Per contribuire in modo efficace allo sviluppo sostenibile dei paesi partner e contare di più nello scacchiere internazionale, l’Italia deve dare risposte globali a problemi globali. Se la nuova legge è caratterizzata da luci e ombre, per ottenere risultati bisogna concentrarsi su quattro punti.
Luci e ombre della riforma
La nuova legge 125/2014 – “Disciplina generale sulla cooperazione internazionale allo sviluppo” – presenta delle novità interessanti: un più ampio coinvolgimento dei settori sociali impegnati nello sviluppo attraverso nuovi meccanismi di consultazione; l’obbligo d’indicazione nel bilancio di tutti gli stanziamenti nazionali destinati a sostegno di politiche di cooperazione; un miglior coordinamento tra le politiche nazionali e i fini della cooperazione; nuovi strumenti finanziari affidati alla Cassa di depositi e prestiti; e un ruolo più importante riservato agli attori privati profit.
La modifica più significativa riguarda la creazione della Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, che nasce come ente finanziatore ed erogatore di servizi di assistenza o come esecutore per conto terzi (questa un’importante novità). La portata dell’Agenzia è però modesta tenuto conto che il suo organico viene limitato a 300 unità, 200 in Italia e 100 nei paesi in cui opera, ben al di sotto degli organici di paesi come la Danimarca e la Svizzera che hanno un aiuto pubblico allo sviluppo, in valori assoluti, simile a quello italiano.
Tra i vari nodi da sciogliere, spicca la frammentarietà delle varie istituzioni coinvolte nel sistema di cooperazione (Agenzia, ministero degli Affari esteri e cooperazione internazionale, ministero dell’Economia e delle Finanze, Direzione generale della cooperazione e sviluppo) e i rispettivi ruoli e competenze, che spesso si sovrappongono.
Per esempio, l’Agenzia non si occupa della programmazione annuale dell’azione di cooperazione allo sviluppo, che rimane affidata alla Direzione generale della cooperazione e sviluppo. Importanti criticità sia politiche – per esempio la nomina del viceministro per la Cooperazione – sia operative dovranno essere risolte affinché l’Agenzia inizi a funzionare a pieno regime a partire da gennaio 2016.
Risposte globali cercasi
Per essere efficace, la nuova cooperazione italiana deve smarcarsi dal suo cronico provincialismo. Come? Ecco una strategia in quattro punti.

  1. Stanziare più fondi per lo sviluppo. L’Italia è uno dei paesi Oecd con il più basso contributo di aiuto allo sviluppo in proporzione al prodotto interno lordo. La nuova legge di stabilità rappresenta un importante cambio di tendenza, aumentando l’Aps di 121 milioni di euro per il 2016, il 40 per cento in più dei fondi attuali. L’Italia è ancora lontana dal realizzare lo 0,25 per cento del Pil in aiuto pubblico allo sviluppo, obbiettivo per il 2017, che richiederebbe 1,3 miliardi di euro di finanziamento in più all’anno. I livelli di aiuti e le fonti di finanziamento, inoltre, dovranno essere chiaramente definiti su un orizzonte temporale di medio-lungo periodo, garantendo la periodicità delle risorse.
  2. Definire linee strategiche chiare. Si deve definire il nuovo ruolo della cooperazione limitandosi a un numero contenuto di tematiche e aree geografiche. L’Italia può mettere a frutto la sua vasta esperienza nelle operazioni di peacekeeping e occuparsi degli stati fragili e in conflitto nell’area del Mediterraneo e del Medio Oriente. Inoltre, la tradizione della piccola e media impresa italiana suggerisce un focus della cooperazione sui settori produttivi. Una scommessa è quella di puntare sulla cooperazione “culturale”, ossia tutela, conservazione e anche promozione del marchio Italia, che potrebbe diventare un fiore all’occhiello del nostro paese.
  3. Comunicare efficacemente con l’opinione pubblica. Gli italiani sono in genere multilateralisti e pacifisti, ma poco inclini ad accettare onerosi impegni internazionali. I problemi globali assumono rilevanza solo quando incidono direttamente sugli interessi del paese. Si devono investire più tempo e risorse per informare l’opinione pubblica del progetto Italia in cooperazione, soprattutto su tematiche legate all’immigrazione e la risoluzione di conflitti. Su questi temi, e in sintonia con la politica estera italiana, il nostro paese deve essere più propositivo e presente nei dibattiti internazionali.
  4. Puntare sulle risorse umane. L’Agenzia dovrà beneficiare di un aumento e rinnovamento del personale tecnico, della presenza di un percorso di crescita professionale all’interno della stessa e di meccanismi di avanzamento professionale basati sul merito e perfezionamento.
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Si può anche attingere nel pool di italiani all’estero che si sono fatti valere nel campo dello sviluppo sia in ambito diplomatico, accademico che nelle organizzazioni internazionali che si occupano tradizionalmente di queste tematiche. Importante in questo senso è anche il processo di selezione del direttore dell’Agenzia, che si svolge proprio in questi giorni.

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