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Cosa fare se la crescita rallenta

Nel primo semestre 2016 i consumi rallentano, mentre prosegue l’aumento della produzione industriale. Per rilanciare subito la crescita si comincia riducendo il carico fiscale sui consumatori, non quello sulle imprese. E c’è da riaprire il cantiere delle riforme che servono. Completando la riforma della Pa.

I consumi in rallentamento

In attesa di conoscere la stima del Pil del secondo trimestre, si accumulano segnali di rallentamento dell’economia italiana, soprattutto sul fronte dei consumi. Nei primi cinque mesi dell’anno le vendite al dettaglio sono cresciute solo dello 0,3 per cento in valore e sono scese dello 0,2 per cento in volume rispetto al 2015. Poiché lo stesso dato era un +0,7 per cento in valore e in volume nei primi tre mesi dell’anno, se ne deduce che in aprile e maggio è arrivata una gelata dei consumi. L’andamento deludente dei consumi ha una spiegazione immediata: si chiama perdita di fiducia. Dopo aver raggiunto un valore massimo a fine 2015, l’indice di fiducia dei consumatori è crollato nei primi sei mesi del 2016, rimangiandosi tutto l’aumento dell’ultimo anno. Il calo ha controbilanciato in negativo la crescita del reddito disponibile dei primi mesi del 2016. Come mostra il grafico, la discesa della fiducia è avvenuta più o meno quando le borse mondiali sono cadute e l’entrata in vigore bail-in ha scoperchiato i problemi nascosti sotto il tappeto di grandi e piccole banche italiane. Ben prima che i sostenitori del “Leave” prevalessero nel referendum britannico di giugno.

Grafico 1

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La risicata ripresa delle imprese industriali

Dal lato delle imprese, le notizie sono più incoraggianti. Come indica il grafico, c’è un ridimensionamento nei valori dell’indice della fiducia. Ma sempre nei primi cinque mesi del 2016, la produzione industriale è ripartita, con un +1,2 per cento rispetto agli stessi mesi del 2015. Come in tutte le riprese, è una ripartenza squilibrata tra settori industriali: mentre la produzione di beni strumentali (macchinari e mezzi di trasporto acquistati dalle imprese) sale del 4,6 per cento, quella dei beni di consumo non durevoli è inchiodata a un impercettibile +0,1 per cento rispetto agli stessi mesi del 2015.
Fatturati e ordini industriali in valore registrano invece tutti il segno meno. Il fatturato industriale (nazionale ed estero) è in calo di 1,4 punti percentuali. Gli ordinativi sono giù di 2,5 punti percentuali, con una riduzione più marcata per gli ordini nazionali (-3,3 per cento) e più contenuta per quelli provenienti dall’estero (-1,1 per cento). Il calo di fatturati e ordini in valore combina la marcata riduzione dei prezzi alla produzione (-3,4 per cento sul totale dell’industria, la media tra -3,9 per i beni prodotti per il mercato interno e -1,6 per quelli prodotti per il mercato estero) e un piccolo aumento delle quantità. Per le imprese industriali si manifesta cioè l’effetto del calo dei prezzi delle materie prime sui bilanci: un segno meno su costi e prezzi di vendita e un segno più sulle quantità vendute.

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Cosa fare se la crescita rallenta

I dati indicano consumatori sfiduciati e in affanno e imprese che proseguono una crescita risicata e da rilanciare in fretta.
I consumi si rafforzano con una più rapida crescita del reddito, al lordo e al netto delle tasse. La crescita del reddito lordo dipende da salari e occupazione. Ma la crescita dei salari è vincolata dalla dinamica della produttività che anche nel 2015 è rimasta ferma. E per un recupero più consistente delle ore lavorate il Jobs act – per quanto si possa ritenere fosse la cosa giusta da fare – non può fare miracoli senza un ritorno meno flebile della produzione industriale. L’aumento dei redditi lordi arriverà dopo, se l’economia riparte, ma non è da lì che si comincia per far ripartire i consumi.
Non rimane che aumentare il reddito netto dei consumatori a parità di reddito lordo, cioè tagliando nettamente le aliquote Irpef o – più fattibile – rivedendo il sistema delle detrazioni in modo da semplificare e ridurre il carico fiscale, come proponevano Nicola Borri e Pietro Reichlin su questo sito. Se il governo ha una carta da giocare nel bilancio 2017, meglio dunque che la usi nella riduzione del carico sui redditi da lavoro e non per una riduzione dell’Ires che – nell’attuale situazione di incertezza e di crescita anemica – sarebbe un regalo di profitti alle imprese con scarsi investimenti addizionali.
Per produrre risultati più rapidi conta però il recupero della fiducia. Fiducia che si potrebbe risollevare se il governo riaprisse il cantiere delle riforme del cui completamento si è persa traccia negli ultimi mesi. Scommetto che la combinazione del completamento della riforma Madia sulla dirigenza pubblica e delle misure sul pubblico impiego sulla fine del posto fisso e degli scatti automatici di stipendio (misure tante volte annunciate ma poco viste) cancellerebbe facilmente l’effetto di un’eventuale sconfitta in un referendum su riforme costituzionali che al più fanno solo qualche timido passo verso una migliore governance istituzionale. In ogni caso, senza l’uno-due di riforma fiscale e riapertura del cantiere delle riforme che servono, tra qualche mese potremmo ritrovarci a ripensare con rimpianto alla possibilità di una crescita 2016 dello 0,6-0,7 per cento che sembrava pessimistica solo qualche mese fa.

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La politica di bilancio scommette sul cuneo fiscale

10 commenti

  1. Emanuele

    “Per rilanciare subito la crescita si comincia riducendo il carico fiscale sui consumatori, non quello sulle imprese”.
    Concordo, purtroppo siamo ostaggio da quasi 40 anni di una visione al limite del religioso, ove le imprese vengono viste come delle semi-divinità invece che, banalmente, come uno dei tanti attori economici e sociali.
    Sono almeno 5 anni che il consensus si è spostato verso un maggior equilibrio, ma evidentemente i decisori politici hanno un paraocchi talmente ristretto da non riuscire a cambiare strada.

  2. Gianni

    Purtroppo la proposta suona come il solito palliativo italico ai nostri problemi
    Salari, produttivita´e crescita sono prodotti dagli investimenti non dai consumi. Stimolare i consumi (ammesso che funzioni) ha come effetto di rendere quindi piu´lenta la ripresa. E a poco vale ricordare la storia della “capacita´ inutilizzata”: il boom che ha preceduto la crisi ha distrutto allocandolo erroneamente capitale fisico e umano la cui capacita´ produttiva non e´piu´ utilizzabile.

  3. bob

    prof.re ancor prima delle iniziative fiscali da adottare, la crescita di un Paese passa per politiche e progetti lungimiranti e a lungo e medio termine. Può indicarmene qualcuno di questi progetti? Escluso: compro-oro/ centri commerciali/ lottizzazioni assurde/ hamburgherie etc?
    Non so se lei si rende conto che abbiamo perso 20 anni dietro un perditempo assurto a ministro delle Riforme ? I parametri che lei indica possono essere aggiustati e modificati se dietro c’è un progetto, ma se non c’è nulla cosa aggiusta?

  4. Antonio

    Il nostro è un paese fallito. Non ci può essere crescita, che fino a prova contraria la fanno le imprese,se non si RISTRUTTURA dalle fondamenta lo stato (con la s minuscola). L’enorme spreco di risorse nel settore pubblico, migliaia di enti che sono solo stipendifici, una burocrazia borbonica creata ad arte per ottenere voti, un malaffare che deve essere inserito come principio costituzionale, fanno dell’italia un paese palesemente incentrato sullo strapotere statale a danno dell’iniziativa economica privata. Il settore privato è al servizio e alla mercé di quello pubblico. Dovrebbe essere semplicemente il contrario. Per liberare il nostro paese da queste asfissianti catene ci vogliono STATISTI, non politicanti che governano al solo fine di perpetuarsi al potere. Bisogna avere il coraggio di prendere decisioni Impopolari, nell’interesse di tutti e non delle corporazioni. Il resto sono solo chiacchere che si sentono da tempi immemori.

  5. Maurizio Cocucci

    Sottoscrivo interamente quello che ha scritto, ma in ogni caso è mia opinione che ciò può consentire una crescita comunque non sufficiente. Si riuscirebbe a raggiungere livelli dell’1% o 2% di PIL annuale, ma a noi serve andare ben oltre. Noi dobbiamo cambiare anche la cultura delle imprese, ad oggi ancora troppo piccole e quindi scarsamente competitive per capacità di investimento. Invito a (ri)leggere un interessante articolo pubblicato proprio su questo sito il 14.05.13 da Massimo Bordignon e Rony Hamaui dal titolo “Il Vero Vizio? Capitale” in cui viene evidenziato il problema delle imprese italiane sotto il profilo finanziario delle stesse. Produttività, capitalizzazione/mezzi propri (e quindi per contro dipendenza dal settore creditizio) e dimensione sono i tre problemi dell’apparato produttivo nazionale in quanto tutti e tre inadeguati se confrontati con le realtà dei maggiori competitors internazionali.
    Poi menzionerei un settore che non riusciamo a sviluppare per quanto rappresenti la nostra principale ‘risorsa’: il turismo! Nonostante si sia coscienti della potenzialità che il nostro Paese può offrire, non siamo in grado di sfruttarlo adeguatamente. Si guardi ad esempio al sito internet del più grande sito archeologico d’Europa: Selinunte. Non c’è da aggiungere altro. A nord est di Venezia si sono trasformate aree paludose in luoghi di villeggiatura. Nel meridione, dove non è richiesta questa fase, si registra un numero di presenze impietosamente inferiore.

    • bob

      caro signore del suo “federalismo” nord- sud credo che questo Paese non abbia proprio bisogno. Delle paludi trasformate in oasi ( ma dove?) e di Selinunte mal comunicata . La no crescita delle turismo è stato proprio la follia di delegare le Regioni ( da eliminare al più presto) …agli occhi dei Turisti americani l’ Italia è una Regione in cui visitare con priorità 4-5 siti che lei ben conosce e non le ex-paludi nel nord-est

  6. Mario rossi

    Ma vi siete accorti che anche exor se ne è andata via? Non è mica un caso

  7. Dobbiamo ridurre del 10% la spesa per la pubblica amministrazione, sono circa 80 mld di risparmi che dovranno essere utilizzati per eliminare l’irap (circa 39 mld), con la differenza sgravi fiscali ai lavoratori.

  8. stefano

    Le due banche venete da sole hanno bruciato 11 miliardi di capitale in tre province. Non so quanti ne hanno bruciati le quattro banche “salvate” col bail-in. Poi ci sono tante piccole banche che hanno dovuto svalutare i loro attivi o sono commissariate (296 milioni la sola cassa dei “risparmi” di Cesena…)

    se pensiamo che gli 80 € famosi ammontano a 10 miliardi e l’abolizione della IMU prima casa 4,5 mld. possiamo capire come questo salasso bancario abbia depauperato il risparmio ed annichilito la propensione al consumo delle famiglie.
    Se non si riporta la finanza alla sua funzione originaria e si protegge come si deve il risparmio le manovre fiscali espansive saranno vanificate.

  9. alberto bongiovanni di castelborgo

    Condivido in generale le analisi espresse nell’articolo, sebbene sia molto meno fiducioso nell’efficacia della riforma della P.A. progettata dal governo, la quale invece avrà per certo l’effetto di rendere la dirigenza più prona ai voleri dei politici di turno, ma voglio puntualizzare che gli automatismi stipendiali coinvolgono militari, poliziotti, magistrati (quasi – automatismi) dipendenti degli enti locali, delle asl…..ma assolutamente non i dipendenti del ministero della giustizia, vere cenerentole del sistema PA, esclusi (essi soli) dalle c.d. riqualificazioni che hanno promosso, in passato e fino al 2010, migliaia di dipendenti pubblici sostanzialmente per titoli (gli esami erano… benevoli), C’è un problema? io credo di sì

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