La Corte di giustizia ha stabilito che negoziare e concludere accordi di libero scambio con paesi terzi è competenza esclusiva della Ue, con il controllo del parlamento europeo. Si rafforza l’impostazione attuale della politica commerciale comune.

La sentenza della Corte di giustizia

Nella settimana in cui i due più importanti leader europei – il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel – si sono incontrati per rilanciare il processo di integrazione europea prospettando una riforma dei trattati, un altro evento meno mediatico, ma altrettanto importante, sembra risollevare le sorti dell’Unione. Il 16 maggio è stato pubblicato il parere n. 2/2015 della Corte di giustizia sulla competenza a concludere l’accordo di libero scambio con Singapore. La decisione, che riguarda i rapporti commerciali con un piccolo stato, è destinata a influenzare la futura politica commerciale dell’Unione e forse anche i rapporti con il Regno Unito, una volta che il divorzio sarà effettivo e andranno ridisegnati i rapporti commerciali.

Tra le prerogative della Corte di giustizia rientra quella di rendere un parere preventivo vincolante sulla competenza dell’Unione a concludere un accordo internazionale o sulla sua compatibilità con i Trattati. Quando la Corte si esprime negativamente, l’accordo non può essere concluso. Una delle questioni più delicate politicamente è stabilire i casi in cui l’oggetto di un accordo rientra nelle competenze esclusive dell’Unione, e può dunque essere concluso dalla sola Ue vincolando anche gli stati membri, dai casi in cui la materia è di competenza mista e anche tutti gli stati membri devono ratificare.

Negli ultimi anni, gli accordi di libero scambio sono stati al centro di accesi scontri politici e divenuti facile bersaglio sia di coloro che propugnano politiche protezioniste, sia di coloro che sostengono un commercio globale senza regole e regolatori. Il Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership) è stata la vittima più illustre: dopo anni di negoziati il progetto di trattato è congelato in attesa che il clima politico negli Stati Uniti e in Europa ritorni più favorevole. Ma anche il più “fortunato” Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement), firmato lo scorso 30 ottobre 2016 dall’Ue e dal Canada, nonostante abbia ottenuto il parere conforme del parlamento europeo, potrà entrare in vigore solo provvisoriamente. Si tratta di un accordo misto e perché diventi definitivo è necessaria la ratifica di tutti gli stati membri dell’Unione: ciò comporta il passaggio parlamentare di 38 assemblee, alcune delle quali regionali. Come l’opposizione manifestata al Ceta da parte del parlamento della Vallonia ha reso evidente, l’assenso dei parlamenti nazionali non è per nulla scontato. Inoltre, in base alle loro norme costituzionali, quattordici stati membri potrebbero sottoporre l’approvazione a referendum popolare, con tutti i rischi che ciò comporta, come Brexit insegna.

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Da Singapore al futuro

Il recente parere reso dalla Corte sull’accordo di libero scambio con Singapore affronta la questione giuridica di come interpretare le disposizioni del Trattato che sovrintendono alla ripartizione delle competenze tra Unione europea e stati membri in materia. Lo stato di incertezza sul punto deriva dal fatto che nell’ultima riforma dei Trattati, entrata in vigore nel 2009, gli stati membri hanno inteso allargare le competenze dell’Unione sulla politica commerciale comune, includendo nuovi settori, come ad esempio gli investimenti diretti, senza però specificare se sono una competenza esclusiva o meno.

L’accordo con Singapore è uno dei primi accordi di libero scambio “di nuova generazione” e contiene, oltre alle tradizionali disposizioni riguardanti lo scambio di merci e di servizi, anche disposizioni in materie correlate al commercio, quali la protezione della proprietà intellettuale, gli investimenti, gli appalti pubblici, la concorrenza e lo sviluppo sostenibile.

La Corte nell’escludere la competenza esclusiva dell’Unione solo per gli investimenti esteri “di portafoglio” e per il regime di risoluzione delle controversie tra investitori e stati, ha stabilito l’esistenza di una vasta area di competenza esterna esclusiva dell’Unione in materia commerciale. Ciò consolida l’attuale politica commerciale comune come impostata dalla Commissione e legittima la nuova generazione di accordi di libero scambio di ampia portata. In futuro, basterà escludere le due aree individuate dalla Corte per evitare l’accordo misto e il potere di veto di parlamenti nazionali che, come nel caso della Vallonia, rappresentano meno dell’1 per cento della popolazione dell’Unione.

Nessun timore di deficit democratico: l’approvazione finale del trattato da parte del parlamento europeo, costantemente informato sui progressi dei negoziati, è già di per sé garanzia di effettivo controllo democratico. Chi meglio dell’assemblea parlamentare europea rappresentativa di tutti i cittadini europei è in grado di valutare politicamente l’accordo nell’interesse generale dell’Unione?

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