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Operazione stipendio sicuro

Per limitare gli effetti negativi della quarta rivoluzione industriale bisogna avviare misure attive di compensazione del reddito per chi perde il lavoro. Negli Usa l’hanno già fatto. Ma anche in Italia, si intravedono i primi passi nella giusta direzione.

La quarta rivoluzione industriale sconquassa il mercato del lavoro

In due precedenti articoli su questo sito, abbiamo discusso di come l’impiego della robotica e dell’intelligenza artificiale per svolgere funzioni umane e offrire servizi automatizzati ma personalizzati – la quarta rivoluzione industriale – rischi di dividere il mercato del lavoro tra i privilegiati dotati di un lavoro appagante e stipendi commisurati e i precari intrappolati in percorsi di carriera discontinui caratterizzati dallo svolgimento di mansioni dequalificate e bassi salari. Non a caso, fioccano le proposte per attenuare gli effetti negativi di una rivoluzione tecnologica tanto pervasiva. Ma invece di tassare l’innovazione o i robot (come proposto da Bill Gates) o di trasformarci in un mondo di persone che vivono di sussidi (come vorrebbero i sostenitori del reddito di cittadinanza), sarebbe meglio aiutare i lavoratori a rimanere tali. Da qui l’importanza di misure attive di prevenzione o compensazione del reddito come programmi di formazione permanente, prestiti a lungo termine a fini di riqualificazione professionale e programmi di assicurazione sui salari.

L’operazione “stipendio sicuro”

Le misure attive di prevenzione e compensazione dei redditi non sono idee campate per aria. La U.S. Bureau of the Census Displaced Workers Survey mostra che nel 2013-15 i lavoratori Usa spiazzati da globalizzazione e tecnologia sono stati 3,2 milioni, più del 2 per cento degli occupati americani. Dei due terzi di questi che avevano ritrovato un lavoro nel gennaio 2016 circa la metà (il 53 per cento) guadagnava più o meno lo stesso reddito di prima. Ma il rimanente 47 per cento si è trovato a guadagnare di meno.

Del resto, di quella che si potrebbe chiamare operazione “stipendio sicuro” aveva parlato anche Barack Obama nel suo discorso sullo stato dell’Unione nel gennaio 2016: “Supponiamo che un americano abituato a lavorare sodo rimanga senza lavoro. A quel punto non dovremmo garantirgli solo un’indennità di disoccupazione, ma anche riqualificarlo perché possa essere assunto da un’altra azienda. E se il nuovo impiego non gli dà lo stesso stipendio di prima, ci vorrebbe un sistema di assicurazione sui salari che gli consenta di sopravvivere decentemente”. Specie se la disoccupazione è tecnologica e riguarda lavoratori esperti, serve predisporre strumenti di compensazione di reddito che durino nel tempo più a lungo dell’indennità di disoccupazione.

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Sulla base dell’esperienza passata si possono indicare le caratteristiche generali di un tale intervento. L’integrazione di reddito finanziata con soldi pubblici dovrebbe compensare la perdita di reddito solo parzialmente e in determinate circostanze. Negli Stati Uniti l’Ataa (Alternative Trade Adjustment Assistance) per gli “older workers” prevede soglie di età, di reddito e di status di disoccupazione. Riguarda cioè lavoratori a tempo indeterminato con più di 50 anni e con redditi inferiori ai 50mila dollari che hanno perso il lavoro a causa di crisi aziendali o settoriali (con certificazione dello stato di crisi da un’agenzia statale) e lo hanno recuperato entro sei mesi. L’integrazione è la metà della differenza tra il vecchio e il nuovo stipendio, con un tetto di 10mila dollari.

I dettagli della proposta e il bilancio 2018

Si può discutere dei dettagli, ma i principi sono quelli indicati. Se l’integrazione di reddito prevista vuole essere uno strumento di assicurazione (e di rassicurazione) sociale, la sua durata dovrebbe estendersi oltre quella delle indennità di disoccupazione. Negli Stati Uniti la durata dell’Ataa estesa ai lavoratori anziani è di due anni – il periodo durante il quale avviene il grosso della formazione nel nuovo posto di lavoro. Per esigenze di bilancio pubblico si potrebbe fissare una soglia di copertura più bassa, ad esempio al 25 per cento anziché al 50 per cento della differenza tra vecchio e nuovo reddito. Il rischio è che venga meno la copertura assicurativa e quindi anche la “sicurezza” dello stipendio. Ma a un minor impegno pubblico si potrebbe affiancare uno schema privato di protezione assicurativa, fiscalmente deducibile almeno in misura parziale, a cui partecipino sia l’azienda che il lavoratore.

Il governo italiano sembra prendere sul serio queste idee. Nella legge di bilancio 2018 ci sono due articoli che destinano risorse a piani di integrazione salariale per accompagnare ristrutturazioni aziendali e la ricollocazione di lavoratori presso altre aziende. Nell’articolo 19 si stanziano fino a 100 milioni di euro annui per prorogare l’intervento straordinario di integrazione salariale nel caso di processi di riorganizzazione aziendale particolarmente complessi per gli investimenti richiesti e per le scelte di reintegro occupazionale. Nell’articolo 20 (comma 4) il lavoratore che accetta l’offerta di un contratto di lavoro con un’altra impresa viene esentato dal pagamento dell’Irpef sul Tfr, oltre al diritto a ricevere un contributo mensile pari a metà del trattamento straordinario di integrazione salariale che gli sarebbe stato altrimenti corrisposto con l’articolo 19. Per il datore di lavoro è previsto il dimezzamento dei contributi previdenziali (fino a 4.030 euro su base annua). Sono primi passi nella direzione giusta.

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13 commenti

  1. Simone

    Ogni persona ha differenti aspirazioni e soprattutto diverse capacità. Alcuni individui spiccano in abilità manuali ma di certo non eccellono in lavori intellettuali e qualificati. Come possiamo immaginare che persone che hanno da sempre svolto lavori manuali possano essere facilmente riqualificate? Di certo dovranno essere formate per attività ad alto valore, non ripetitive e non standardizzabili. Questo in quanto queste ultime saranno efficacemente svolte dalla meccanizzazione e dagli algoritmi che sostituiranno gradualmente tutti i lavori più “umili” e via via quelli più qualificati. La disoccupazione diverrà strutturale, accanto ad una piccola elite che riuscirà ad essere utile allo sviluppo economico ce ne sarà un’altra che non potrà essere inquadrata in nessuna mansione in quanto tutto sarà meccanizzato prima o dopo. Come posso immaginare che un operaio di 50 anni con un basso livello di istruzione impari tutte quelle nozioni di informatica utili ad esempio a programmare un macchinario industriale? Saremo forse tutti capaci di diventare informatici? Sicuramente nel futuro esisteranno nuovi lavori ma saranno sicuramente molto qualificati in quanto non lo fossero potrei farli svolgerli a degli algoritmi. E’ impossibile pensare che tutti i cittadini siano in grado di raggiungere livelli così elevati di preparazione, specialmente se di età avanzata

    • Ma non solo, il lavoro utile (cioè realmente necessario) è già oggi molto meno in assoluto. La riqualificazione diventerà un mezzo per creare lavoro inutile gestito dalla politica. insomma 24 mila forestali, studenti che imparano a fare fotocopie e portare il caffé ecc

  2. Non sarebbe più semplice e nello stesso tempo più equo (principio di uguaglianza art. 3 Cost) provare ad immaginare seriamente un reddito universale di base invece di complicare ancora una legislazione infame.

    • bruno puricelli

      Data la natura umana, opportunismo pigrizia e altro, dissento. All’uomo si dia pure ma a patto che rstituisca parte del suo tempo o della sua fatica. Ci sono e saranno ancora tante opportunità da impegnare almeno gli over 50 nella sicurezza per le strade, davanti alle scuole, in attività volontarie ecc.

      • Giuseppe G B Cattaneo

        Sul reddito di cittadinanza esiste molta confusione. Si dice che in Calabria vi siano 15.000 forestali, in Sicilia 20.000 e così via. Questo è di fatto un reddito di cittadinanza clientelare, ma non universale. La decontribuzione di cui parla Daveri è di fatto un reddito di cittadinanza, ma incassato dalle imprese, e non universale. Il volontariato è di fatto una evasione dei contributi previdenziali. E così via, si potrebbe continuare. Lei pensa che in questo modo si crei lavoro vero? Si aggrava solo il debito publico senza diminuire la disuguaglianza

    • francesco daveri

      Con il reddito universale di base trasformeremmo l’Italia in una nazione basata su un enorme Cassa per il Mezzogiorno. No grazie.

      • Giuseppe G B Cattaneo

        Direi che la Sua è un’idea personale. La mia idea è che sul reddito universale la sinistra si sia giocata la propria esistenza

  3. Michele

    1) I piani di integrazione salariale per accompagnare ristrutturazioni aziendali servono solo a portare a carico della collettività i costi di ristrutturazione aziendale. I benefici della ristrutturazione invece restano tutti privati. Solo un modo più sofisticato di tendere pubbliche le perdite e privati i profitti 2) I programmi di formazione ai fini di riqualificazione professionale servono solo a dare un posto di lavoro ai formatori.

    • francesco daveri

      E l’11 per cento di disoccupati non costano niente alla collettività, vero?

      • Michele

        Cosa c’entra il costo della disoccupazione con le ristrutturazioni aziendali? Se un’azienda ristruttura paghi lei incentivi sufficienti a ridurre il personale. È corretto che tutti gli oneri di ristrutturazione siano a carico dei suoi azionisti e non della collettività. Fa parte del rischio di impresa. In fondo se una società è costretta a rescindere qualunque contratto (incluso i contratti di lavoro) è dovuto ad errori gestionali ed è corretto che ne paghi delle penalità. Le previdenze a favore dei disoccupati fanno invece parte di un rapporto di mutualità tra cittadini.

  4. il problema della discoccupazione tecnologica è vecchio di 200 anni. fino ad oggi siè risolto non senza grandi mutamenti sociali e istituzionali. Il problema riamane la distribuzione dei redditi,se i profitti aumentano ed eludono le tasse ( paradisi fiscali) vengono meno le risorse per redistrubuire la ricchezza. Il reddito di cittadinanza è oneroso, la proposta di Daveri è un compromesso per diminuire i costi. La soluzione fino ad oggi e quella che dovrebbe esssere adottata è comunque un maggiore impegno dello Stato per aumentare la occupazione indirettamente con gli investimenti o direttamente in quelle attività che non sono coperte dalla iniziativa privata ma utile ( ricerca e cultura ad esempio) , il problema rimane è che lo Stato nazionale ha meno forza d iprima e quindi meno risorse da spendere al contario di quello che dovrebbe essere e al contario di quelli che sostengono lo stato minimo che evidentemnte sono i vincenti e non si preoccuapano delle ricadute sociali. Le evoluzioni tecnoliche sono inevitabili ma hanno alti costi socilali ( così è sempre stato) la soluzione è apprunto solo istituzionale.

  5. Marcomassimo

    Ma anni fa non si diceva che il “libero mercato globale” avrebbe fatto miracoli e garantito a tutti una vera occupazione? Adesso si raccolgono i cocci di certe illusioni; comunque la colpa non è tanto delle innovazioni tecnologiche; è semplicemente che il sistema monetarista e liberista attuale fa acqua da tutte le parti; ed in Italia ce ne accorgiamo più che altrove; la nuda verità è che Keynes ha sempre avuto ragione; il libero mercato è INTRINSECAMENTE e NECESSARIAMENTE incapace di garantire la piena occupazione; solo un intervento pubblico ben fatto può sopperire a questa deficienza; se a questo poi si somma il monetarismo esasperato di stampo germanico, che domina l’europa si spiegano del tutto le condizioni di asfissia economica cronica che si vedono dalle nostre parti; se non si affronta il problema alla radice, non se ne esce; e la rivoluzione tecnologica è più che altro una scusa e le soluzioni assistenziali sono solo palliativi

  6. Motta Enrico

    Di fronte alla quarta rivoluzione industriale, penso che sia giusto considerare un’altra possibilità, cioè che la robotica e l’intelligenza artificiale facciano crescere non il reddito dei lavoratori (privilegiati) che le useranno, ma il tempo libero per tutti. Per fare questo bisognerebbe ridistribuire le ore di lavoro (lavorare meno, lavorare quasi tutti), e ridistribuire il reddito, tagliando i picchi più abnormi e certe fasce di reddito immeritatamente alte.

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