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Come a Bruxelles vedono i conti dell’Italia: male

Il rapporto della Commissione europea sui conti pubblici non fa sconti. Ricorda che la flessibilità ha un limite, coincidente con la necessità di finanziare i cali delle imposte con riduzioni di spesa o almeno far ripartire le riforme. Altrimenti si rischia la procedura di infrazione per deficit eccessivo.

Un rapporto che punta il dito sul troppo debito pubblico

Il negoziato in atto tra Roma e Bruxelles sui conti pubblici italiani si è arricchito di un altro capitolo. La Commissione europea ha pubblicato un rapporto di ventiquattro pagine in attuazione dell’articolo 126 del trattato che regola il funzionamento della UE. L’articolo 126(2) assegna alla Commissione il compito di monitorare il rispetto della disciplina fiscale da parte degli Stati membri dell’Unione sulla base dei “parametri di Maastricht”, secondo i quali il deficit pubblico deve rimanere al di sotto del 3 per cento del Pil e il debito pubblico al di sotto del 60 per cento del Pil o mostrare un soddisfacente avvicinamento verso tale valore. Se uno dei due criteri non viene rispettato, per l’articolo 126(3) del trattato, la Commissione scrive un rapporto che documenta il perché e il per come dello sforamento, in modo da istruire la pratica per un’eventuale procedura di infrazione per deficit eccessivo.
Le ventiquattro pagine del rapporto della Commissione sull’Italia sono il primo passo della procedura, un cartellino giallo per il paese che ne è oggetto. Il rapporto riassume in poche tabelle i dati utili a valutare la coerenza dei conti pubblici italiani con i criteri di Maastricht (e gli altri vincoli sugli aspetti strutturali dei conti pubblici imposti dal Fiscal compact).
In sostanza, il deficit dell’Italia è rimasto sotto o uguale al 3 per cento dal 2012 fino a scendere al 2,4 per cento con cui (probabilmente, il dato ufficiale non c’è ancora) si è chiuso il 2016. Il suo rapporto debito-Pil è invece sempre aumentato dal 2007, quando scese al 99,8 per cento, fino a sfiorare il 133 per cento nel 2016. I dati degli ultimi anni descrivono dunque un deficit in lento calo e un debito in via di stabilizzazione (ma non ancora stabilizzato) 73 punti al di sopra dell’obiettivo tendenziale di Maastricht. L’azzeramento del deficit, mai negato come obiettivo nei documenti ufficiali dei governi italiani (Berlusconi, Monti, Letta, Renzi), è sempre stato collocato nell’ultimo anno dell’orizzonte di programmazione, salvo poi essere spostato nel tempo in corso d’anno, fino al documento ufficiale successivo.

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Le due alternative: bagno di realtà o procedura per deficit eccessivo

Nel suo rapporto, la Commissione, riconoscendo gli sforzi dei governi passati, ricorda anche le attenuanti che il nostro paese ha richiesto (per l’asprezza della recessione 2012-13, per finanziare gli investimenti pubblici compresi nel piano Juncker, per l’emergenza rifugiati, per i terremoti del Centro Italia), ne quantifica l’entità e lo “sconto” a cui hanno dato luogo nella valutazione dei nostri conti pubblici. Ma poi conclude indicando ciò che i trattati richiedono all’Italia in termini di aggiustamento fiscale per il 2017 e in futuro.
L’insoddisfazione della Commissione ha tre cause: la normalizzazione dell’economia, l’attenuarsi della spinta riformatrice e le promesse non mantenute. Il ritorno della crescita del Pil e dei prezzi -ambedue all’1 per cento (decimale più decimale meno) – indica che, sia pure con ritardo rispetto agli paesi europei, la strada della normalizzazione è stata intrapresa anche nell’economia italiana. Ma proprio la normalizzazione è un macigno su altre richieste di attenuanti e di eccezioni nella valutazione delle politiche pubbliche italiane.
La UE ci obietta anche che nella seconda metà del 2016 ha perso vigore lo sforzo riformatore che aveva toccato l’apice con l’approvazione del Jobs act e delle misure fiscali di accompagnamento (80 euro e decontribuzione sui neo-assunti a tutele crescenti). Conta la sconfitta nel referendum costituzionale (menzionata nel rapporto), ma conta ancora di più l’affievolirsi dell’iniziativa riformatrice nei tanti capitoli aperti dal governo Renzi di cui si è persa traccia negli ultimi mesi. E poi ci sono le promesse sulla riduzione del deficit puntualmente disattese anno per anno, ben oltre i margini di flessibilità richiesti e ottenuti.
Al netto dei suoi aspetti tecnici, il rapporto della Commissione ricorda che le regole fiscali sono necessarie dentro a un’unione monetaria. Se non piacciono, possono essere cambiate, trovando l’accordo di tutti i paesi membri. Ma, finché ci sono, vanno rispettate. Le si può rispettare sfruttando temporaneamente i margini di flessibilità esistenti. Poi basta: viene il momento in cui l’algebra detta le cose da fare alla politica. La strada seguita negli ultimi anni – quella di rabberciare manovre e leggi di bilancio che rispettano i vincoli con finte clausole di salvaguardia, lotte contro l’evasione e rinvii nei tagli di spesa – non c’è più. C’è da scegliere tra il racconto della verità, cioè che si possono ridurre le tasse solo tagliando la spesa pubblica in modo commisurato o almeno attuando riforme efficaci. Oppure c’è la procedura di infrazione per deficit eccessivo. In questo caso, sarà bene predisporre misure preventive (ad esempio clausole di salvaguardia vere e centrate su tagli automatici e lineari di spesa) che rendano meno invasiva possibile l’inevitabile intrusione dell’Europa nella gestione dei nostri conti pubblici. Dal prossimo Documento di economia e finanza si vedrà quale delle due è l’alternativa preferita dal governo italiano.

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11 commenti

  1. Nel corso di questi anni, nei quali si sono perfezionali gli accordi UE riferiti al fiscal compact, al rapporto deficit/pil, debito pubblico/pil, abbiamo assistito allo spostamento delle preferenze dell’elettore mediano dal centro alla dispersione dei voti e a manifestazioni sempre piu’ intense di non voto.
    Il DPEF è lo specchio del cambiamento, e immagine aderente a quella degli attuali policy maker, attenti a perpetuare clausole rivolte al mantenimento di rendite più o meno implicite, in un contesto ove il capitale è sempre più eroso e il lavoro in rapida e costante decrescita, astraendosi dalla realtà che, in termini di preferenza elettorale ,esprime il consenso di élites autoreferenziali in posizione di protezione delle rendite.

  2. antonio petrina

    Più che algebra e/o econometria, c’è il cono che non torna : secondo il DPB il debito 2017 è in discesa di un decimale mentre per la UE sale di 0,5 decimali: come si origina tale gap?

    • francesco daveri

      E’ algebra del debito pubblico derivata dalla table 2 del report. La commissione prevede per il 2017 un miglior avanzo primario (1,5 invece di 1,4) rispetto al DBP. si aspetta però pagamenti per interessi maggiori del DBP per 0,2 punti di Pil, una minor crescita per 0,1 e una minor inflazione per 0,1. infine il governo italiano si aspetta proventi da privatizzazioni per uno 0,5 mentre la commissione si aspetta solo uno 0,2. ci sono altre piccole differenze ma le principali sono quelle che ho elencato.

  3. Aldo Ferreri

    Caro prof.,
    Il problema del deficit e del debito è un problema di spese e di crescita. Per quanto riguarda la crescita credo che l’ errore più grande l’ha fatto il governo Amato nel 1992 quando ha indicizzato le pensioni all’inflazione. Le pensioni vanno indicizzate ai salari monetari come in Germania e non bisogna parlare di riportare il passato lontano al metodo contributivo perchè si crea sfiducia, oltre alla perdita di potere d’acquisto automatica per effetto del drenaggio fiscale. La quasi totalità dei pensionati e le persone a loro associate diminuisce automaticamente ogni anno i consumi per le ragioni sopra dette. O si fa al più presto questo passaggio o resterà per sempre un gap di crescita tra noi e l’Europa. La conseguenza sarà un fallimento dell’euro con tutte le conseguenze che si possono immaginare. Una sua risposta sarebbe auspicabile.

  4. Michele

    Per 3 anni Renzi ha rinviato i problemi e usufruito della flessibilità della UE sperando che le pseudo riforme risolvessero tutto grazie ad una crescita mai vista da decenni. Quando la partita pareva già persa Renzi ha rilanciato giocando il tutto per tutto con mance elettorali finalizzate al referendum. Referendum che non ha voluto spachettare in vari quesiti, scomettendo di nuovo tutto per tutto. Ora i nodi stanno venendo al pettine e ancora peggio sarà con la prossima legge di stabilità e con il rialzo di tassi e petrolio. Le scommesse le ha perse Renzi. I mercati saranno gli esattori. Pagheranno gli italiani.

    • Henri Schmit

      Sono perfettamente d’accordo. Darei solo atto al governo Renzi di aver provato a fare sul serio il primo anno. Ricordiamoci che è stato bloccato su questioni di primario ordine (stipendi nella PA e pensioni più alte) dalla Corte costituzionale. Per quanto riguarda il titolo dell’articolo penso che le cose si vedono di solito meglio con qualche distanza che quando si è troppo coinvolti, e che a Bruxelles il gioco (rinuncio agli aggettivi) del governo italiano sui conti si è capito da tempo. Fortuna del governo ma sfortuna degli Italiani vuole che non c’è nessuno fra Tusk, Juncker, Moscovici, e responsabili nazionali degli altri stati ad aver il coraggio e l’autorevolezza a far valere la ragione e le regole per fermare la discesa all’inferno dell’UE di cui l’inettitudine della politica italiana è la principale causa.

      • Mapo

        Mah, la corte costituzionale fa il suo lavoro, forse bastava scrivere le leggi facendosi aiutare da qualche esperto in modo che non venissero poi ‘fermate’ dalla corte …

  5. Piero

    Tutti sanno che in realtà i debiti pubblici (e pure quelli privati) hanno raggiunto livelli tali che nn si possono pagare e mai saran pagati. I vari Qe di Fed BoE BoJ PboC e per ultima Bce (a causa del veto tedesco) sono cancellazioni di debiti mascherate. Ma la maggior parte degli esperti e dei boss van ancora dietro ai tot% della Ue. Il mondo vive grazie alla ipocrisia di massa.

  6. Come al solito l’ipocrisia dei nostri governanti è pari solo alla loro avidità. I numeri comandano, e se le cose non funzionano, si cambiano. E i numeri ce li dice ogni anno l’ISTAT, con previsioni sempre più funeste sul bel paese: povertà, abbandono scolastico, diminuzione delle nascite, emigrazione scolarizzata all’estero. I motori propulsivi nelle altre società occidentali sono noti: scuola, università, ricerca, welfare, investimenti in opere pubbliche (utili), green economy e soprattutto abbattimento della burocrazia e argine ai disequilibri sociali. Qualcuno dei governi Berlusconi, Letta, Renzi, Gentiloni ha fatto qualcosa in questa direzione? Nessuno. A chiacchiere ha fatto molto Renzi – a chiacchiere non lo batte nessuno – tuttavia in Europa pochi capiscono la lingua italiana.

  7. Alessandro

    Il coraggio di dirsi falliti…. Perchè continuare con un’agonia estenuante e non porre in essere delle riforme serie sul debito pubblico:
    – non riconoscimento degli interessi.
    – saldo del debito in maniera distribuita e proporzionata
    almeno per la parte eccedente il famoso 60%…. i privati lo chiamano “concordato preventivo”!

  8. antonio petrina

    Grazie prof Daveri della sua risposta in termini di algebra, ma il risultato purtroppo non cambia: occorre una manovrina (un piano di rientro credibile) per ridurre l’Elefante (rectius: il debito ), stante
    che il debito nel 2016 non è sceso come promesso, sia pur stabilizzatosi dal 2015 (MEF Debito pubblico 2015) per cui una revisione della spesa di 3,4 miliardi non è opera titanica per il 2017, altro quella occorrente per il DEF 2018.

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