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Apprendistato “licenziato” dal Jobs act

È vero che per i neodiplomati tecnici e professionali il sistema di sgravi contributivi del Jobs act ha ampliato la quota di contratti a tempo indeterminato. Ma lo ha fatto a scapito dell’apprendistato e non di altre forme di lavoro più precario.

Diplomati al lavoro

Per i giovani italiani il passaggio dall’istruzione secondaria e universitaria al lavoro continua a essere difficile. Nell’ultimo decennio si è insistito molto sul potenziamento dell’apprendistato professionalizzante il quale, col suo percorso di formazione-lavoro e le sue prospettive di stabilità, viene comunemente ritenuto la porta privilegiata per l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Dopo il riordino nel Testo unico del 2011 (Dlgs n. 167), sono intervenuti sull’apprendistato sia il governo Monti (legge n. 92 del 2012, cosiddetta riforma Fornero) sia il governo Renzi (decreto legge n. 34 del 20 marzo 2014, cosiddetto decreto Poletti).
Nonostante le attenzioni ricevute, all’apprendistato non è stato concesso molto tempo per dimostrare la propria validità. Pochi mesi dopo l’ultimo intervento, lo stesso governo Renzi ha varato una nuova forma contrattuale, il tempo indeterminato a “tutele crescenti” (legge 183/2014, cosiddetto Jobs act), accompagnata da un significativo stanziamento di risorse per incentivarne l’adozione da parte dei datori di lavoro. Finché è durato, l’incentivo ha modificato radicalmente le convenienze relative delle aziende e dunque anche le modalità d’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani alle prime esperienze.
In un recente studio, abbiamo provato a cogliere l’effetto che i cambiamenti normativi hanno avuto sulle opportunità occupazionali dei 547.853 studenti tecnici e professionali diplomatisi negli anni scolastici 2011/12, 2012/13 e 2013/14. Abbiamo collegato le informazioni sul percorso scolastico di ogni studente contenute nell’Anagrafe dello studente del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca con quelle sui rapporti di lavoro dipendente attivati sul territorio italiano contenute nelle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
Per ogni individuo è stata ricostruita la carriera lavorativa in un periodo che copre i primi due anni post-diploma.
L’osservazione si estende dal settembre 2012, primo mese considerato per la coorte dei diplomati del 2011/12, all’agosto 2016, ultimo mese considerato per la coorte del 2013/14. Ovviamente, nei rispettivi 24 mesi post-diploma, ognuna delle tre coorti è stata interessata in modo peculiare dalle innovazioni legislative del quadriennio (figura 1).

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 Figura 1 – Periodo di osservazione delle singole coorti e interventi normativi

Cosa è successo all’apprendistato

Per capire come siano mutate le convenienze dei datori di lavoro abbiamo verificato se vi fossero discontinuità nelle tendenze di adozione delle diverse tipologie contrattuali a ridosso dell’introduzione delle nuove norme.
Nel grafico di figura 2 è rappresentata la distribuzione mensile delle diverse tipologie contrattuali attive: apprendistato, tempo indeterminato, tempo determinato. Per i diplomati di tutte le coorti l’ingresso nel mondo del lavoro è avvenuto in netta prevalenza con contratti non permanenti (tre su quattro). Col trascorrere del tempo e al crescere dell’esperienza, la quota di contratti temporanei si è ridotta e i rapporti di lavoro sono diventati più stabili e continuativi (apprendistato, tempo indeterminato). Tuttavia, la contrazione dei contratti temporanei è stata di fatto identica per le tre coorti e le riforme non sembrano aver introdotto discontinuità significative.
Diverso è il discorso per il contratto in apprendistato. Nel primo mese post-diploma solo un diplomato su dieci tra quelli del 2012 si è visto proporre un contratto di questo tipo. Ma con l’entrata a regime della riforma Fornero, la quota dei contratti in apprendistato è cresciuta e a fine periodo ha superato quella dei contratti a tempo indeterminato. Sono stati però i diplomati del 2013 ad accedere di più a contratti in apprendistato sin dal loro ingresso nel mercato del lavoro (un caso su cinque). La quota è cresciuta ulteriormente nei mesi successivi per arrestarsi solo con l’introduzione del Jobs act (16°-17° mese), quando la tendenza si è invertita a favore dei più convenienti contratti a tutele crescenti.
Il Jobs act ha cambiato sostanzialmente le prospettive per i diplomati del 2014. Se all’ingresso nel mercato del lavoro era ancora l’apprendistato professionalizzante (come novellato dal decreto Poletti) il contratto più popolare tra quelli permanenti, col Jobs act (4°-5° mese) i contratti a tempo indeterminato hanno subito un’impennata a scapito proprio dell’apprendistato, che non ha più raggiunto i livelli toccati per i diplomati del 2013.
Dunque, sembrerebbe che per i neodiplomati tecnici e professionali il sistema di sgravi contributivi del Jobs act abbia sì ampliato la quota di contratti a tempo indeterminato, ma a scapito di un’altra forma contrattuale pensata come propedeutica al lavoro permanente, quale l’apprendistato professionalizzante, piuttosto che di forme contrattuali più precarie.

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Figura 1: Distribuzione (%) dei contratti per tipologia nei 24 mesi di osservazione                                                                     (coorti distinte)

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  1. Condivido e non da oggi. I dati a disposizione evidenziano il cannibalismo contrattuale a tenaglia cui ha partecipato anche la promozione discutibile dei tirocini extracurricolari via garanzia giovani.

  2. Nicola

    Mi pare un risultato ampiamente nelle attese e registrato da tempo dagli osservatori abuituali delle dinamiche contrattuali del mercato del lavoro. Inoltre è anche un risultato da interpretare positivamente, in quanto lo spiazzamento è avvenuto a favore di una modalità contrattuale più strutturata. La vera sfida è invece quella di promuovere l’apprendistato di primo e terzo livello per facilitare la transizione scuola lavoro

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