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Se neanche i parlamentari sanno bene cos’è il reddito di cittadinanza

Il fact-checking de lavoce.info passa al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca alle affermazioni di Luigi Di Maio e Michele Anzaldi sul reddito di cittadinanza.

Due versioni di un’intervista e un post su facebook

La proposta del Movimento 5 Stelle per l’introduzione di un reddito di cittadinanza sarà probabilmente uno dei temi centrali nella prossima campagna elettorale per le politiche.
Tuttavia, è ancora molta la confusione che aleggia intorno al provvedimento: non c’è trasmissione tv in cui ai parlamentari 5 Stelle non sia chiesto di spiegarne il funzionamento e le coperture necessarie per finanziarlo.

È accaduto anche a Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera (ce ne eravamo già occupati a proposito delle sue dichiarazioni sul mercato del lavoro). In un’intervista pubblicata il 10 giugno sull’edizione romana del Corriere della Sera Massimo Franco gli ha chiesto di spiegare come verrebbe distribuito il sussidio. Di Maio ha così risposto:

A beneficiarne sarebbero circa 9 milioni di italiani sotto la soglia di povertà, cioè sotto i 700 euro al mese. Sarebbe data loro un’integrazione di 380 euro in cambio di corsi di formazione e lavori di pubblica utilità. E ai 4 milioni di poveri senza reddito andrebbero 780 euro”. Secondo Di Maio, quindi, la misura verrebbe a costare “14 miliardi di euro il primo anno, più 3 per riformare i centri impiego”.

Michele Anzaldi, deputato del Partito democratico e portavoce di Matteo Renzi, ha cercato di smontare la spiegazione del vicepresidente della Camera con un post su facebook (qui sotto). Anzaldi fa i suoi conti su due versioni della proposta, quella ufficiale depositata dal Movimento 5 Stelle attraverso il disegno di legge a prima firma Nunzia Catalfo e quella illustrata da Di Maio al Corriere. Secondo il deputato Pd, le due misure divergerebbero sia sul bacino dei beneficiari che sui costi totali. Con la prima infatti solo 398.700 famiglie riceverebbero il sussidio pieno di 780 euro, mentre 2,3 milioni di famiglie avrebbero un aiuto di 380 euro al mese. Il costo totale sarebbe di circa 14 miliardi. Per la seconda versione, invece, servirebbero circa 62 miliardi, una somma “equivalente a 2-3 leggi finanziarie” ed evidentemente troppo onerosa per qualsiasi governo. In altri termini, Anzaldi accusa Di Maio di non conoscere la proposta ufficiale presentata dal M5S.

Come funziona il reddito di cittadinanza proposto dai 5 stelle

Prima di vedere se le dichiarazioni dei due parlamentari contengono errori, è importante comprendere come funzionerebbe il reddito di cittadinanza se venisse approvato dal parlamento.

Il disegno di legge M5S (n. 1148/2013) prevede – secondo le logiche del reddito minimo – un trasferimento pari alla differenza tra la soglia di povertà e il reddito familiare percepito. La misura utilizza l’indice di povertà monetaria individuato dall’Unione europea nel 2014, pari al 60 per cento del reddito mediano netto (in Italia 780 euro mensili, 9.360 all’anno, per un adulto single), ponderato per la composizione del nucleo familiare. In altre parole, vengono fissati redditi minimi per tutte le diverse composizioni familiari. Se un particolare nucleo familiare non raggiungesse quella soglia, lo stato verserebbe un contributo pari alla differenza tra i due valori (il cosiddetto poverty gap).

Il sussidio, che non costituirebbe reddito imponibile, sarebbe garantito a tutti i maggiorenni in possesso di cittadinanza italiana o di paesi dell’Unione europea, oppure a soggetti “provenienti da paesi che hanno sottoscritto convenzioni bilaterali di sicurezza sociale”, al di fuori dei giovani tra i 18 e i 25 anni che non abbiano acquisito un diploma superiore. Il trasferimento, erogato senza termine temporale, richiede alcuni obblighi da parte dei beneficiari: iscriversi e recarsi almeno due volte al mese presso un centro per l’impiego, ricercare offerte di lavoro attraverso colloqui di orientamento e corsi di formazione e non rifiutare più di tre proposte di lavoro ritenute congrue. Secondo l’audizione dell’Istat sul Ddl le famiglie beneficiarie sarebbero – sulla base dei dati 2015 – 2 milioni e 759mila (10,6 per cento delle famiglie residenti), cioè circa 8,3 milioni di persone.

Per comprendere meglio il meccanismo, riportiamo la tabella con alcuni esempi di composizione familiare e il relativo massimo importo erogabile, che però sarebbe concesso solo a quei nuclei con reddito pari a zero – una percentuale piuttosto ridotta della popolazione – mentre tutte le altre famiglie con reddito positivo riceverebbero solo la differenza necessaria per arrivare a raggiungere la soglia di povertà.

Tabella 1

Fonte: allegato 1, disegno di legge n. 1148/2013

Il fact checking

Entrambi i deputati – sia il pentastellato sia il democratico – incorrono in alcuni errori nella spiegazione della proposta. Luigi Di Maio sbaglia:

1) nella descrizione del sussidio, in particolare nella definizione della soglia di povertà (780 euro al mese per un single, e non 700),

2) nell’integrazione di 380 euro, che non trova fondamento nella proposta ufficiale del Movimento,

3) nell’affermare che sarebbero 4 milioni i residenti privi di ogni forma di reddito (qui probabilmente Di Maio si riferisce ai 4,6 milioni di cittadini in povertà assoluta, tra i quali tuttavia la maggior parte riceve un reddito e perciò avrebbe diritto a un’integrazione e non al trasferimento pieno di 780 euro).

L’intervista al Corriere è stata modificata alcune ore dopo, sebbene la versione su roma.corriere.it sia rimasta quella originale. Anche nella seconda versione, tuttavia, Di Maio ripete il terzo errore, ovvero che in Italia vi sarebbero 4 milioni di residenti senza alcun reddito.

Saranno quindi due le dichiarazioni di Di Maio che prenderemo in considerazione per il fact-checking. La prima si riferisce all’intervista pubblicata sulla pagina romana del Corriere, nella quale il vice-presidente della Camera inciampa in tutti e tre gli errori; la seconda si riferisce alla versione modificata e diffusa solo sulla pagina nazionale, nella quale Di Maio commette solo l’errore numero 3.

D’altra parte, cercando di correggere Di Maio, anche Anzaldi commette i suoi stessi errori. Presuppone infatti che le famiglie in povertà assoluta non percepiscano alcuna forma di reddito e dichiara che il sussidio per le restanti 2,3 milioni di famiglie sarebbe pari a 380 euro al mese, anche se “modulato in base al reddito”. Anche qui il riferimento ai 380 euro risulta incomprensibile in quanto, secondo i documenti in nostro possesso, non è ricavabile da nessuna cifra contenuta nel disegno di legge. Non vi è infatti alcun sussidio pari a 380 euro destinato a circa 9 milioni di italiani, come ha affermato Di Maio, né vi è ragione per assumere che il beneficio medio sia pari a 380 euro, come scrive Anzaldi. Un sussidio di questo tipo potrebbe essere ricevuto da un adulto single con un reddito pari a 400 euro al mese (380 euro gli permetterebbero di arrivare ai 780), ma è solamente un esempio e non rappresenta la proposta nella sua generalità.

Quanto al costo pubblico della misura, per Di Maio la spesa sarebbe di 14 miliardi di euro, a cui ne andrebbero aggiunti 3 per finanziare i centri per l’impiego. Per Anzaldi il costo sarebbe lo stesso, sebbene il suo ragionamento sia frutto di un calcolo non corretto. Secondo il disegno di legge, invece, gli oneri per lo stato ammonterebbero a 16 miliardi, che il Movimento 5 Stelle vorrebbe finanziare con le coperture aggiornate alcune settimane fa. Secondo Istat la spesa pubblica necessaria sarebbe stata nel 2015 di 14,9 miliardi, mentre per l’Inps è di 30 miliardi (audizione del presidente Boeri alla commissione Lavoro del Senato). Il divario tra le due stime potrebbe essere in parte dovuto al fatto che Istat include nel reddito familiare la rendita catastale figurativa per i proprietari dell’abitazione di residenza, a differenza di quanto fa Eurostat per calcolare l’indice di povertà monetaria, come ipotizzato da Massimo Baldini e Cristiano Gori in una recente pubblicazione.

Grande è dunque la confusione sotto il cielo sul reddito di cittadinanza, talvolta per responsabilità degli stessi parlamentari. Per ridurla, si potrebbe cominciare con il chiamare le cose con il loro nome. M5S propone l’introduzione di un reddito minimo, non di un reddito di cittadinanza. Nel caso di un single, per esempio, il sussidio potenziale sarebbe di 780 euro. Chi già dispone di un reddito di almeno 780 euro, per quanto “cittadino”, non avrebbe diritto ad alcun trasferimento. Chi guadagna una cifra tra 0 e 780 euro avrebbe diritto a un’integrazione parziale che lo porti a raggiungere i 780 euro. Solamente chi guadagna zero avrebbe diritto a tutti i 780 euro. Se le parole hanno un senso, con reddito di cittadinanza si intende invece una misura universale distribuita ai cittadini di una comunità nella stessa quantità indipendentemente dal reddito percepito.

Dunque, i giudizi: la prima versione della dichiarazione di Luigi Di Maio è FALSA, mentre la seconda ottiene un QUASI VERO. Difficile capire a quale delle due si debba dare credito.
Il post su facebook di Michele Anzaldi è invece PARZIALMENTE FALSO. La differenza di questo giudizio rispetto a quello di Di Maio sta nel fatto che il deputato Pd non compie l’errore numero 1 – individua quindi correttamente la soglia di povertà a 780 euro – e che nel compiere l’errore numero 2 –l’integrazione di 380 euro- riconosce che sarebbe un trasferimento modulato in base al reddito. Questi due elementi rendono la falsità della sua dichiarazione meno grave di quella di Di Maio.

Ecco come facciamo il fact-checking

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  1. credo che la confusione lessicale legata al nome della proposta di legge (reddito di cittadinanza) sia più che altro legata a quanto descritto all’art.4 comma 1 del ddl.
    Le perplessità e tutti i dubbi del caso legati al rdc sono semmai altre. Come per esempio le leve su cui agire per avere le coperture necessarie.
    Inoltre si parla anche di “proposte di lavoro ritenute congrue”, una leva anche piuttosto forte con cui evitare offerte ritenute, appunto, congrue.

    Si ammetta per esempio una persona che beneficia del pieno rdc (780 euro). Si ammetta ancora che a tale persona venga offerto un lavoro che, però, si trova in un’altra città, provincia o regione. Si ammetta ancora che la somma di tutte le spese necessarie per un eventuale trasferimento (affitto eccetera) o pendolarismo incidano sulla paga quel tanto che, al netto, sia comunque minore del rdc.

    Considerato che il beneficiario andrà a intascare mensilmente una cifra minore del rdc si tratta effettivamente di una proposta di lavoro congrua che il cittadino può rifiutare (e già mi immagino i ricorsi ai vari tar)?

    Insomma, occorrerebbe maggiore chiarezza e lucidità quando vengono spiattellati dati (e denari) acchiappavoti (specie quelli delle fasce più giovani). Senza parlare poi di quando se ne escono con la tiritera (anche quella falsa) de “[…] Italia e Grecia sono gli unici paesi UE a non averla […]”.
    Ecco, un po’ di chiarezza anche qui non farebbe male

    • Bud

      Chiariamo: 1) i 5 Stelle sono dei dilettanti allo sbaraglio. 2) Il Pd e i suoi esponenti, come sempre, sono in torto. Loro NON vogliono nessun sussidio universale alla europea. Vogliono il massimo precariato per tutti, in economia sono assolutamente ultra-liberisti. E siccome non lo vogliono, denigrano gli avversari. Detto questo -che dovrebbe far capire che io non ho nessuna simpatia nè per i 5S nè per il PD, quindi non sono di parte- la proposta dei 5 Stelle è nè più nè meno di un sussidio familiare: milioni di persone, da quelli costretti a stare coi genitori (che però probabilmente superano la soglia) resteranno fuori, e quindi continueranno nella loro poco invidiabile situazione (a meno che, ovviamente, trovino un lavoro. Difficilissimo). Non è nè di cittadinanza nè minimo, in quanto non su base individuale (quindi NON E’ universale). Milioni di persone resterebbero fuori, e qui in effetti i dilettanti del 5 Stelle dovrebbero chiarire, perché questi milioni voteranno sicuramente per loro, in quanto vedono in loro una speranza. Ma non sarà così-ovviamente a meno che cambino il loro DDL. Per quel che riguarda quel che dice, mi spiace contraddirla ma è la verità: Italia e Grecia non hanno nessun sussidio universale(dato cioè a tutti i disoccupati, e non solo a una parte di loro), unici casi in Europa. Consiglio a riguardo il libro di Giovanni Perazzoli -CONTRO LA MISERIA.
      Saluti

  2. Massimo Romagnoli

    Nella grande confusione non avete evidenziato che i conti di Anzaldi sono gonfiati dal fatto che considera, il reddito di 780 o l’integrazione (media?) di 380, come un contributo da dare a tutti i cittadini (quindi una famiglia di 6 persone senza alcun reddito riceverebbe 4680 €/mese esentasse). D’altra parte se le 780 sono per nucleo famigliare risulta evidente la sproporzione di intervento tra un single e la famiglia numerosa.

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