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Cooperazione allo sviluppo: più aiuti a bilancio e meno progetti

Aiuti a bilancio o aiuti a progetto? È un interrogativo che i donatori risolvono spesso a favore dei secondi. Ma così si perdono informazioni cruciali che solo il paese ricevente può avere, compromettendo la reale utilità dell’intervento. I rischi di corruzione e utilizzo improprio degli aiuti.

Perché i donatori non amano gli aiuti al bilancio

La scarsa importanza che negli ultimi venti anni la cooperazione allo sviluppo ha dato agli aiuti al bilancio è in netto contrasto con la cosiddetta “nuova retorica degli aiuti”, che invece enfatizza la “appropriabilità” (ownership) delle riforme da parte dei paesi riceventi, per una loro efficace realizzazione. Se si vuole massimizzare l’ownership delle riforme, il modo migliore di allocare gli aiuti consiste nel trasferirli direttamente ai paesi riceventi. Si rafforza così il controllo da parte dei governi, aumenta la trasparenza rispetto a chi compie le scelte di spesa e si riduce la volatilità e la frammentazione degli aiuti.
La figura 1 mostra come i donatori non siano convinti della bontà di questi argomenti: una simile modalità di erogazione non solo non è mai stata privilegiata, ma anzi è in costante diminuzione dalla metà degli anni Novanta e ha raggiunto il minimo di 0,75 per cento nel 2014.

Figura 1

Nota: Quota di aiuti al bilancio rispetto al totale degli aiuti di tutti i 28 donatori Dac bilaterali ai paesi in via di sviluppo (Oecd Crs 2016)

Nota: Quota di aiuti al bilancio rispetto al totale degli aiuti di tutti i 28 donatori Dac bilaterali ai paesi in via di sviluppo (Oecd Crs 2016)

Le ragioni sono soprattutto di natura politica. I paesi riceventi fanno spesso un cattivo uso degli aiuti ricevuti, per esempio destinandoli a settori o aree privilegiate dai loro politici. In alcuni stati, poi, abbondano le violazioni dei diritti democratici e umani. D’altra parte, ai donatori piace che la loro generosità venga riconosciuta e gli aiuti a progetto sono decisamente più visibili di quelli a bilancio. Senza dimenticare che le preferenze dei donatori su come usare gli aiuti sono spesso diverse da quelle dei paesi riceventi e influenzate da motivazioni geo-strategiche o commerciali per le quali gli aiuti a progetto si dimostrano strumenti più “flessibili”.
Quelle appena elencate non sono però buone ragioni. L’atto di donare, di per sé, dovrebbe essere disinteressato. Donatori “benevoli” dovrebbero rispettare le preferenze di governi eletti democraticamente invece di imporre le loro. Gli aiuti (o parte degli aiuti) concessi attraverso progetti possono finanziare iniziative di modesta utilità per i riceventi. Senza contare che quando gli aiuti vengono concessi per ragioni geo-strategiche finiscono comunque per non avere un effetto positivo sullo sviluppo.

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Informazioni fondamentali

Tuttavia, è ancora più importante evidenziare che, affinché gli aiuti risultino davvero efficaci, il vantaggio informativo di natura transnazionale del donatore dovrebbe essere combinato con il vantaggio informativo, di natura locale, del ricevente. Il paese ricevente infatti conosce meglio del donatore la sua realtà istituzionale e culturale e così sa in quale settore o regione l’aiuto possa risultare più efficace. Il donatore, a sua volta, dispone di un’informazione complementare: è più informato su quale tipo di aiuto abbia funzionato meglio in alcuni paesi rispetto ad altri.
In Axel Dreher, Sarah Langlotz e Silvia Marchesi (2016) sosteniamo che quando il donatore e il paese ricevente non concordano su quale sia il migliore utilizzo degli aiuti (ipotesi assai plausibile), finiscono per non comunicare sinceramente tra loro (cheap talk). In particolare, gli aiuti a progetto sono una forma di intervento che utilizza meno degli aiuti a bilancio l’informazione “privata” dei paesi riceventi. E dunque sono interventi più centralizzati, con un minore coinvolgimento del paese ricevente.
Nella nostra ricerca ci concentriamo proprio sul dilemma tra perdita di controllo (aiuti al bilancio) e perdita di informazione (aiuti a progetto) che il donatore deve gestire quando si trova a decidere tra le due forme di aiuto. Il nostro lavoro suggerisce che la scelta dipende dalla differenza tra le preferenze del donatore e del ricevente e dall’importanza relativa dei loro rispettivi vantaggi informativi. Pertanto gli aiuti a progetto possono essere preferiti a quelli a bilancio quando l’informazione privata del paese ricevente ha meno importanza di quella del donatore. È tuttavia facile pensare che i paesi donatori abbiano una naturale predisposizione a ritenere più importanti le loro informazioni. Ciò potrebbe spiegare, da un lato, la forte enfasi sugli aiuti a progetto e, dall’altro, lo scarso utilizzo dell’informazione locale nel progettare le riforme.
In conclusione, nei contesti democratici, gli aiuti al bilancio dovrebbero essere la modalità standard di erogazione. A breve termine e in qualche caso può accadere che siano usati in modo distorto. A lungo termine, tuttavia, in contesti più trasparenti sarà più facile per chi vota attribuire le responsabilità delle decisioni prese, punendo nelle urne governi che si rivelano incapaci di garantire gli obiettivi di sviluppo. Nel caso di governi autocratici invece le differenze tra gli obiettivi di donatori e riceventi sono probabilmente troppo ampie per scegliere gli aiuti al bilancio, anche se l’informazione locale fosse cruciale. Dunque sono preferibili quelli a progetto, benché sia improbabile che possano essere realmente efficaci per garantire lo sviluppo.

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  1. giancarlo

    Mi verrebbe da dire una roba quasi elementare: I vantaggi “di controllo” e quelli di “informazione” sono agevolmente integrabili inserendo gli aiuti nel bilancio delle istituzioni locali del territorio ricevente. Per quello che vedo io, questi organismi sono bene informati sull’andamento delle realizzazioni.

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