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Pensioni (future) dei giovani: facciamole pagare ai padri

Molti giovani di oggi avranno una pensione bassa, a causa di carriere discontinue e redditi incerti. La soluzione potrebbe essere l’introduzione di uno sgravio fiscale per le famiglie disposte a versare i contributi per i figli inoccupati e non laureati.

Un futuro di pensioni basse

I giovani nati negli anni Ottanta e Novanta trovano una sistemazione lavorativa in età mediamente più avanzata di quelli della generazione precedente. In più, la loro carriera lavorativa sarà, verosimilmente, più traballante e l’andamento dei loro salari non avrà una progressione certa nel tempo. Ci saranno inevitabili conseguenze negative anche sul piano previdenziale. Per una parte non trascurabile di loro è probabile che, a una condizione lavorativa di precariato e di redditi bassi e discontinui, farà seguito una vita da pensionati con vitalizi proporzionati ai non abbondanti contributi versati, insufficienti a garantire un accettabile tenore di vita.

Il montante contributivo individuale dipende dall’ammontare dei versamenti periodici e dal numero di anni per i quali lo si è fatto. Tanto più tardi un giovane inizia ad avere una posizione previdenziale, tanto più tardi potrà ritirarsi dal lavoro, senza aspettare la pensione di vecchiaia; meno contributi versa e più basso sarà l’importo della pensione a cui avrà diritto.

Per migliorare le sue prospettive da pensionato occorrerebbe dargli la possibilità di anticipare l’iscrizione a una gestione previdenziale obbligatoria già prima di trovare un impiego.

Dai padri ai figli

Un giovane inoccupato che non percepisce alcun reddito non ha, ovviamente, la possibilità di versare alcun contributo previdenziale. Ma potrebbero essere forse disposti a versarlo i suoi genitori, almeno quelli con un buon reddito, se fosse data loro una “spinta gentile”. Non sarebbe una novità assoluta, ma l’estensione della possibilità offerta ai laureati inoccupati.

Un giovane laureato, non ancora iscritto ad alcuna gestione previdenziale obbligatoria, ha infatti la possibilità di versare all’Inps i contributi previdenziali relativi a un numero massimo di anni pari a quello della durata legale del corso di laurea che ha frequentato e dell’eventuale corso di specializzazione universitaria se almeno biennale.

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La somma da versare all’Inps per ogni anno da riscattare è pari al 33 per cento del reddito minimo preso a riferimento per il calcolo del contributo dovuto dagli artigiani e dai commercianti, che per il 2017 è di 15.548 euro. La spesa complessiva da sostenere per il riscatto dei cinque anni di una laurea magistrale è pertanto di 25.645 euro (15.548×0,33×5), che può essere diluita in 120 rate mensili, senza interesse. Il pagamento rateale comporta il versamento di 2.565 euro all’anno per un decennio, cioè 214 euro al mese.

Se il laureato fosse in grado di versare all’Inps questa cifra, potrebbe portarne il 19 per cento in detrazione dall’Irpef, ma essendo inoccupato privo di reddito difficilmente potrà avvalersi dello sgravio. Lo stesso beneficio fiscale è riconosciuto anche al genitore (a entrambi o a un altro familiare), di cui il laureato inoccupato è fiscalmente a carico, che versa all’Inps i contribuiti dovuti. Al netto della detrazione, il costo effettivo per la famiglia è di 173 euro ogni mese, circa 2.075 l’anno.

Le stesse condizioni di cui beneficiano i padri dei laureati inoccupati potrebbero essere applicate a quelli dei giovani inoccupati senza laurea, per iniziare a pagare le pensioni dei loro figli.

Tra costo per l’erario ed equità

L’applicazione di una simile ipotesi sarebbe di beneficio per il bilancio dell’Inps, che per ogni nuovo giovane preso in carico incasserebbe 2.565 euro per dieci anni, ma costosa per le casse statali, che accuserebbero un minor gettito Irpef di 485 euro per lo stesso numero di anni. Il costo complessivo per lo stato dipenderebbe dai criteri di selezione dei giovani e dal numero massimo di anni che sarebbe consentito “riscattare”. Potrebbero beneficiarne, per esempio, i giovani intorno ai 24-26 anni (all’incirca l’età della laurea), per un numero massimo di cinque anni di inoccupazione. A parità del numero dei beneficiari, questa soluzione sarebbe comunque meno onerosa per la finanza pubblica dell’ipotesi di una pensione di garanzia per i giovani con la fiscalizzazione dei contributi.

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Ad ogni modo, l’applicazione dello stesso regime fiscale ai contributi versati dai genitori di tutti i giovani inoccupati soddisferebbe anche un criterio di equità: perché negare alle famiglie di giovani inoccupati senza laurea uno sconto sull’Irpef di cui possono invece beneficiare quelle dei laureati, che pure hanno potuto frequentare l’università pagando tasse di iscrizione che coprono solo una quota minoritario dei costi, sostenuti con la fiscalità generale. E negare questa possibilità sarebbe ancora più stridente se dovesse andare in porto l’ipotesi del riscatto gratuito della laurea.

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13 commenti

  1. Isabella Pinucci

    La soluzione è interessante, e probabilmente molti genitori aderirebbero volentieri. Un’ulteriore possibilità potrebbe essere offrire ai giovani anche programmi pensionistici alternativi costruiti su misura per loro, flessibili e adeguati a carriere fluttuanti e internazionali. Questo servirebbe anche ad incoraggiare la loro sensibilizzazione al tema risparmio/previdenza e a ridurre un po’ la preoccupante tendenza a dipendere dalla famiglia fino a tarda età.

    • Lorenzo

      Si in effetti è interessante. L’età media della donna al primo figlio è 31 anni e l’età media per conseguire la laurea è 27 anni. La donna (i genitori?) avrà 58 anni e l’idea di spendere 4-4500 euro annui (8-9 anni per conseguire la laurea) per i successivi 10 anni? O non ho capito niente io o forse famiglie, Stato e Inps avrebbero da guadagnare a impegare gli inoccupati a scavare e riempire fosse [cit. Keynes]

  2. Marcello Romagnoli

    Perchè le dovrebbero pagare i genitori ai figli quando sarebbe molto più giusto farle pagare a chi evade le tasse o a chi le elude grazie a scappatoie legali fatte ad arte? Perchè non farlo pagare alzando le tasse sulle transazioni finanziarie che avvengono in borsa con fini speculativi? Perchè non farle pagare alle multinazionali che pagano tasse esigue approfittando della concorrenza fiscale tra i paesi e a regole fiscali a loro favore?…e potremmo fare mille altri esempi di reperimento fondi molto migliori della idea di fare pagare ai genitori le pensioni dei giovani.
    Ma come, oggi i figli vengono messi vergognosamente contro i genitori per quanto riguarda il lavoro e le pensioni. Una idea che sa di Robin Hood al contrario: tagliamo i contributi fiscali per le aziende e tassiamo i percettori di redditi da lavoro.

  3. Renato Fioretti

    L’ idea è veramente brillante!
    Direi che si tratta della geniale versione del famoso “uovo di Colombo”.
    Considerato abbastanza credibile che di questo passo, in costanza di applicazione del criterio della c.d. “aspettativa di vita”, i lavoratori italiani andranno in pensione tra i 75 e gli 80 anni e i disoccupati, di conseguenza, gli potranno subentrare non prima dei 50, si potrebbe cominciare ad applicare questo criterio chiedendo ai padri – ancora in attesa di un posto di lavoro (se, come previsto, non ancora 50 enni) – o, meglio, ai nonni – ancora al lavoro (perché, come previsto) non ancora prossimi agli 80 – di cominciare a versare i contributi a favore dei figli o nipoti.
    Naturalmente, per poter essere sicuri di effettuare versamenti sufficienti a far percepire una pensione dignitosa ai disoccupati (cinquantenni che sostituiranno i quasi ottantenni finalmente in pensione) si potrebbe pensare di cominciare con il riscattare già i 5 anni delle scuole elementari!
    Cordialità

  4. Nicolò boggian

    Sarei d’accordo se fosse un fondo con un rendimento che trasferisca ricchezza dai genitori di famiglie ad alto reddito ai figli di famiglie a basso reddito. Altrimenti non vedo perché debba esserci intermediazione da parte dello stato

  5. Savino

    La tanto bistrattata Prof.ssa Fornero, autrice dell’unica azione riformista negli ultimi 40 anni e dell’unica legge che, per il bene comune, fa risparmiare soldi allo Stato, ha parlato espressamente di soluzioni per la pacificazione nazionale e intergenerazionale, con un contributo di solidarietà da parte delle generazioni privilegiate in favore di quelle sfortunate. Ma, pensate che l’egoismo degli italiani e di quelli di una certa generazione consentirà tutto ciò? C’è solo da sperare che certi soldi tornino allo Stato da prelievi su conti dormienti visto il tesoreggiamento continuo degli italiani di una certa età, piuttosto che aiutare i giovani padri di famiglia che ne hanno bisogno.

  6. stefano

    Sgravi per fondi pensione privati con regole certe può anche avere senso, ma dare i soldi all’INPS senza sapere se, quanto e quando tornano indietro ai tuoi figli non ha veramente senso. Ad ogni governo segue una riforma del ministro di turno, la situazione futura è completamente aleatoria, io non gli darei un euro

  7. giuli 44

    Finalmente una iniziativa concreta e di buon senso. Molti genitori già ora si rivolgono a forme assicurative a contenuto pensionistico per i propri figli, quindi la fiscalità generale è intaccata dallo sgravio fiscale. Manca pertanto il beneficio alla parafiscalità INPS e, soprattutto, la garanzia, che solo INPS può dare, del buon fine dei versamenti.

  8. Giacomo

    Mi sembra un’idea molto sensata. Darebbe luogo a più equità inter-generazionale in modo volontario e non coercitivo.

  9. Carlo

    In UK genitori e nonni possono investire nella previdenza complementare dei minori, fino a £ 3600 l’anno (loro ci mettono £ 2,880 e £720 li rimborsa il fisco). Stessa soglia e vantaggio fiscale per gli adulti senza reddito. La regressività di questo vantaggio fiscale è però ogegtto di dibattito, almeno per quanto riguarda i contributi ai minori (solo le famiglie più benestanti se lo possono permettere).

  10. Antonio Carbone

    Ma il problema non sono le carriere discontinue! Tutti parlano della modernità  come di un mondo in cui nessuno farà lo stesso lavoro tutta la vita. Bene…..
    Le norme previdenziali sono, invece, ancora concepite avendo in mente il modello del “posto fisso”. Il fatto è che quasi a ogni cambio di lavoro si è costretti a cambiare cassa previdenziale! Se non esiste la possibilità di ricongiungimento dei contributi versati a diverse casse e il riconoscimento di tutti gli anni lavorati, il risultato sarà una pensione bassa anche a fronte di versamenti  contributivi elevati. Semplicemente molti contributi andranno persi (sarei tentato di dire rubati).
    Al contrario paghiamo e pagheremo ancora per molto tempo pensioni a tanti che hanno fatto un solo lavoro in vita loro e che grazie alle “belle” norme del passato potevano andare in pensione anche dopo soli 15 anni di lavoro (nel settore pubblico).
    E nessuno può azzardarsi a chiedere loro e a tanti altri pensionati con il sistema retributivo, un contributo di solidarietà, perché verrebbe accusato di ledere “diritti acquisiti”! In un paese anagraficamente vecchio è una battaglia persa in partenza.

  11. Corrado

    Io sono all’altezza di tanti “Fenomeni”, ma perchè invece di rivolgersi sempre ai genitori, non di agevolano posti di lavoro, non certamente con la decontribuzione, ma con un idea di sviluppo, magari pagando congruamente e versando i contributi ciao

  12. Valentina F

    Credo sia sempre un argomento molto attuale, per questo sto fortemente prendendo in considerazione le proposte di Amicus Invest per l’apertura di un possibile piano di risparmio per mio figlio.

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