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Epatite C: quando la speranza ha un costo alto

I nuovi farmaci contro l’epatite C sono decisamente efficaci, ma hanno prezzi quasi proibitivi per le finanze delle regioni. Anche perché si tratta di una malattia molto diffusa nel nostro paese. Strategie per riuscire a trattare il maggior numero possibile di pazienti e scelte della politica.

Antivirali contro l’epatite C
I nuovi farmaci antivirali diretti contro l’epatite C rappresentano un deciso miglioramento per il trattamento della malattia e per la prevenzione della sua evoluzione – in primis, cirrosi e epatocarcinoma, solo in Italia responsabili di migliaia di ricoveri e di morti all’anno. In particolare nelle forme meno gravi della epatopatia, i trattamenti hanno un tasso di eradicazione del virus superiore al 90 per cento e una maggiore tollerabilità rispetto a quelli precedenti.
I medicinali hanno però anche un prezzo proibitivo. Le ditte produttrici, che in alcuni casi hanno già recuperato il costo degli investimenti iniziali, cercano di massimizzare i profitti negoziando prezzi diversi nei vari paesi in base alle rispettive possibilità economiche. Ad esempio, a parità dei costi di produzione stimati in circa 100 euro, un trattamento con sofosbuvir, capostipite della nuova classe di farmaci, costa da circa 800 euro in Egitto a circa 75mila euro negli Stati Uniti.
Pur nell’impossibilità di avere dati affidabili sulla diffusione dell’infezione e delle sue complicanze, si stima che in Italia i pazienti con diagnosi di epatite C siano nell’ordine di diverse centinaia di migliaia e che esista una notevole differenza tra Nord e Sud, con una prevalenza nettamente maggiore al Sud. Trattare tutti questi pazienti richiederebbe, ai prezzi attuali, la disponibilità di almeno una decina di miliardi, mentre il risparmio nel lungo termine per le cure evitate (come trapianti di fegato, ricoveri, esami) è difficilmente quantificabile e comunque molto variabile in base ai numerosi fattori in gioco (stime sulla prevalenza e l’evoluzione della malattia, oltre che sull’efficacia delle terapie nella pratica corrente) e alla variabilità geografica nei costi di trattamento.
I problemi di accesso ai farmaci in Italia
Sofosbuvir è stato introdotto in Italia lo scorso dicembre, dopo un negoziato i cui termini non sono stati resi noti. Quello che si sa è che il prezzo di 37mila euro (Iva esclusa) per un trattamento subirà sconti progressivi all’aumentare dei volumi consumati. Ciascuna regione deve tuttavia avere la disponibilità economica per acquistare il farmaco a prezzo intero (oltre ai trattamenti da associare, spesso altri costosi antivirali diretti) e diverse non hanno fondi sufficienti. Solo in seguito, potranno ricevere indietro dalla ditta una parte della spesa sostenuta attraverso un “pay-back” in base ai volumi consumati nell’intero paese, che però non sono prevedibili, e di conseguenza non lo è la spesa finale in ciascuna regione. Il governo poi rifonderà le regioni attraverso un fondo di un miliardo per gli anni 2015 e 2016 destinato ai farmaci innovativi. In sostanza, tuttavia, le risorse aggiuntive disponibili sono soltanto 100 milioni poiché il fondo è costituito al 90 per cento da somme già destinate alla sanità (quindi sottratte ad altri usi). E ancora una volta le modalità e l’entità di accesso al fondo per ogni regione non sono ancora definiti.
Con il fondo si prevede di trattare 50mila pazienti, in base ai criteri di gravità definiti dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa). In conclusione, le regioni non sono oggi in grado di attuare una efficace programmazione della spesa e in più rimane l’incognita di cosa avverrà una volta trattati i primi 50mila pazienti. Per curare tutti gli altri bisognerebbe infatti che i prezzi calassero di molto e qualcosa si comincia a intravedere grazie alla concorrenza con altri antivirali diretti, già introdotti in Europa nel 2014 e progressivamente anche in Italia nei primi mesi del 2015. Comunque, il trattamento meno dispendioso di cui abbiamo notizia costa circa 23mila euro per paziente.
Le polemiche: quanti e quali pazienti trattare?
Intorno all’argomento si è scatenato un dibattito molto intenso. La procura della Repubblica di Torino ha iniziato un’indagine per accertare se vi siano state morti che potevano essere prevenute con l’uso dei nuovi farmaci e la Regione Toscana ha dichiarato l’intenzione di trattare 26mila pazienti toscani in tre anni grazie a consistenti riduzioni di prezzo realizzate attraverso una gara regionale, che però non ha prodotto i risultati sperati: è arrivata un’unica offerta valida ma, in base alle notizie filtrate, senza riduzioni rispetto ai prezzi scontati già negoziati con Aifa.
Purtroppo, il diritto alla salute si deve necessariamente confrontare con il fatto che le risorse sono limitate e che bisogna scegliere quali sono le prioritarie. Per rendere possibile un accesso allargato ai nuovi farmaci – così come indicato dalla Toscana – occorrerebbe che i loro prezzi si riducessero di circa dieci volte. Infine, affrontare il problema a livello regionale comporterebbe differenze nell’accesso ai farmaci non compatibili con l’idea di un servizio sanitario “nazionale”.
Tuttavia, iniziative come quella della Toscana pongono con forza il problema dell’accesso e della sostenibilità delle cure e della necessità che la politica e gli organi tecnici forniscano risposte adeguate.
L’Aifa indica come possibile approccio la realizzazione di una gara nazionale, che potrebbe promuovere la concorrenza tra le ditte produttrici e portare a una riduzione dei prezzi meglio di una gara regionale e senza rischiare differenze di accesso tra i cittadini delle diverse regioni. In prospettiva, l’epatite C potrà essere debellata, ma ci vorrà comunque tempo. Intanto, gli sforzi dovranno essere concentrati nel trattamento di pazienti che presentano necessità cliniche non dilazionabili.

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L’istruzione (ancora una volta) ci salverà

  1. Giorgio Giuliani

    Nel costo di produzione che voi citate è incluso anche il costo della ricerca per arrivare al farmaco commercializzabile?

    • Gli autori

      Il costo di 100 euro circa stimato per sofosbuvir (vedi anche http://www.forbes.com/sites/edsilverman/2013/11/11/will-the-new-hepatitis-c-drugs-trigger-a-battle-over-cost/ ) rappresenta un costo “fisso” di produzione. Banalizzando, il recupero dell’investimento fatto in ricerca dipende da una variabile (nel senso che “varia”) fondamentale, che è la quantità di farmaco che le ditte vendono. Va sicuramente considerato che in questo come in molti altri casi, gli investimenti fatti sono notevoli (anche se ci sono opinioni molto diverse su quale sia in media l’investimento necessario per sviluppare un farmaco: vedi a titolo di esempio http://www.economist.com/news/business/21635005-startling-new-cost-estimate-new-medicines-met-scepticism-price-failure ). Sembra tuttavia che per Sovaldi (sofosbuvir) la ditta abbia recuperato l’investimento fatto già nel primo anno di commercializzazione nei paesi in cui il prezzo di vendita del farmaco è nettamente più elevato (vedi http://www.nejm.org/doi/pdf/10.1056/NEJMp1500848 ). Ciò non è facile da appurare, poiché in genere non sono adeguatamente esplicitate le risorse impiegate nel processo di sviluppo di un farmaco. Lo stesso Senato americano (Committee on Finance) ha richiesto ufficialmente alla Gilead di esplicitare gli elementi che possano giustificare un prezzo così alto per Sovaldi (vedi http://www.finance.senate.gov/imo/media/doc/Wyden-Grassley%20Document%20Request%20to%20Gilead%207-11-141.pdf)

    • Gli autori

      Il costo di 100 euro circa stimato per sofosbuvir rappresenta un costo “fisso” di produzione. Il recupero dell’investimento fatto in ricerca dipende da una variabile (nel senso che “varia”) fondamentale, che è la quantità di farmaco che le ditte vendono. Banalizzando: se un trattamento costa 10 e io lo vendo a 110, guadagno 100. Se ho investito 10.000 in ricerca, i primi 100 trattamenti mi servono per recuperare l’investimento fatto. Se io vendessi ogni trattamento a 210 invece che a 110, basterebbe venderne 50 per recuperare l’investimento (a parità di costo fisso di produzione). Va sicuramente considerato che in questo come in molti altri casi, gli investimenti fatti sono notevoli (anche se ci sono opinioni molto diverse su quale sia in media l’investimento necessario per sviluppare un farmaco). Sembra tuttavia che per Sovaldi (sofosbuvir) la ditta abbia recuperato l’investimento fatto già nel primo anno di commercializzazione nei paesi in cui il prezzo di vendita del farmaco è nettamente più elevato. Ciò non è facile da appurare, poiché in genere non sono adeguatamente esplicitate le risorse impiegate nel processo di sviluppo di un farmaco. Lo stesso Senato americano (Committee on Finance) ha richiesto ufficialmente alla Gilead di esplicitare gli elementi che possano giustificare un prezzo così alto per Sovaldi. Sono disponibili su richiesta alcune referenze bibliografiche (non inseribili qui per motivi di spazio)

  2. marcello

    l modello di business delle case farmaceutiche è simile a quello delle major discografiche-cinematografiche: il blockbuster. La sony, sull’orlo della catastrofe fu salvata dal primo Spider Man e, come ben visibile a tutti, il mercato cinematografico è ora invaso da film che negli anni 70 erano considerati dei B-movie. Il capostipite di questa deriva Holliwoodiana fu lo Squalo di Spielberg. L’industria dei farmaci ha una struttura simile. Un farmaco di successo paga tutta la ricerca fallita e futura. I tassi di fallimento sono come noto elevatissimi e casi anche recenti indicano (Roche con tamiflu durante l’aviaria) che la politica industriale non è cambiata. E’ evidente che esiste un problema di costi fissi elevati, mentre i costi marginali sono bassi, troppo bassi per fissare dei prezzi. Quindi o si finanza la ricerca con network che intervengono sui processi di scoperta a monte, oppure a valle diventa difficle intervenire, a meno di ricorrere a tariffazione, ma mi sembra difficile vista la natura aleatoria dei farmaci. Per esempio sui vaccini si potrebbe operare in questo modo, invece si lascia l’iniziativa e gli oneri ai privati, a cui poi si vogliono imporre vincoli di prezzo.

  3. Lorenzo

    Basta vi prego con questa favoletta che i farmaci costano tanto perché “eh poverette le case farmaceutiche hanno tanti costi di R&D e molti non sfociano da nessuna parte!”. Le big pharma hanno margini operativi, dopo quindi sia i costi spesati nell’anno che ammortamenti degli investimenti, oltre il 30%. più del doppio dell’industria e oltre anche alle migliori aziende del lusso. E qual è di solito la voce di costo maggiore? Non la ricerca e sviluppo ma il marketing. Ma come, il loro lavoro è produrre farmaci e spendo più a convincere medici e pazienti che per la ricerca? Ma un buon farmaco non dovrebbe vendersi da solo se funzionasse davvero? Siamo ormai talmente assuefatti al liberismo che non vediamo il marcio gigantesco davanti ai nostri occhi.

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