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Banche venete? Un vero affare per gli azionisti di Intesa

Con le deroghe al codice civile, le procedure di risoluzione delle banche penalizzano “per principio” subordinati e azionisti. Così l’acquisizione delle banche venete da parte di Intesa si è conclusa con un bel regalo agli azionisti di quest’ultima.

Risoluzioni in deroga al codice civile

Nelle procedure di risoluzione sono tutelati solo i piccoli investitori vittime di vendite fraudolente di subordinati. Le ragioni di tutti gli altri sono invece calpestate con ingiusti e colossali trasferimenti di valore. Ciò avviene in procedure non trasparenti, cui non partecipa nessun rappresentante dei possessori dei titoli coinvolti. Le cessioni di attivo avvengono poi in condizioni molto favorevoli agli acquirenti.

La Costituzione tutela il lavoro come il risparmio. In sede di vendita di aziende in crisi, però, i bandi cercano di salvaguardare l’occupazione, mentre l’attenzione per le ragioni dei risparmiatori è minima o nulla. Quanto alle normative europee, richiedono sì la condivisione degli oneri da parte di obbligazionisti subordinati e azionisti, ma con un trattamento non peggiore di quello che subirebbero con una liquidazione tout-court. Invece le procedure di risoluzione prevedono deroghe alle regole statuite dal codice civile nell’indimostrato assunto che in caso di liquidazione il recupero sarebbe nullo o peggiore.

Tutto ciò si è ripetuto nella recente risoluzione delle due banche venete, cedute a Intesa alle condizioni riepilogate nella tabella 1, lasciando in pancia alle “vecchie banche venete in liquidazione” (tabella 2) crediti deteriorati per 17,6 miliardi, con recupero stimato in 9,1 miliardi, e partecipazioni, immobili e altri beni con recupero stimato in 1,5 miliardi.

Tabella 1 – I termini della cessione a Intesa

Tabella 2 – Le attività e passività (residue) delle “vecchie” banche

Ipotizzando che i costi della procedura e della gestione dei crediti deteriorati possano essere coperti con i proventi della vendita di tutto ciò che non è non performing loans (originariamente stimati dal governo in 1,5 miliardi, ma saranno meno in quanto già la vendita di Bim-Banca intermobiliare ha fruttato meno del previsto), la tabella 3 illustra come variano i soggetti beneficiari dei futuri riparti con o senza deroghe alle normali regole del codice civile. Perché nello schema di risoluzione ci sono due deroghe al codice civile per rimborsare lo stato:

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– del costo degli esuberi, posto sulle spalle di obbligazionisti subordinati e azionisti, mente in altre crisi aziendali è stato sostenuto dallo stato senza rivalsa su alcuno, e il costo che lo Stato potrà essere chiamato a sborsare a Intesa se questa attiverà le garanzie [vedasi punto d) tabella 1]

– del “supporto finanziario” concesso a Intesa per 3,5 miliardi [vedasi punto b) tabella 1]

Tabella 3 – Gli scenari di riparto con e senza deroghe al codice civile

Quanto pesa il “supporto finanziario”

Dalla tabella 3 si vede che, senza deroghe al codice civile, una volta rimborsato il finanziamento ponte col 31,2 per cento del valore nominale degli Npl, tutta l’eccedenza sarebbe andata in primo luogo ai subordinati e l’eventuale residuo al Fondo Atlante e ai vecchi azionisti. Con la sola deroga per far rientrare lo stato del costo degli esuberi (applicata solo in questa occasione) sarebbero bastati recuperi superiori al 40,7 per cento per rimborsare i subordinati e poi gli azionisti. Obiettivo di incasso non impossibile, visto che più di metà di questi Npl sono solo “inadempienze probabili”.

Con la deroga per il “supporto finanziario” concesso a Intesa, per prevedere rimborsi ai subordinati, occorrono invece recuperi irrealistici dai crediti deteriorati superiori al 60,58 per cento.

Non si discute l’opportunità dell’intervento di Intesa e la condizione che ha posto di non dover costringere i propri azionisti a un aumento oneroso di capitale (a differenza di Santander-Banco Popular). Ma così facendo, Intesa si è comprata la divisione ex-banche venete non a 1 euro, ossia accollandosi passività pari al valore delle attività ricevute, bensì con un enorme sconto di 3,5 miliardi. Quale impresa è mai riuscita a comprarsi una divisione, che in breve produrrà utili, senza sborsare un euro e anzi ricevendo un contributo altissimo? Lo stato poteva almeno pretendere azioni “speciali” di Intesa, con diritto per alcuni anni solo a una quota degli utili della divisione “ex-banche venete”, senza nessun danno o effetto diluitivo in capo agli attuali azionisti di Intesa. Al rientro con i proventi della liquidazione (e detratto un equo compenso) dall’“investimento forzato” in azioni “speciali”, lo stato avrebbe potuto trasferire le azioni agli obbligazionisti subordinati e magari anche agli azionisti delle vecchie banche. A loro danno, c’è stato invece un ingentissimo e gratuito trasferimento di valore verso gli azionisti di Intesa. Né si è tenuto in alcun conto che il Fondo Atlante, in una sorta di “prima fase” di procedura di risoluzione di fatto, ha versato 3,438 miliardi. Agli effetti della normativa del burden sharing, un azionista aveva quindi già contribuito in misura significativa.

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Si è presumibilmente voluto dimostrare alle autorità europee che gli obbligazionisti subordinati e gli azionisti, figli di un dio minore, pagheranno sempre e comunque, anche se ben oltre il lecito.

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  1. Alessandro

    Le chiedo una delucidazione: non riesco a bene interpretare la tabella 2. A seguito del finanziamento di intesa mi aspetto all’attivo un pari ammontare di disponibilità liquide, che non vedo. Se la tabella fotograsse invece la situazione “pre finanziamento” avrei attività superiori a passività, quindi non capisco l’utilità del finanziamento. Ultima domanda: e’ stato calcolato un possibile badwill del ramo ceduto? Grazie

    • marco gallea

      Come scritto le procedure di risoluzione peccano di trasparenza. Parrebbe che il finanziamento ponte copra lo sbilancio in sede di cessione delle attività buone (e la cassa non sia quindi andata alla liquidazione , motivo per cui non la vede fra le attività). A mio avviso non vi è badwill ma semmai , visto che la divisione ex venete a breve sarà in utile, un goodwill (non riconosciuto da Intesa in fase di cessione). Marco Gallea

  2. Giuseppe

    Una cosa è nutrire dubbi su come sia stato gestito il tutto. Ben altro è sostenere che recuperi superiori al 40.7% sarebbero non impossibili.
    Quanti portafogli di NPL e di inadempienze probabili ha visto negli ultimi anni? Io tanti, e le assicuro che spesso i secondi sono soltanto degli NPL che non sono stati classificati come tale perché non si voleva, in barba a qualunque norma di legge e buon senso, D’altronde se le banche quotano a frazioni del book value un motivo ci sarà!
    Purtroppo molti continuano a non capire che il collaterale di molti NPL ha valore negativo: ovviamente non so nulla della transazione in questione, ma, in generale, casi di immobili in posti sperduti, con abusi edilizi, terreni contaminati e altre amenità abbondano.
    D’altronde, se fosse così facile ed immediato ottenere i recuperi di cui lei dice, nessuna banca venderebbe mai NPL e ‘inadempienze probabili’!!

    • marco gallea

      Banco Bpm ha ceduto Npl al 38%. I pochi investitori che operano su tale mercato puntano a rendimenti annui del 15/20%. Tali operatori (nel determinare il prezzo di offerta) considerano di sostenere significativi costi di gestione e recupero ,che invece io nell’articolo ho considerato “coperti” dalle vendite di tutto quanto non è Npl (proventi inizialmente stimati dal Governo in 1,5 miliardi).Essendoci una gestione Sga (con costi appunto coperti dalla cessione di altre attività) recuperi superiori al 40,7% sono possibili(considerato anche che dei 17,6 miliardi più di metà sono solo inadempienze probabili). La vendita degli Npl da parte delle banche (dato il ristretto mercato ove sono per lo più i compratori a “fare il prezzo” ) non è frutto di scelta di pura convenienza. Sono per lo più “forzate” dalle normative a cederli.

      • Giuseppe

        Sì e no. Per quanto riguarda crediti unsecured, soprattutto consumer, negli ultimi 10 anni sono aumentati e cresciuti i compratori un po’ in tutta Europa, facendosi grande concorrenza, tanto che molte banche ormai guadagnano dalla vendita di questi NPL (gestendoli in casa recupererebbero molto meno).

        Per i secured, con dimensioni molto molto maggiori, il discorso è diverso. Non esiste un prezzo di mercato perché le transazioni sono troppo poche e troppo diverse tra di loro. Comprare un portafoglio di NPL al 20% del valore facciale può essere un bidone, e comprarne un altro al 40% può essere un affare. Come si può generalizzare? Ritiene recuperi del 40% verosimili sulla base di qualche statistica di settore, o perché ha analizzato il portafoglio? Inoltre, lei ritiene che le inadempienze improbabili siano migliori delle sofferenze. In teoria dovrebbero, ma la mia esperienza pratica mi dice che spesso non lo sono. Lei è in disaccordo con me perché ha un’esperienza diversa, perché ha analizzato il portafoglio, o perché ha un approccio principalmente teorico ed astratto?

        • marco gallea

          L’ìngresso del fondo Atlante un anno prima l’avvio della risoluzione fa ragionevolmente ritenere che i timori da Lei paventati (vere e proprie sofferenze camuffate da inadempienze solo probabili) nella fattispecie non sussistano. Occorre poi considerare che chi compra gli Npl sostiene dopo l’acquisto dei costi di gestione e di recupero ,costi che invece , nella mia analisi, ho ipotizzato “coperti” dai proventi delle vendite di tutte le attività che non sono Npl. Il focus della mia analisi non era individuare quanto verrà recuperato in futuro dagli Npl (che nessuno può oggi ragionevolmente prevedere con certezza), quanto evidenziare che si poteva (con le azioni speciali) soddisfare i desiderata di Intesa ( ossia non costringere i propri azionisti ad un aumento di capitale) lasciando al contempo qualche speranza ai possessori di subordinati (e, in caso di capienza ,eventualmente anche agli azionisti) nel caso in cui la Sga riuscirà a recuperare da tali crediti problematici. quanto Governo ed autorità di risoluzione hanno stimato si possa recuperare. Marco Gallea

          • Matteo Montedoro

            Le statistiche reali sui recuperi dei crediti problematici sono disponibili con le pubblicazioni facilmente accessibili della Banca d’Italia e confermano verosimile la percentuale del 40%.
            Le percentuali sono calcolate a livello di sistema bancario e non di singole realtà.
            Senza scendere a livello particolareggiato di singole banche, limitandosi alla generalità, spesso si trascura che le dimensioni dei portafogli e la relativa permanenza dei crediti problematici, dipendono anche da fattori esterni alle aziende di credito. Per esempio, la gravità, la durata e la complessità della crisi congiunturale, da un lato e, dall’altro lato, leggi e procedimenti giudiziari di accertamento e recupero di crediti ed escussioni di garanzia tra le peggiori non solo in Europa ma anche a livello extraeuropeo. Basta guardare le indagini “Doing Business” della banca Mondiale (dove l’Italia si classifica tra le peggiori e notevolmente dietro i sistemi giudiziari dei partner europei), ovvero i dati evidenziati da Mediobanca Securities sulle lungaggini delle procedure concorsuali (7,8 anni contro 1-2 anni di alcuni partner europei).

  3. Henri Schmit

    Mi piace lo spirito critico e controcorrente dell’articolo, ma condivido anche le perplessità di “Giuseppe”: solo metà dei NPL sono assortiti di garanzie reali, che nei casi più importanti (progetti imprenditoriali) sono spesso insufficienti, mentre bastano spesso a coprire le inadempienze dei privati. Chi ha deliberato questi crediti e chi ha permesso che numerosi NPL rimanessero per troppo tempo nascosti. I tempi dell’emersione e del recupero, doppio tallone d’Achille del sistema Italia, è un fattore facilmente sottovalutato:a quale tasso scontare gli ipotetici pagamenti futuri?

    • marco gallea

      Negli Npl c’è di tutto. Già solo ,da quando le banche che li vendono, classificano gli Npl in sottocategorie omogenee fa loro realizzare di più. Se fondi che puntano a rendimenti annui a doppia cifra comprano Npl è perché del valore in essi c’è. Il problema è saper estrarre questo valore accompagnando ove possibile la ristrutturazione delle aziende. Nel caso banche venete non dovrebbero essere venduti ma gestiti da Sga che incasserà al meglio : non vi è quindi (come invece in caso di vendita) un problema di tasso a cui scontare i pagamenti futuri. Nell’articolo evidenzio come , qualunque sarà l’incasso -che oggi nessuno può prevedere- , comunque i subordinati e gli azionisti nulla riceveranno per effetto di deroghe al codice civile (alcune corrette mentre la principale deroga per il supporto finanziario ad Intesa è a mio avviso ingiustificata). E poi , anche con l’attuale impostazione,almeno un warrant su una quota parte -anche minima- degli utili futuri della divisione banche venete a mio avviso doveva essere concesso ai subordinati. Marco Gallea

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