I dati più recenti indicano che tra le piccole e medie imprese italiane la ripresa si rafforza. Non si sono ancora recuperati i livelli di redditività pre-crisi, ma la crescita vede un rilancio degli investimenti che fa ben sperare per i prossimi anni.

Torna a crescere il numero di Pmi

I dati più recenti indicano che la ripresa si sta rafforzando tra le piccole e medie imprese italiane. Non consente ancora di recuperare i livelli di redditività pre-crisi, ma è una crescita diffusa a tutti i settori e caratterizzata da un rilancio degli investimenti che fa ben sperare per i prossimi anni.

Uno dei principali effetti della lunga fase di recessione e stagnazione che ha colpito l’economia italiana è rappresentato dal netto calo del numero di Pmi (società con addetti compresi tra 10 e 250 e giro d’affari tra 2 e 50 milioni di euro) rimaste sul mercato: da 150 mila del 2007 a 136 mila del 2014 (-10 per cento della base produttiva).

Il 2015 segna l’inversione di tendenza, con il numero di Pmi che cresce del 3,1 per cento, seguito da un ulteriore rafforzamento nel 2016 (+3,6 per cento). A fine anno si tocca quota 145 mila. È una crescita robusta, cui ha contribuito sia il saldo positivo tra piccole e medie imprese nate e morte sia, soprattutto, il netto aumento di microimprese (+9,7 per cento) che hanno aumentato la propria scala dimensionale.

I dati relativi alle chiusure di imprese nel 2016 e nella prima metà del 2017 confermano i trend positivi osservati negli ultimi tre anni, con un ulteriore calo delle Pmi uscite dal mercato a seguito di una procedura concorsuale o di una liquidazione volontaria. Nel corso del 2016 hanno avviato procedure di uscita dal mercato poco meno di 6 mila imprese (-14,8 per cento sul 2015), una tendenza in accelerazione rispetto all’anno precedente (-7,6%), che si è ulteriormente rafforzata nel corso della prima metà del 2017 (-21 per cento).

Nel corso del 2016 sono nate circa 90 mila “vere” società di capitale, il bacino da cui arrivano le Pmi. Il dato, in ulteriore aumento rispetto all’anno precedente (+2,7 per cento), rappresenta un nuovo massimo, grazie soprattutto all’introduzione delle società a responsabilità limitata semplificate. Negli anni precedenti, alla crescita sono corrisposti tassi di mortalità più alti delle newco e numeri più bassi di nuove imprese in grado di radicarsi sul mercato; gli ultimi dati indicano invece che il processo sembra aver iniziato un’inversione di tendenza, con un aumento del numero di aziende che generano ricavi tra le nate del 2014.

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Figura 1

I conti economici si riprendono, ma lentamente

Il 2016 rappresenta il quarto anno consecutivo di miglioramento della situazione reddituale e patrimoniale delle piccole e medie imprese sopravvissute alla crisi. I ricavi sono aumentati a un tasso del 2,3 per cento, in leggero rallentamento rispetto al 2015 (+2,8 per cento), con le Pmi industriali a trainare la crescita. Il valore aggiunto ha invece accelerato ed è cresciuto a un tasso del 4,1 per cento. Anche le spese per il personale sono salite (+4,4 per cento), mantenendo il costo del lavoro per unità di prodotto, che misura la competitività delle Pmi, a livelli ancora superiori a quelli pre-crisi.

I margini lordi sono cresciuti a ritmi più sostenuti per le medie imprese, ma hanno rallentato tra le piccole imprese, con una crescita per il complesso delle Pmi che si è attestata al 3,6 per cento. È una crescita ancora lenta, che non consente di recuperare i livelli di redditività lordi pre-crisi: i dati indicano che le Pmi hanno perso 23 punti percentuali di Mol, con cali ancora più pronunciati per le piccole società (-30 per cento).

La politica monetaria espansiva della Banca centrale europea ha ridotto i costi del debito delle Pmi al 3,8 per cento, il livello più basso in tutto il periodo esaminato. Il calo ha contribuito al miglioramento della redditività netta delle Pmi. Il Roe, che misura il ritorno sul capitale immesso nelle aziende, è passato dal 9,2 al 10,2 per cento, con una crescita diffusa a tutti i settori e con l’industria tornata oltre i livelli del 2007.

Figura 2

La ripresa degli investimenti

Dopo una fase di forte contrazione, che aveva portato le Pmi quasi a dimezzare gli investimenti tra 2007 e 2013, è iniziata un’inversione di tendenza che ha progressivamente acquisito slancio, con un chiaro rafforzamento nel 2016.

Il tasso di investimento (investimenti materiali su immobilizzazioni materiali) è passato dal 6,2 per cento del 2015 al 7,8 per cento del 2016, con andamenti positivi in tutte le dimensioni e in tutti i settori considerati. Già prima dell’introduzione degli incentivi di Industria 4.0, il piano lanciato dal governo italiano con lo scopo di rilanciare l’industria e la produttività italiana attraverso l’innovazione, gli investimenti sono cresciuti in modo più sostenuto nei settori manifatturieri ad alta automazione, quelli che potrebbero beneficiare di più delle misure messe in campo per stimolare la crescita.

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La ripresa degli investimenti, rafforzata dagli incentivi previsti da Industria 4.0 nel corso del 2017, dovrebbe favorire un’accelerazione della crescita delle Pmi anche nel 2018 e nel 2019, quando il programma di quantitative easing sarà giunto a termine. In base ai modelli di Cerved, i ricavi e il valore aggiunto delle Pmi sono previsti in graduale accelerazione, fino a raggiungere rispettivamente il 4,2 per cento e il 5,1 per cento nel 2019. Anche la profittabilità lorda dovrebbe aumentare a ritmi più sostenuti, con un contestuale aumento del ricorso al capitale di debito.

La redditività operativa e netta delle Pmi aumenterà gradualmente, riducendo la distanza con i livelli pre-crisi: il Roe è atteso all’11 per cento nel 2019, non lontano dal 13,9 per cento del 2007.

Figura 3

Figura 4

Fonte: Rapporto Cerved Pmi 2017

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