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Se la crescita al Sud dura solo un anno

L’indicatore di attività economica indica che nel 2015 il Sud è cresciuto più delle altre macro aree. Ma è una crescita “reale”, che ingloba segnali di cambiamento strutturale? I dati per il 2016 dicono che la strada per uno sviluppo stabile è ancora lunga.

Dati dell’indicatore di attività economica

L’indicatore di attività economica (elaborato da RegiosS) indica, per il 2015, un maggiore incremento nell’area del Sud rispetto alle altre macro aree: circa +1 per cento contro lo 0,8 per cento del Nord-Ovest, 0,7 per cento del Nord-Est e lo 0,4 per cento del Centro.

È un risultato positivo per il Sud, riportato anche da altre fonti (Svimez, Istat), ma che non sembra stabilizzarsi e confermarsi nel 2016 (figura 1). La stima dell’indicatore è, infatti, influenzata dalle rilevanti revisioni attuate dall’Istat sui dati regionali, pubblicati in due diverse occasioni nell’arco di un anno (l’ultima il 12 dicembre 2016, Istat, Conti economici territoriali). Il peso delle revisioni è evidenziato nei diversi andamenti delle stime (figura 1, linee blu, rossa e verde).

La crescita del Sud dunque sembra essere dovuta, almeno in parte, alla revisione “verso l’alto” dei tassi di crescita di alcune delle sue più importanti regioni. Siamo, quindi, di fronte a una crescita “reale” o a un risultato che deriva dalla revisione dei dati di contabilità nazionale? Ci sono segnali di cambiamenti strutturali per il Sud o il 2016 risulterà di nuovo in linea con la precedente tendenza?

La crescita nel 2015 e le previsioni per il 2016

Il Rapporto Svimez 2016 mette in luce come il Sud sia cresciuto nel 2015 più del Nord e del Centro. Tuttavia, rileva anche che l’andamento positivo non è dovuto a cause strutturali, ma solo contingenti. Le ragioni della crescita del Sud sarebbero da imputare a un’annata agraria particolarmente favorevole e a un aumento del valore aggiunto nel settore turistico. A cui si aggiunge la chiusura, nel 2015, della programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali, che ha portato a una notevole accelerazione della spesa pubblica, per evitare lo spettro del disimpegno automatico.

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Se le cause della crescita nel 2015 sono facilmente identificabili, Svimez sottolinea come la fase più intensa della recessione del Sud sia connotata da una natura “industriale”, settore già in estrema difficoltà nell’economia dell’area. Se i dati stimati per il 2015 dall’Istat saranno confermati nelle revisioni successive, le stime effettuate da RegiosS registrano nel 2016 un affievolirsi della crescita in tutte le regioni del Sud, anche se in modo differenziato (figura 2). Occorre tuttavia sottolineare che l’indicatore RegiosS tiene conto delle dinamiche reali che avvengono nell’economia regionale ed è più rappresentativo dell’attività manifatturiera e dell’import-export; è, quindi, legato alla specializzazione produttiva regionale. Anche le dinamiche occupazionali in alcuni settori e i consumi interni (immatricolazioni di auto) colgono solo parzialmente l’aumento dell’attività turistica (i cui dati non sono analizzati perché a bassa frequenza). L’indicatore, inoltre, non include l’aumento di spesa pubblica dell’ultimo anno per la fine del periodo di programmazione 2007-2013, che ha “gonfiato” (forse in parte artificiosamente) il Pil del Sud nel 2015.

Non ci si può adagiare dunque sull’andamento positivo di un solo anno, il 2015, per di più caratterizzato da elementi che lo rendono atipico, in un aerea, come il Sud, che sconta una crisi persistente e profonda dal 2006. Per il Mezzogiorno non è più rinviabile un’accurata scelta degli investimenti, che devono avere, contestualmente, un carattere strutturale e una forte dimensione integrata sul territorio. Altrimenti, l’economia del Sud fluttuerà a lungo intorno a una bassa crescita, senza possibilità di innescare lo sviluppo.

Occorre perciò partire dal dato positivo del 2015 per rendere strutturali e permanenti cambiamenti all’apparenza solo congiunturali. Se aumentano i flussi turistici non può esserci un continuo disinvestimento in infrastrutture. Se aumentano il valore aggiunto e l’occupazione nell’agricoltura meridionale, bisogna riconoscere l’agroalimentare come il possibile settore trainante dell’economia dell’area e creare le condizioni per una sempre maggiore produttività nei comparti di qualità e a più alto valore aggiunto.
È necessario agire sulla dotazione dei fattori che sono allo stesso tempo “causa ed effetto” della crescita e capaci di creare sviluppo, incrementando il capitale territoriale in tutte le sue componenti. Il Sud è poi molto eterogeneo e dunque bisognerà promuovere la qualità istituzionale, per favorire un utilizzo efficace dei fondi strutturali. Solo l’insieme di questi elementi potrà innescare lo sviluppo, per non registrare solo una crescita passeggera.

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Figura 1 – Indicatore di attività economica del Sud

Fonte: elaborazioni su dati Istat, Unioncamere, Unrae

Figura 2 – Indicatore previsivo di attività economica nelle regioni del Sud (con utilizzo dati Pil stimati dall’Istat per il 2015)

Fonte: elaborazioni su dati RegiosS Trends & Cycles (2016)

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  1. bob

    ..Per il Mezzogiorno non è più rinviabile un’accurata scelta degli investimenti, che devono avere, contestualmente, un carattere strutturale”
    Tutto il Paese ha bisogno di un intervento strutturale oltre che culturale

  2. roberto cre

    L’agroalimentare al sud è il futuro. Bisogna sostenere l’agricoltura biologica e le annesse attività di confezionamento e/o trasformazione

    • bob

      L’agroalimentare al sud è il futuro” Non è il presente! Le favole lasciamole a quelli che alzano 4 grattacieli di vetro con i locali sfitti e 4 garagi addibiti a negozi in una strada per considerarsi citta europea …..

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