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Garanzia giovani, solo uno su mille ce la fa

 

Non voglio certo passare per un “manicheo”, tuttavia è difficile non constatare il fallimento della più importante misura di politica del lavoro a favore dei giovani degli ultimi decenni. Costata almeno 1,5 miliardi di euro, conta 1.135.823 adesioni (897.281 al netto delle cancellazioni); nonostante gli esoneri contributivi e la riforma del contratto a tutele crescenti, i contratti a tempo indeterminato sono appena 10.661. Neanche l’1 per cento sul totale e se ci mettiamo anche tutti gli altri contratti atipici al massimo si arriva al 10 per cento. È vero che i dati probabilmente non tengono conto dei tirocini gestiti dalle regioni; questo tema apre una “voragine” (che molte regioni preferirebbero non aprire) che richiederà un approfondimento qualitativo dell’offerta realizzata, sperando di vedere almeno un’analisi longitudinale per sapere che fine hanno fatto questi tirocinanti in termini di percorso lavorativo. Sul tema, la paura è che ci siano stati abusi ricorrenti (come tirocinanti utilizzati come lavoratori regolari) e andrebbe accuratamente verificato il fenomeno di spiazzamento/sostituzione dei lavoratori regolari. Date le ingenti risorse, non può essere considerato un successo il funzionamento di una piattaforma informatica (non è proprio un’impresa titanica); inoltre, al momento siamo ben lontani da costruire quel portale unico del lavoro previsto dalla L.150/2015 e soprattutto dalla possibilità di realizzare attività di marketing territoriale verso aziende bersaglio. Non possono rappresentare neppure un successo le 659.178 prese in carico. Questo dovrebbe essere la base dell’attività dei Centri per l’impiego, probabilmente da quando si chiamavano Centri di collocamento pubblico, anche perché nella stragrande maggioranza dei casi si tratta in sostanza di un adempimento amministrativo. Per non parlare dell’accreditamento ai privati. A parte l’aver dimostrato che in molti contesti neppure le migliori Agenzie del lavoro possono fare miracoli se non è presente la domanda di lavoro, si è creata una “balcanizzazione” della delega, in alcuni casi bandi in via esclusiva al privato, in altri forme complementari o competitive tra pubblici e privati. In tema di delega al privato dei servizi per l’impiego regna il caos. Chiunque voglia studiare la materia deve equipaggiarsi di buona pazienza e studiare almeno una decina di combinazioni diverse, senza la certezza che un modello sia efficace anche in altri contesti. In altre parole, la dote unica del lavoro funziona bene in Lombardia anche perché il core metropolitano milanese è uno tra i più attivi in Europa, ma sospetto che i risultati attesi a Napoli sarebbero nettamente inferiori. Purtroppo queste sono solo alcune delle critiche. In alcuni contesti ci sono stati ritardi “mostruosi”, il sistema doveva partire il 1 maggio del 2014 e garantire un posto di lavoro oppure un’esperienza formativa entro quattro mesi dall’adesione, come era stato annunciato dal governo. Tuttavia, data l’attuale struttura del ministero e dei Centri per l’impiego, i risultati sarebbero stati esattamente gli stessi anche con un governo guidato da un leader di centro-destra o dal Movimento 5 stelle. La responsabilità della politica è quella di non aver agito e di non agire nel cambiare la tecnostruttura; nessun funzionario o dirigente è stato sanzionato, ripeto nessuno. Questo è un messaggio pessimo, soprattutto per quei dipendenti dei Centri per l’impiego che, nonostante siano sotto-organico e in grosse difficoltà dato il dissesto delle province, hanno lavorato bene alla Garanzia Giovani e che in molti casi, in sinergia con gli operatori privati, sono riusciti a creare qualche occasione di lavoro e ad avviare dei buoni progetti di politica attiva.

Suggerimento: evitare gli errori del passato

All’Agenzia nazionale per le politiche attive, spero ormai pronta a partire, spetta un’impresa titanica per evitare che si verifichino gli stessi errori nella nuova Garanzia giovani o nel futuro assegno di ricollocazione. Necessario è anche sistemare un modello dove la gestione regionale ha effettivamente ampliato (invece di risolvere) carenze territoriali e creato modelli auto-celebrativi che forse andrebbe completante rivisti. Urge un programma che individui indicatori efficaci ed efficienti delle performance dei servizi pubblici o privati delegati che siano del tutto indipendenti e trasparenti (basterebbe sostenere Isfol e/o Italilavoro su questo versante). Sono necessari adeguati “correttivi”, come un maggiore investimento nel programma per la mobilità internazionale, come lo sportello Eures Milano che colloca 3000 mila persone all’anno con solo 4 funzionari. A dimostrazione del fatto che non sono necessari i 90 mila dipendenti dell’Agenzia tedesca (numero che non sarà mai raggiunto in Italia date l’esigue risorse), ma che servono elevate competenze linguistiche, strumenti di politica attiva e costante formazione (purtroppo una carenza endemica tra la maggioranza dei dipendenti dei Centri per l’impiego).

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  1. daniele

    Se l’obiettivo del programma fossero stati i posti a tempo indeterminato, l’articolo sarebbe corretto. Ma non è così. Veramente si può pensare di creare posti di lavoro per legge? Lo spirito della Raccomandazione Europea non è assolutamnte questo è l’occupabilità prima ancora che l’occupazione, Come riconosce l’autore, i tirocini sono stati invece numerosissimi, alcuni buoni, altri meno, sicuramente. La misura ha dato in alcune regioni nuova linfa ai servizi per l’impiego. Non da ultimo, i soldi ci sono arrivati dall’Europa, senza il programma li avremmo semplicemente persi. Chi non ha saputo spendere bene si faccia l’esame.

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