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Non tutte le lauree sono uguali, ma nessuna è inutile

Laurearsi conviene: trovare un lavoro è più semplice e gli stipendi dei laureati sono più alti di quelli dei diplomati. Ma anche il corso di laurea è importante e in pochi optano per indirizzi scientifici. Scelte più consapevoli migliorando le competenze degli studenti. Effetti sulla diseguaglianza.

Quanto vale la laurea

Molti giovani hanno appena concluso le scuole superiori e si apprestano a decidere se proseguire gli studi per laurearsi oppure mettersi alla ricerca di un posto di lavoro. Si tratta di una scelta che ha notevoli conseguenze sul loro futuro.
Anche se le generazioni più giovani nell’ultimo decennio si sono trovate ad affrontare condizioni piuttosto sfavorevoli, il livello di istruzione gioca comunque un ruolo importante nella definizione delle prospettive occupazionali e di reddito.
Se consideriamo i dati dell’Indagine sui redditi degli italiani della Banca d’Italia, si può vedere che i laureati (tenendo conto dell’età, del genere, dell’area geografica) percepiscono un reddito annuale netto che è all’incirca il 20 per cento più alto dei diplomati. La probabilità di trovare un’occupazione è anche molto più alta per i laureati: circa 10 punti percentuali in più dei diplomati. Laurearsi ha un effetto positivo anche sulla salute, sull’aspettativa di vita, sulla soddisfazione per il proprio lavoro e, più in generale, per la propria vita.
Non tutte le lauree hanno però lo stesso rendimento. I dati Almalaurea mostrano che i laureati in ingegneria, a cinque anni dalla laurea, guadagnano uno stipendio mensile netto di 1.705 euro. Seguono i laureati dei gruppi scientifico (1.614), chimico-farmaceutico (1.562), professioni sanitarie (1.552) ed economico-statistico (1.496). Remunerazioni più basse per i laureati in psicologia, educazione fisica e lettere (rispettivamente, 980, 1.059 e 1.117 euro).
È difficile però dire se la differenza nel salario percepito da un laureato in ingegneria e un laureato in lettere è da attribuire al fatto che hanno acquisito competenze diverse oppure se deriva da differenze preesistenti in termini di abilità individuali, motivazione o altre caratteristiche non osservabili. È possibile che gli individui che hanno ottenuto la “remunerativa” laurea in ingegneria avrebbero guadagnato elevati salari anche se avessero conseguito una laurea diversa. Né si può escludere che i laureati in lettere avrebbero guadagnato ancor meno se si fossero laureati in ingegneria perché le loro attitudini potrebbero non essere adatte a quel tipo di lavoro.
I pochi studi che riescono, almeno parzialmente, a risolvere i problemi che derivano dall’autoselezione degli individui mostrano che ci sono comunque ampie differenze nei rendimenti. Negli Stati Uniti anche le stime più prudenti rivelano un sostanziale maggior rendimento delle lauree Stem (Science, Technology, Engineering and Maths– scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) e di quelle in economia rispetto alle lauree umanistiche. Laurearsi nell’ambito disciplinare “giusto” ha un rendimento addirittura maggiore che farlo in una delle prestigiose università americane. In alcun casi, il guadagno salariale derivante dal laurearsi in un certo ambito disciplinare rispetto a un altro è pari alla differenza salariale derivante dal conseguimento della laurea rispetto al diploma (Kirkebøen al. 2014).

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Competenze da costruire

La scelta del corso di laurea ha quindi conseguenze non meno importanti rispetto a quella se intraprendere o meno gli studi universitari.
Tuttavia, gli studenti italiani, anche se meno che in passato, non sembrano particolarmente reattivi alle tendenze che si osservano sul mercato del lavoro. Ad esempio, il numero di laureati Stem è aumentato nel corso del tempo, ma è ancora al di sotto della media Ue. Non si tratta di un problema solo italiano; sono molti i paesi che stanno attuando interventi per aumentare il numero di questi laureati (in Italia dal 2004 è stato attivato il Progetto lauree scientifiche).
In un momento di profondo cambiamento delle figure professionali richieste sul mercato del lavoro, la capacità di orientare i giovani a prepararsi per il futuro ha un ruolo fondamentale per mitigarne gli effetti indesiderati. È però anche un compito difficile perché è necessario non solo capire quali saranno le competenze richieste dalle imprese, ma anche comprendere quali variabili incidono maggiormente sulla scelta degli studenti e intervenire su di esse.
Di sicuro, un ruolo rilevante è svolto dalla percezione della propria abilità: difficilmente uno studente sceglierà di iscriversi a ingegneria se ritiene di non avere competenze e attitudini che gli permetteranno di affrontare con successo quel particolare percorso di studio. Una buona formazione di base consentirà agli studenti di fare scelte meno influenzate dal timore di non farcela a cimentarsi in discipline ritenute più difficili. Se alcune competenze risultano di particolare importanza, allora sarà bene incominciare a costruirle già a partire dalla scuola primaria.
Importanti sono anche le informazioni di cui dispongono gli studenti circa l’offerta formativa delle università, i rendimenti attesi delle diverse lauree, le probabilità di abbandono. Interventi tesi a migliorare le competenze degli studenti e a migliorare la comunicazione tra famiglie, scuole e università non solo permetterebbero agli studenti di fare scelte più libere e consapevoli, ma servirebbero anche a combattere le diseguaglianze poiché, secondo alcuni studi, queste politiche hanno un effetto positivo soprattutto sugli individui con background sociale più debole.

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16 commenti

  1. Marcello Romagnoli

    Il mio intervento si potrebbe sintetizzare dicendo “Sciagurata è la nazione che non ha bisogno di filosofi, storici, psicologi, pedagogisti, linguisti ecc.”. Se tutto viene schiacciato dal mero dato sul salario e la richiesta rischiamo di fare un errore madornale di investimento per il futuro. Occorrono anche queste figure per capire il mondo in cui ci stiamo muovendo, per capire anche dinamiche geopolitiche.

    Lo dice chi insegna ad ingegneri…

    Lo stato deve fare investimenti anche su queste figure meno richieste dal mercato. I soldi non sono un problema. Lo sono le priorità.

    • diana

      @sig. Marcello:

      verissimo, non deve essere tutto schiacciato sul salario. Dipende in buona misura dalla motivazione per cui si sceglie di proseguire negli studi: chi lo fa sperando di avere maggiori possibilità di crescita economica (buona parte delle persone, penso), ma sceglie scienze politiche, non si può poi lamentare di non trovare lavoro o non trovarlo ben retribuito…

  2. bob

    Non tutte le lauree sono uguali, ma nessuna è inutile” . Soprattutto è la cultura utile intesa come conoscenza, apertura mentale , capacità di critica . Ma la cultura è una “bestia” che ha messo sempre paura al potere

  3. ms

    Condivido i punti di vista espressi da M.De Paola sul Mezzogiorno. In quel caso mi è difficile aggiungere qualcosa… Viceversa questo modo di presentare il problema della scelta della laurea non lo ritengo utile. Le variabili non osservabili (motivazione) sono gran parte della scelta e del successo degli studi. Altre variabili non osservabili possono incidere sui valori medi come il salario. Tenerne conto in quel modo conduce l’Italia sempre più ad orientarsi verso la mediocrità. Ciò di cui l’Italia avrebbe bisogno è un riposizionamento verso l’eccellenza e la frontiera della ricerca a livello accademico, in molti campi diversi. Per questo servono prima di tutto passioni, motivazioni, non aspettative di guadagno a 10 anni che riflettono la congiuntura più che una frontiera di possibilità future.
    Apprezzo gli autori, quindi invito loro ed altri a cambiare l’analisi e le risposte al problema. Al primo posto non c’è l’aspettativa di guadagno, ma la motivazione rispetto all’oggetto di studio. Si possono poi operare scelte tra “oggetti simili” (corsi di laurea simili, e qui influenare minimamente le scelte). Ma non ha alcun senso che chi ha una passione per lo studio dei processi cognitivi (per fare un esempio) studi ingegneria. L’errore dell’economicismo applicato parte dall’assumere che giovani di 18 anni siano “teste vuote” completamente manipolabili. Non è così…sventolargli davanti maggiore o minore quantità di moneta è una distrazione più che un aiuto a decidere.

    • Maria

      Un punto importante del nostro articolo è che per poter seguire le proprie passioni e i propri talenti bisogna aver modo di scoprirli e coltivarli. Una buona formazione di base aiuta a fare questo e a rendere più libere le nostre scelte. Non crediamo affatto che i giovani di 18 anni siano teste vuote e proprio per questo riteniamo che la disponibilità di informazioni sia per loro un bene,

      • ms

        Maggiori informazioni e migliore formazione di base sono preferibili, condivido. Ma il punto è che cosa il soggetto mette in gioco e quale euristica usa per decidere. Se il soggetto usasse solo la variabile “salario atteso”, già l’informazione sul reddito medio potrebbe essere integrata/migliorata. Ma il mio punto è un altro. Interpretata come problema collettivo, la decisione di orientare/si agli studi sulla base di una maggiore probabilità di guadagno usa un segnale di mercato che, oltre a poter essere contingente, enfatizza un elemento passivo e dipendente della motivazione, chiamato in psicologia motivazione estrinseca. Per distrazione intendevo quindi un eccesso di enfasi, di peso, e di positività su motivazioni estrinseche quali gli incentivi monetari, che sottovaluta le motivazioni intrinseche, come i sentimenti di autonomia/autorealizzazione introiettati per una attività (di studio e/o di lavoro). Molti lavori teorici ed empirici in psicologia (che non cito in un commento) hanno indagato la motivazione. La mia opinione è che gli economisti tendano per forma mentis almeno a sovradimensionare la motivazione estrinseca: nei modelli applicati è più facile usare variabili quantitative espresse in moneta. Poiché gli economisti sono influenti opinion leader, la loro sovrastima (o scarsa comprensione) del ruolo assunto dall’incentivo monetario sulla motivazione può facilmente trasferirisi all’intera popolazione e alle menti in formazione.

  4. Giuseppe

    Mamma mia che articolo campato per aria.
    L’idea di base e’ che laurearsi in matererie scientifiche sia da persone vogliose ed inteligenti, mentre laurearsi in lettere totalmente inutile e solo per scansafatiche, ahahah che ridere!!!
    La nostra societa’ e tutte si fondano su padri fondatori, che erano prima di tutto illuminati, letterati, storici e chi piu’ ne ha ne metta, se forse oggi la societa’ e’ cosi’ messa male, lo si deve proprio a questo andare sempre piu’ incontro alle tecnologie e alla meccanizazione dell’individuo stesso, che non e’ piu’ capace a valutare, scegliere e prendere decisioni spontaneamente ma si affida alla statistica, ai dati, ma dove andremo a finire.

    PS orgoglioso di essere uno di questi sfigati letterati, 27enne, laureato espatriato per due anni, tornato , con stipendio piu’ alto della media di molti ingegneri e compagnia varia.
    Sono le persone che si costruiscono il proprio futuro, con spirito di iniziativa, voglia di continuare a crescere e fare senza darsi mai per vinti, cosi’ funziona, e cio’ a prescindere da quello che studi.
    Facciamo degli studi ed articoli sensati please.

    • Max

      Il punto è un altro. Gli individui hanno diversi gusti e competenze. Anche se i laureati in ingegneria guadagnano di più questo non significa che i laureati in lettere abbiano fatto la scelta sbagliata. Questo perché magari hanno competenze linguistiche ma meno competenze quantitative, e sarebbero stati dei “pessimi” ingegneri o peggio non si sarebbero laureati affatto, percependo il salario da diplomati. Lo stesso se gli ingegeneri si fossero iscritti a lettere. Questo è il problema dell’auto-selezione, che con opportune technicalities si vuole risolvere, in modo che il premio stimato per ogni laurea rifletta l’effetto della laurea e non il fatto che gli individui hanno diversi gusti e competenze. Detto questo, gli individui fanno scelte vincolate, dove il vincolo sono ad esempio le competenze acquisite nelle scuole superiori, per cui anche se un laureato in ingegneria prendesse in media 5000 euro netti al mese, uno studente digiuno di matematica avrebbe una probabilità pari a zero di laurearsi e di percepire quel salario. E’ probabile che le scelte del tipo di laurea possano essere influenzate già durante la scuola superiore, influenzando gusti e competenze, forse anche prima. La statistica è molto utile perché da delle tendenze. Io non consiglierei a tutti di abbandonare l’università perché tanto si può diventare milionari solo con il diploma basandomi sull’esperienza di Bill Gates, perché non è così frequente.

    • Maria

      Non affermiamo affatto che “laurearsi in materie scientifiche sia da persone vogliose ed intelligenti, mentre laurearsi in lettere sia totalmente inutile e solo per scansafatiche”. Quando scriviamo che “È possibile che gli individui che hanno ottenuto la “remunerativa” laurea in ingegneria avrebbero guadagnato elevati salari anche se avessero conseguito una laurea diversa. Né si può escludere che i laureati in lettere avrebbero guadagnato ancor meno se si fossero laureati in ingegneria perché le loro attitudini potrebbero non essere adatte a quel tipo di lavoro.” Lo facciamo perché questo spiegherebbe una correlazione tra salario e tipo di laurea a prescindere dalla formazione acquisita. Non vogliamo certamente dire che un laureato in Lettere non possa guadagnare un elevato salario o che un laureato in ingegneria non possa guadagnare un salario basso.

      • bob

        ..tanto per rimanere nel banale, Marchionni è un laureato in filosofia. Negli anni ‘ 7′ sfornammo vagonate di “laureati” in Economia e Commercio…poi ci siamo dovuti inventare la figura del Commercialista per dire a mio nonno che prende 700 euro di pensione quante tasse deve pagare. E’ questa mentalità da cambiare…soprattutto per rendere questo Paese un pò moderno e aggiornato. Un laureato in Ingegneria ha prospettive e guadagni elevati in un Paese che ha prospettive di crescita in tecnologie e ricerche in settori d’avanguardia, Da noi l’ Ingegnere fa la pratica del catasto, o la Certificazione della caldaia del condominio

  5. Chiederei agli autori di esplicitare un presupposto nel loro ragionamento, se l’ho colto correttamente: supponiamo che la percentuale di studenti con buone attitudini per le materie STEM sia uguale in ogni nazione, si vorrebbe che quindi anche in Italia si raggiungessero le percentuali dimostrate possibili dai risultati ottenuti in altri stati. Corretto? Percentuali inferiori non sono imputabili a cause “biologiche” ma a cause socioculturali (che influenzano le motivazioni). Corretto? Grazie per l’eventuale precisazione.

  6. Federico

    C’è il solito problema logico di distinguere fra cause e fattori correlati. Che i laureati abbiano determinate caratteristiche non implica che tali caratteristiche siano causate dalla laurea. A quanto ricordo, i dati Almalaurea non sono abbastanza dettagliati da consentire di normalizzare i dati (cioè misurare cosa succede dopo la laurea a parità di condizioni di partenza). Non ho visto di recente (dopo il 2005?) delle matrici di mobilità sociale che indaghino l’efficacia delle lauree italiane; ricordo che i dati non erano entusiasmanti e presumo siano solo peggiorati, vista la riduzione delle iscrizioni e dei laureati.

  7. Giulia

    manca nell’articolo un accenno al genere che ha un ruolo chiave nelle scelte di formazione (ruolo degli stereotipi) prima e dopo nel differenziale salariale ( segregazione orizzontale e verticale). Per esempio, avete avuto modo di verificare se il progetto lauree scientifiche ha avuto un impatto di genere?

  8. Marco

    Facciamo i conti della serva. L’articolo asserisce che laureati percepiscono il 20% in più all’anno; prendiamolo per buono.
    Son 2.4 mensilità all’anno in più. Bene. Il laureato ha studiato per 5 anni, durante i quali non ha percepito stipendio ed ha pagato le tasse universitarie, mentre il suo “gemello lavoratore” ha iniziato a lavorare subito dopo il diploma. In questi 5 anni, il laureato ci ha rimesso, rispetto al gemello lavoratore, 60 mensilità. Per rientrare di questi 60 mesi “persi”, al tasso di 2.4 mesi all’anno, il laureato ci metterà 25 anni: 25 anni per arrivare a guadagnare quello che il suo gemello diplomato ha già guadagnato.

    Per carità patria non mi metto a computare fuoricorso medio, tasse e probabilità all’iscrizione di portare a termine il corso di studi.

    Come si fa a dire che laurearsi in Italia ha senso, dal punto di vista economico? Non sarebbe il caso di smetterla di prendere in giro le nuove generazioni, che dite?
    Con le differenze salariali che ci sono qui non ha senso laurearsi, in prospettiva occupazionale. Può avere senso, tutt’al più, se si è già convinti di voler andare a lavorare all’estero.

    • michele

      C’è un errore nel ragionamento. Ovvero si da per scontato che lo stipendio sia lo stesso e aumenti solo il numero delle mensilità pagate. In ogni caso si può fare un conto diverso. Il laureato guadagna il 20% in più (dal primo giorno di lavoro fino alla pensione), poniamo che lo stipendio sia di 1 euro/mese (per il laureato) e 0,8 euro/mese (per il diplomato),poniamo 480 stipendi per il diplomato e 420 per il laureato. Allora il laureato guadagna 420 euro/vita il diplomato 384 euro/vita. Ovvero il diplomato perde 36 euro/vita ovvero 3,7 anni di lavoro. Una miseria, se poi consideriamo che nessun laureato parte dal 20% in più di stipendio subito allora si vede che studiare non da alcun vantaggio economico.

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