40; e così via.

Figure 3 e 4

E i prodotti Igp?

È interessante vedere come la vendita di alcuni prodotti Igp (indicazione geografica protetta), tra i 41 riconosciuti dall’accordo, sia variata a seguito dell’applicazione provvisoria del Ceta. Come è stato già evidenziato, l’accordo riconosce solo una quota delle 291 Igp italiane, ossia quelle che hanno un maggiore bacino, effettivo o potenziale, di esportazione. Prenderemo in esame gli unici prodotti Igp che sono presenti nella lista “codice nomenclatura Nc8” dell’Istat. Poiché si tratta di un elenco di merci vendute al livello europeo, sono solo quattro i prodotti Igp presenti, ossia il parmigiano reggiano e il grana padano (in una sola categoria), il provolone, il gorgonzola e il pecorino sardo.

Dalla figura 5 emerge subito una netta differenza in volumi di vendita tra il parmigiano e il grana padano e gli altri formaggi presi in considerazione. I chili venduti in Canada nel 2017 di parmigiano e di grana sono stati infatti 3,9 milioni, contro i 48 mila di gorgonzola, gli 83 mila di provolone e i 486 mila di pecorino.

Figura 5

Come si può notare dalla tabella 1, le variazioni in percentuale tra i periodi ottobre 2017-aprile 2018 e ottobre 2016-aprile 2017 non hanno tutte lo stesso segno. Mentre il provolone e il pecorino ne hanno registrato una positiva, per il parmigiano, il grana e il gorgonzola la variazione è negativa. Al contrario di quanto scritto nell’intervista sul Corriere della sera a Cesare Baldrighi, presidente dei consorzi Dop e Igp, dove si sosteneva che l’Italia avesse venduto più forme di parmigiano e grana in Canada a seguito della firma del Ceta, le vendite sono calate del 2,2 per cento in chili e dell’1,6 per cento in euro rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Tabella 1 – Variazione di chili venduti in Canada

Segno che su questo il Ceta non funziona? Difficile dirlo, data la differenza di variazioni per gli altri prodotti Igp. Inoltre, poiché queste variazioni possono dipendere anche da fluttuazioni della domanda indipendenti dal Ceta, sarà necessario attendere altri dati per valutare a pieno gli effetti delle nuove norme sulle vendite dei prodotti italiani tutelati. Certamente, il mercato Italia-Canada è in crescita negli ultimi anni, e non solo nel comparto agroalimentare. Grazie alla capacità esportatrice dell’Italia, riusciamo infatti ad avere un surplus commerciale importante e in crescita, anche per il calo delle importazioni in alcuni mercati chiave, come quello del frumento. Per valutazioni più approfondite, bisognerà attendere altro tempo, sempre ammesso che non trovi ostacoli il processo di ratifica che l’accordo dovrà affrontare nei parlamenti degli stati membri UE nei prossimi mesi.

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