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Così l’Europa può uscire dalla “trappola di Hayek”

L’adozione di un mercato comune tra stati nazionali incapaci di costruire istituzioni politiche efficaci conduce a uno stallo della politica: è questa la trappola di Hayek. Ma c’è una soluzione alternativa al ritorno al protezionismo e al sovranismo.

Le sei premesse di Hayek

Nel suo breve saggio La trappola di Hayek e il destino dell’Europa (Morcelliana), in libreria in questi giorni, il filosofo belga Philippe Van Parijs si interroga sul futuro dell’Unione europea. Lo fa a partire da uno scambio di lettere con John Rawls e di una lettura originale di un noto scritto di Friedrich von Hayek (si veda qui e qui). Paradossalmente, il leader intellettuale del liberalismo politico mette in guardia rispetto all’idea di un’unione federale, mentre Hayek, padre del neoliberalismo e strenuo avversario di ogni potere politico accentrato, ne difende l’opportunità e l’utilità.

Per spiegare l’apparente paradosso è utile esplicitare la struttura logica del ragionamento di Hayek. L’argomento, semplice e rigoroso, si basa su alcune premesse che Hayek considera descrizioni fattuali:

  1. l’intervento politico nell’economia è dannoso;
  2. l’intervento politico nell’economia è politicamente possibile solo in comunità sufficientemente omogenee;
  3. gli stati nazionali, formatisi nel corso della storia, sono comunità sufficientemente omogenee;
  4. un mercato comune, favorendo mobilità dei capitali e concorrenza tra stati, limita le possibilità economiche di intervento da parte degli stati nazionali;
  5. un mercato comune richiede una base istituzionale e giuridica comune, cioè una qualche forma di federazione;
  6. una federazione tra stati con storie, lingue e tradizioni diverse non è una comunità sufficientemente omogenea.

Da queste premesse Hayek deduce che ogni vero liberale, desideroso di ridurre il ruolo della politica nell’economia, dovrebbe favorire la nascita di un mercato comune europeo, accettando il necessario corollario di una federazione minima senza dover temere la riproposizione a livello sovranazionale di forme di interventismo eccessive.

Due letture contrapposte e una terza via

Come osserva Van Parijs, il ragionamento di Hayek ha sicuramente influenzato in modo significativo le scelte europeiste di Margaret Thatcher. Oggi, dopo Brexit e di fronte alla situazione di stallo in cui si trovano le istituzioni europee, esistono due usi contrapposti dell’analisi di Hayek.

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Da un lato, si sostiene che il progetto di federazione minima è ancora attuale e che la situazione di crisi in cui ci troviamo è frutto di un eccesso di accentramento e di burocrazia, da imputare alla tradizione costruttivista francese. Così si spiegherebbe il fallimento dell’utopia che, attraverso la limitazione delle possibilità di intervento degli stati nazionali, effettivamente realizzatesi, avrebbe dovuto portare a mercati più efficienti e dunque a un maggior benessere per tutti.

Una lettura alternativa parte invece proprio dalla constatazione che le previsioni di Hayek si sono tutte realizzate: indebolimento della capacità politica degli stati, aumento di efficienza dei mercati, limitata capacità decisionale delle istituzioni sovranazionali europee (di cui l’eccesso di norme e regolamenti non è che un sintomo). Che cosa dunque non ha funzionato nell’utopia hayekiana? Se le premesse elencate sopra, dalla 2 alla 6, risultano confermate, non resta che ipotizzare la falsità della prima premessa, la più ideologica.

In effetti, se ad 1 sostituiamo 1’: “l’intervento politico nell’economia è utile e necessario”, l’utopia si trasforma in distopia: la trappola di Hayek, appunto. L’adozione di un mercato comune tra Stati nazionali incapaci di costruire istituzioni politiche efficaci conduce a un’impasse della politica. Impossibilitata a dare risposte a livello nazionale a causa delle forze della mobilità e della concorrenza, e a livello sovranazionale, a causa delle insuperabili disomogeneità storiche e culturali, la politica non può che ridursi, agli occhi dei cittadini, a un rituale decadente e lontano. Secondo questa lettura, la crescita del populismo e il ritorno dei nazionalismi non sono in contraddizione con l’analisi di Hayek, ne rappresentano anzi l’esito inevitabile, e l’unica possibilità di sfuggire alla trappola è il ritorno al protezionismo e al sovranismo, per ridare spazi di manovra agli stati nazionali.

Anche volendo prescindere dall’irrealizzabilità pratica di una tale opzione, è davvero questa l’unica alternativa? La lucida modalità argomentativa di Hayek offre la possibilità di esaminare uno per uno gli elementi del suo ragionamento. Le premesse 2, 3, 4 ed 5 appaiono difficilmente contestabili. Resta però da esaminare la premessa 6, alla base della quale c’è una ben precisa interpretazione del processo democratico: le comunità sufficientemente omogenee sono solo quelle nate dalla formazione degli Stati nazione. Van Parijs, andando oltre Hayek, ma anche oltre Rawls, difende un terzo possibile uso dello stesso impianto logico: data la falsità della premessa 1, resa evidente dalla crescita del malessere e dei populismi malgrado tutte le altre premesse risultino verificate, un futuro comune di stabilità e benessere è possibile se si agisce per superare la premessa 6: la costruzione progressiva, possibile e carica di senso ideale, di un’opinione pubblica europea in grado di argomentare, discutere e legittimare l’azione politica. L’unica realistica via d’uscita dalla trappola di Hayek (ed è la stessa indicata anche da Thomas Piketty e coautori in Democratizzare l’Europa!).

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  1. Virginio Zaffaroni

    La dinamica profonda del progetto europeo ricorda il modo di dire del “bastone e la carota”. Il bastone che spinge alle spalle è un passato di “guerre civili europee” di cui non si vuole il ritorno, la carota è una saggezza (convenzionale, ma a mio parere anche vera) che afferma la convenienza socio-eco-politica di di un’Europa coesa in un mondo di giganti.Stiamo lungo un filo teso tra un passato di orrori e un futuro conveniente. Se questa è la verità, superare la “premessa 6” è la vera via d’uscita. Essa forse andrebbe rivista laddove parla di storie, lingue e tradizioni diverse. In Europa questi tre aspetti sono diversi, ma non grandemente diversi. Esiste un fondo comune di cultura, pensiero, valori e costumi valido per tutta Europa che Storia, Sociologia e Politica continuano a trascurare e quindi manca una sua “restituzione” unitaria al cittadino europeo. A 15 chilometri da dove abito inizia un paese, la Svizzera, diverso per lingua, religione e costumi, la cui storia dovremmo approfondire e da cui qualcosa dovremmo imparare.

    • Virginio Zaffaroni

      errata corrige: “..la Svizzera, diverso al proprio interno per lingua, religione e costumi…”

  2. Henri Schmit

    Tentativo stimolante di elevare il dibattito a un livello superiore. Ma non convince la dimostrazione di Van Parijs contro Hayek. La tattica è quella solita: prima si costruisce il bersaglio poi lo si abbatte. Il problema è che si abbatte solo un fantasma. Hayek è un utile moralista (“Non intervenire troppo perché crea più danni che benefici” = precetto prudenziale) e il suo modello per lo sviluppo dell’Europa rimane interessante. Ma Hayek è anche un mediocre filosofo; non risponde in modo soddisfacente alla questione del rapporto fra mercato (contratti, interessi, forze) e potere pubblico (“intervenire”), o della natura stessa di quest’ultimo. E se il mercato e il contratto supponessero già un potere comune? Già oggi il problema è proprio il potere coercitivo dell’UE. C’è poi un equivoco sul significato delle proposizioni: sono descrizioni fattuali della realtà, leggi economiche, o assiomi ideologici, precetti prudenziali? Alla fine la conclusione di Van Parijs è banale, non è una dimostrazione, ma una petizione di principio. Che cosa vuol dire omogeneizzare l’opinione pubblica e le procedure deliberative legittimanti? Replicare il modello constituzionale democratico nazionale a livello UE? Se tanti stati nazionali non sono in grado di farlo in modo soddisfacente a casa loro? Il paese di Van Parijs (NON omogeneo, dopo 187 anni) è un pessimo esempio. Anche l’Italia pretende dall’UE quello che non è capace di realizzare nel contesto nazionale. Dov’è il modello?

  3. Marcomassimo

    Innanzitutto che l’intervento dello Stato in politica sia sempre dannoso è un falso storico e scientifico; basti ricordare Roosevelt e financo Hitler che non capiva nulla di economia ma che nel giro di poco raddrizzò la crisi tedesca degli anni 30 con le commesse dello Stato; la verità è che il libero mercato di Hajek ha la comprovata tendenza ad auto-piantarsi in determinati momenti storici tra cui casualmente il presente; secondariamente un mercato libero con moneta unica tra stati disomogenei ma senza i ritrasferimenti equilibratori dello Stato come il presente europeo, non può reggersi alla lunga perchè i territori forti diventano sempre più forti ed i deboli sempre più deboli; ne consegue una de-convergenza progressiva che alla fine disintegra il sistema; morale della favola: qualcuno dica ad Hajek, eventualmente tramite comunicazione medianica, di ridarci lo Stato

  4. Prima di tutto nel campo dell’economia e della politica pensare che esistano leggi universalmente valide è abbastanza inutile se non stupido, delle 6 premesse di Hayek la prima è palesemente falsa e non credo che ci sia da dimostrarlo, la 2 ,3,4 e 6 possono aver un valore di massima ( tendenziale) ma ci sono parecchie eccezioni, la 5 mi sembra quella che abbia maggiore rilevanza se riferita alla moneta, attesa la quasi validità delle altre come si poteva pensare di fare una moneta unica senza aver costrutio un insieme di norme istituzionali atte a farla funzionare? Gli stessiStati Uniti hanno impiegato 160 anni per costruire una unione con moltissimi cambiamenti anche in tempi recenti,e comunque sono partiti da una unione politica.

  5. Henri Schmit

    Gli Americani hanno messo una ventina di anni per rendere i debiti degli stati in qualche modo solidali e altri sessanta più una sanguinosa guerra civile per sciogliere l’equivoco iniziale su dove stava la sovranità.

  6. Luca Bianchi

    La libertà dei capitalisti non necessariamente corrisponde alla libertà tout court. Anzi, sotto sotto si vorrebbe un bel regime autoritario che imponesse la stessa cultura sia in economia che dal punto di vista dell’egemonia culturale, magari imposta proprio dai padroni del capitale. Questo perché è certo meno costoso produrre per masse uniformi. E’ invece la diversità culturale, il potere condiviso e suddiviso, l’equa redistribuzione delle risorse a dare la vera libertà…un concetto forse da affrontare alla luce dei nuovi paradigmi economici finanziari anche dalla parte dei più deboli che non vogliono elemosine. Indigeribile.

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