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27 sfumature d’Europa

La crisi dell’euro ha portato alla luce una profonda differenza nelle visioni economiche di Nord e Sud dell’Europa. Ne spiega le origini il libro “La battaglia delle idee. Alle radici della crisi (e del futuro) dell’Euro”. Pubblichiamo qui un estratto.

Il compromesso di Deauville

Il 18 ottobre 2010 la cancelliera tedesca Angela Merkel raggiunse il presidente francese Nicolas Sarkozy in Normandia, nella cittadina di Deauville, per discutere della crisi europea. E arrivò il colpo di scena, il compromesso: la Germania avrebbe ammorbidito il suo richiamo alle regole e fatto concessioni alla Francia, purché quest’ultima avesse accettato il principio di una “adeguata partecipazione dei creditori privati” di fronte a un’insolvenza. La posizione della cancelliera – forte di larghi consensi nel proprio paese – era che l’espansione dissennata del credito fosse colpa delle banche e che dunque dovessero essere le banche a farne le spese. Bisognava farla finita con la logica dei salvataggi seguita alla crisi finanziaria globale del settembre 2008.

Il risultato dell’incontro spiazzò gli altri leader. Il presidente della Bce Jean-Claude Trichet definì subito quell’accordo un errore colossale. Il segretario al Tesoro Usa Tim Geithner avvertì – infuriato – i governanti europei: “se avete intenzione di ristrutturare il debito greco, dovete avere la capacità di proteggere o garantire davvero il resto d’Europa dal contagio che ne verrà”. I mercati ebbero la stessa reazione. Poco dopo Deauville, i tassi d’interesse sui titoli di stato dei paesi periferici salirono alle stelle.

L’episodio di Deauville evidenziò innanzitutto che Germania e Francia avevano visioni diverse su quale fosse la politica economica più opportuna per trovare una soluzione alla crisi finanziaria europea. La crisi dell’euro ha prodotto una guerra di idee e uno smottamento del potere europeo. I problemi fiscali di una delle economie più piccole d’Europa, la Grecia, hanno portato alla luce del sole, dalla fine del 2009, uno scontro che covava da tempo sulla filosofia economica e sul progetto futuro dell’Unione europea: uno scontro tra le teorie dei paesi del Nord Europa – soprattutto tedesche – e quelle attribuite all’Europa meridionale –soprattutto francesi. Il dibattito non coinvolge solo francesi e tedeschi: i finlandesi, gli austriaci e, a volte, gli slovacchi e i polacchi sembrano più tedeschi dei tedeschi, mentre la Francia viene spesso considerata il paladino di un’Europa mediterranea. Lo scontro ha inciso anche sul dibattito che ha condotto al voto britannico a favore della Brexit. Eppure questo conflitto di solito viene considerato una guerra d’idee che si combatte sulle due sponde del Reno. Anche l’Italia è divisa: tra un Nord che intellettualmente ed economicamente somiglia alla Germania e un Sud che simpatizza per le teorie di stile francese.

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Le posizioni francese e tedesca andrebbero viste come idealtipi, nel senso dato a questo termine dal sociologo Max Weber: come strumento cioè per ragionare sulla base di caratterizzazioni fortemente differenziate al fine di migliorare la comprensione di problemi, dibattiti e istituzioni. Weber (e dopo di lui qualsiasi studioso preparato) sapeva bene che la realtà è caotica, ma pensava che una maggior chiarezza concettuale fosse utile per cogliere alla radice le peculiarità sociali.

Le radici dello scontro di idee

Questo scontro d’idee è il tema centrale del libro. Il nostro principale obiettivo è illustrare le radici storiche, intellettuali e culturali di lungo periodo delle filosofie economiche contrastanti della Germania e della Francia. A volte si pensa che ciascun paese si batta semplicemente per tutelare i propri interessi materiali, ma una prospettiva tanto angusta trascura un aspetto importante: gli interessi vengono interpretati con le lenti delle idee e delle visioni del mondo. Alcuni paesi hanno maturato le proprie tradizioni e scuole economiche. Le differenze di percorso storico hanno portato diversi paesi europei a seguire diverse filosofie economiche e a ricavarne diverse indicazioni politiche su come affrontare le crisi. Queste differenze sono sempre state date per scontate, mascherandole senza mai analizzarle a fondo.

Il processo d’integrazione europea – probabilmente una delle iniziative di pace più efficaci della storia – ha sempre avuto la tendenza a leggere le crisi con ottimismo panglossiano. Ma le differenze tra paesi sono così radicate nella mentalità dei policy maker nazionali che il risultato è spesso l’incapacità di comprendersi. A volte le stesse parole indicano cose diverse: per la Germania, per esempio, “governo dell’economia” significa convergere su una cultura condivisa di stabilità, mentre per la Francia vuol dire prendere iniziative comuni per orientare lo sviluppo dell’economia. E mentre i tedeschi hanno concepito l’euro come una versione perfezionata dei vecchi accordi europei di cambio costruiti attorno alla forza del marco, la Francia lo ha considerato una nuova valuta globale e un passaggio segreto per arrivare a politiche di stimolo keynesiano più efficaci.

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Alla fine, possiamo chiederci se esista una visione in grado di abbattere il mondo in bianco e nero delle contrapposizioni, spingendo l’Europa a convivere se non con cinquanta, almeno con ventotto, o ventisette, sfumature di grigio. Concepire l’offerta di stabilità monetaria e fiscale (beni pubblici) come una polizza assicurativa potrebbe essere un modo per coniugare la domanda di solidarietà di una comunità politica con responsabilità pan-europee con l’approccio basato sulle regole.

Fino a che punto una società debba assumersi i rischi di eventi estremi è una questione politica che dipende in gran parte dalla filosofia economica di fondo di un paese. Una delle tesi principali del libro è che l’Europa finora ha eluso la risposta a questa domanda. È chiaro che i paesi membri non sono affatto d’accordo sulla risposta da dare. I paesi legati alla tradizione tedesca sono estremamente attenti ai problemi derivanti dal rischio di comportamenti opportunistici. Quelli in cui prevale l’approccio francese chiedono più assicurazione e un intervento più dinamico nei periodi di crisi. A sua volta, l’interventismo anti-crisi diventa un’ulteriore motivo di conflitto. Per i paesi legati alla tradizione francese, le misure di emergenza fanno parte della normale strumentazione anti-crisi, mentre per la filosofia tedesca ogni intervento crea un precedente, e perciò introduce nell’Eurozona un nuovo contesto di regole permanenti.

 

Markus K. Brunnermeier, Harold James e Jean-Pierre Landau, La battaglia delle idee. Alle radici della crisi (e del futuro) dell’euro, Milano, Università Bocconi Editore, 2017.

Il libro sarà presentato al Festival dell’Economia di Trento sabato 3 giugno, alle ore 16, presso la facoltà di Giurisprudenza. Markus Brunnermeier e Harold James ne discuteranno con Franco Debenedetti e Francesco Giavazzi.

Markus Brunnermeier parteciperà anche al convegno per i 15 anni de lavoce.info di lunedì 5 giugno all’Università Bocconi (via Roentgen, 1) ore 9.30.

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  1. bob

    tra un Nord che intellettualmente ed economicamente somiglia alla Germania e un Sud che simpatizza per le teorie di stile francese.
    Il Festival dei luoghi comuni tanto al kg. Ma per favore!

  2. Henri Schmit

    La mia è solo un’opinione, non un argomento teorico. Trovo esagerato parlare di culture contrapposte. Prendiamo la GB, patria di Keynes e delle politiche d’intervento pubblico, ma anche patria d’adozione di Hayek e del neo-liberismo. Il conflitto non è fra archetipi weberiani, fra culture germanica e latina, fra Nord e Sud; ma fra efficienza e dissolutezza, fra lungimiranza e breve termine, fra politiche di riforma strutturale in equilibrio, di risparmio o di maggiore efficienza nel tempo, e politiche di impatto immediato attraverso nuova spesa. In democrazia chi è in difficoltà perché senza risultati tende a difendere politiche di intervento e di spesa, perché per ragioni di consenso deve garantire nell’immediato un certo livello di prestazioni sociali spesso clientelari. Governi inadempienti si trovano in un circolo vizioso; quelli virtuosi erigono il loro monito in dogma. Lo studio degli autori potrebbe essere un utile appello per frenare un nuovo volontarismo francese: un elemento di rischio del programma di Macron per il suo paese e per l’UE è che da un lato promuove politiche strutturali di lungo termine e dall’altro delle politiche d’intervento a impatto immediato che legherebbero il proprio nome alla storia dell’UE. Meglio per tutti se prevale l’approccio hayekiano, cioè l’obbligo di ciascuno, prima di promuovere nuovi costosi progetti comuni, di sistemare le cose a casa sua, piuttosto che nascondere i problemi strutturali sotto nuovo debito, nazionale o comune.

    • bob

      Lei con 4 righe ha illustrato in maniera efficiente la realtà a differenza dell’articolo. Ma mi insegna che non c’è cosa più semplice, redditizia e immediata dei Luoghi Comuni. Spesso proprio quando non si hanno “progetti lungimiranti” buttarla in ” caciara” (Nord -Sud- Germanico- Latino) è la cosa più semplice

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