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Gli 80 euro? Spesi al supermercato *

I beneficiari hanno percepito il bonus da 80 euro come una misura permanente e lo hanno speso interamente. In beni alimentari, ma anche per pagare le rate del mutuo. Un provvedimento efficace per sostenere la domanda, dunque. Stessi risultati con la politica fiscale annunciata dal governo?

Una misura efficace?
Il taglio di imposte per 80 euro mensili a favore dei lavoratori con reddito da lavoro dipendente – noto come “bonus Renzi” – è stata la misura di sostegno alla ripresa ciclica più importante adottata dal governo Renzi.
È stata anche la misura più controversa e dibattuta, sia prima sia dopo la sua adozione. Prima, perché si sosteneva che un uso alternativo – ad esempio un taglio del costo del lavoro destinando le risorse alla decontribuzione – avrebbe avuto maggiori effetti espansivi. Dopo, perché secondo diversi commentatori l’effetto sulla spesa sarebbe stato nullo. In questo caso, lo scetticismo tuttavia era fondato su argomenti poco solidi in linea di principio e non sorretti da evidenza. Benché i consumi aggregati dopo l’adozione del bonus abbiano continuato a mostrare una dinamica contenuta, il bonus potrebbe comunque aver dispiegato effetti molto forti e in sua assenza la dinamica dei consumi aggregati avrebbe potuto essere ancora più lenta.
In un nostro lavoro, ancora in corso di perfezionamento, abbiamo fatto una valutazione degli effetti del bonus. Qui ne illustriamo i risultati principali. Sebbene ancora preliminari e suscettibili di modica, le stime finali non dovrebbero discostarsi di molto da quelle qui discusse.
Il bonus e gli effetti attesi
Il bonus deciso dal governo nell’aprile del 2014 consiste in uno sconto fiscale di 80 euro mensili a favore dei lavoratori dipendenti. Il decreto esclude dal beneficio le persone con redditi al di sotto della soglia minima di tassazione (8.145 euro su base annua) e quelli al di sopra dei 26mila euro annui. I redditi compresi tra i 24mila e i 26mila euro beneficiano del bonus, ma a scalare fino ad annullarsi al di sopra dei 26mila euro. Il governo lo aveva presentato come una riduzione permanente di imposte. Tuttavia, alcune incertezze, soprattutto al momento dell’adozione, potevano far sorgere qualche dubbio sulla sua permanenza, verosimilmente fugato nel settembre del 2014, quando il bonus è stato confermato nella legge finanziaria.
Un taglio permanente di imposte produce un uguale incremento del reddito disponibile delle famiglie e dovrebbe, in linea di principio, tradursi in un incremento di spesa della stessa entità. Dubbi sulla permanenza ne possono attenuare l’effetto. D’altro canto, il maggior reddito disponibile – soprattutto se permanente – migliora la solidità finanziaria delle famiglie e può favorire il loro accesso al credito, in particolare durante una crisi finanziaria, incoraggiando così la spesa. In alternativa, famiglie già indebitate possono destinare il bonus al servizio del debito, evitando il fallimento e i costi che ne possono conseguire (ad esempio, l’esclusione successiva dal mercato del credito). La disponibilità del bonus sostiene il consumo indirettamente perché rende meno necessario tagliare la spesa per ripagare i debiti ed evitare il default.
Soppesando questi fattori, ci si aspetta un effetto non trascurabile del bonus sulla spesa e un potenziale effetto sul servizio del debito delle famiglie.
Dati e metodologia
Grazie alla disponibilità dei dati Istat sull’Indagine dei consumi delle famiglie nel 2014 (che contiene informazioni sulla spesa di un campione di famiglie a frequenza mensile), combinati con quelli dati dell’Agenzia delle entrate per ottenere informazioni sui redditi delle stesse famiglie e identificare con certezza chi ha percepito il bonus, è possibile fornire prime stime del suo effetto. L’idea di come misurare l’effetto del bonus sui consumi è illustrata in un precedente articolo su lavoce.info e la metodologia è sintetizzata nell’appendice.
Qui riportiamo una breve sintesi delle stime finora ottenute. I risultati si riferiscono principalmente all’effetto del bonus sui consumi dei percettori con redditi bassi, quelli vicini alla soglia di esenzione. La ragione è che identificare l’effetto per questo gruppo è più semplice. Menzioneremo anche stime ancora preliminari per i percettori di bonus vicini alla soglia superiore – quelli con redditi tra 24mila e 26mila euro, con bonus a scalare al crescere del reddito.
La figura 1 mostra le frequenze dei percettori del bonus nel campione Istat ai vari livelli di reddito normalizzato su base annuale. Gli effetti stimati per i lavoratori vicini alla soglia minima sono riassunti nella tavola 1 e si riferiscono alla spesa per consumi nei mesi da giugno 2014 (primo mese di percezione del bonus) fino a dicembre 2014, ultimo mese per il quale è disponibile l’indagine Istat sui consumi.
Gli effetti sui consumi individuali

  1. Il bonus ha avuto un forte effetto sui consumi delle famiglie i cui percettori hanno redditi da lavoro dipendente di poco superiori alla soglia degli 8.145 euro.
  2. Per queste famiglie il bonus non ha avuto effetti sugli acquisti di beni durevoli; va però tenuto presente che stimare l’effetto su questi beni è difficile perché il campione è limitato e gli acquisti non sono frequenti.
  3. L’effetto è marcato per gli acquisti di beni alimentari e per il pagamento della rata del mutuo o la restituzione di altri debiti. Su queste due categorie di spesa, l’effetto del bonus è all’incirca della stessa entità: chi ne ha beneficiato ha speso, secondo le stime, in media 60 euro in più al mese in alimenti e contribuito per 77 euro al mese al pagamento della rata del mutuo, entrambi statisticamente diversi da zero.
  4. Poiché in media il bonus percepito da queste famiglie è di circa 80 euro al mese, l’effetto sulla spesa famigliare sembra essere superiore all’entità del bonus stesso. Una possibile spiegazione è che il bonus abbia facilitato l’accesso al credito per le famiglie che consumavano al di sotto del loro livello desiderato, perché escluse dal mercato del credito. Da notare tuttavia che, dato l’elevato margine di errore delle stime, non è possibile affermare che l’effetto di 1 euro di bonus sulla spesa totale sia statisticamente maggiore di 1.
  5. Le prime evidenze sull’effetto del bonus tra i percettori di reddito intorno alla soglia superiore (24-26mila) indicano un effetto positivo e di maggiore entità per quanto riguarda la spesa in alimenti, ma più contenuto per quanto riguarda le altre voci. La riduzione dell’effetto sulla spesa per il pagamento dei debiti è probabilmente da attribuirsi alla maggiore facilità di accesso al credito tra i percettori di redditi superiori.
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Queste evidenze suggeriscono che, nel complesso, le famiglie beneficiarie hanno speso il totale del bonus. Ovvero, il bonus si sarebbe tradotto in un aumento uno a uno della spesa.
I risultati delle nostre stime sono coerenti con le prime evidenze provenienti dall’Indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia 2014 che, con una metodologia totalmente diversa, conclude che le famiglie avrebbero speso circa il 90 bonus del bonus con effetti più elevati tra quelle con livelli più bassi di ricchezza.
I risultati per consumi aggregati e Pil
Sulla base delle nostre stime, il bonus erogato nel 2014 è di circa 5,2 miliardi, in linea con lo stanziamento del governo di 6,7 miliardi. Nell’ipotesi che le erogazioni del 2015 abbiano seguito quelle del 2014, dovrebbero essere intorno ai 9 miliardi (non lontano dallo stanziamento di 10 miliardi previsto dal governo). Poiché i consumi totali delle famiglie nel 2014 sono stati di 974 miliardi di euro, il bonus ha contribuito ad accrescere i consumi nel 2014 dello 0,54 per cento; per il 2015 il contributo stimato alla crescita dei consumi è vicino al punto percentuale (0,93 per cento). Assumendo un moltiplicatore dei consumi tra 1,2 e 1,4, il bonus avrebbe contribuito a sostenere la crescita del Pil all’incirca dello 0,4 per cento nel 2014 e di circa lo 0,8 per cento nel 2015. Il calcolo ignora ovviamente qualunque effetto di segno opposto sulla domanda aggregata dovuto alle coperture del bonus.
Implicazioni per la politica fiscale
Le nostre stime suggeriscono che il bonus Renzi ha aiutato a sostenere la domanda interna in un momento di particolare debolezza dell’economia Italiana. Le stime riportate implicano un suo effetto diretto uno a uno sui consumi delle famiglie beneficiarie, con poche differenze al variare del livello del reddito del beneficiario. Un effetto così elevato e uniforme tra famiglie con reddito diverso implica che i beneficiari hanno creduto alla promessa del governo che il taglio fiscale sarebbe stato permanente.
Stabilire che effetto ha avuto il bonus Renzi sui consumi è interessante non solo per il dibattito sull’efficacia delle politiche anticicliche adottate dal governo, ma ha una valenza più generale. Aiuta a formulare un giudizio sulla politica di contenimento fiscale annunciata dal governo per i prossimi anni che, inevitabilmente, per essere finanziata dovrà essere accompagnata da riduzioni di spesa pubblica.
I nostri risultati implicano che un taglio permanente di imposte finanziato con una diminuzione permanente di spesa pubblica non dovrebbe avere effetti depressivi sulla domanda e potrebbe invece avere effetti espansivi. Ma il calo delle imposte può avere ulteriori effetti indiretti sulla domanda perché: a) migliorando la solidità fiscale delle famiglie e accrescendone il merito di credito, sprona la domanda; b) perché uno stato più leggero può, in equilibrio, ridurre il costo del debito e sostenere la domanda privata.
* Il lavoro su cui si basa la nota è stato condotto in collaborazione con il Nucleo tecnico per il coordinamento della politica economica presso la presidenza del Consiglio.
Post scriptum. Alcuni osservatori hanno mosso critiche al nostro studio. Alcune delle critiche che abbiamo ricevuto riguardano la sostanza e la metodologia. Queste critiche sono benvenute e cogliamo anzi l’occasione per sollecitarle. In alcuni casi abbiamo risposto direttamente ai critici. Se altre verranno risponderemo volentieri. Siamo totalmente aperti a dibatterete nel merito i risultati del nostro lavoro e a correggerli se necessario o a estendere lo studio se arrivano utili suggerimenti. Qui vogliamo rispondere a un altro tipo di critiche sollevate per lo più sulla stampa. Queste sono di due tipi:
1. la valutazione non è credibile perché è realizzata in collaborazione con la presidenza del Consiglio;
2. i dati della valutazione dovrebbero essere resi disponibili a tutti i ricercatori interessati e garantirne la replicabilità e quindi il controllo dei risultati.
Vediamole in ordine.
1. Noi abbiamo potuto condurre lo studio grazie ad una collaborazione con il Nucleo tecnico per il coordinamento della politica economica presso la presidenza del Consiglio. Lo scriviamo nella nota e scriviamo pure che è attraverso questa collaborazione che abbiamo potuto ottenere accesso ai dati necessari per effettuare lo studio. Non dovrebbe meravigliare che la presidenza del Consiglio abbia un interesse a capire se una politica varata dal governo – in questo caso la misura più impegnativa da un punto di vista finanziario decisa nel 2014 – abbia sortito effetti o meno. Il Nucleo ci ha lasciato del tutto liberi di lavorare, scegliere la metodologia, verificare i risultati. Una volta ottenute le stime, preliminari ma sufficientemente affidabili, abbiamo trasmesso i risultati al Nucleo e li abbiamo diffusi al pubblico. Avremmo operato nello stesso modo qualunque effetto avessimo stimato.
2. Noi stessi preferiremmo che i dati – tutti i dati – fossero sempre accessibili a tutti. Ma sappiamo che, non solo in Italia ma ovunque (sebbene forse in misura diversa) non tutti i dati sono immediatamente disponibili o disponibili a tutti. Spesso ci sono restrizioni su ciò che può essere ottenuto e su chi lo può ottenere. Poiché la presidenza del Consiglio fa parte del Sistema statistico nazionale, il Nucleo può utilizzare dati di cui non è proprietario (in questo caso dati di fonte Istat e Agenzia delle entrate) per perseguire le sue finalità istituzionali e verificare gli effetti di misure di policy. Ma non può deciderne autonomamente la diffusione al pubblico per motivi di privacy. Questo avviene abitualmente per tutte le istituzioni pubbliche che, per fini istituzionali, realizzano valutazioni empiriche. Ad esempio, alcune valutazioni sugli effetti del bonus sono state condotte dalla Banca d’Italia sulla sua indagine delle famiglie che ancora non è disponibile al pubblico e dall’Inps con dati non accessibili. Questo non toglie valore ai risultati di quegli studi.
Nota metodologica
Figura 1 – Distribuzione del bonus per livello di reddito annualegrafico
 
Tavola 1 – Effetto del bonus sulla spesa mensile per beni di consumo delle famiglie
Schermata 2015-09-05 alle 11.25.43
 La tavola mostra la stima fuzzy-rd dell’effetto del bonus sui livelli di spesa per consumi per varie categorie di beni (si veda l’appendice). La variabile bonus è una dummy=1 se la famiglia ha percepito il bonus (0 se non lo ha ricevuto) e si colloca intorno alla soglia di reddito da lavoro dipendente di 8.145 euro. La stima indica pertanto l’incremento in euro dei consumi tra i percettori del bonus rispetto ai non percettori con uguale reddito. La stima è basata sul campione di famiglie con un solo percettore di reddito tra i 1.000 e i 20mila euro. (*) significatività statistica al 10%, (**) al 5% e (***) all’1 per cento.
 
 

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  1. io

    Sarebbe interessante capire, al crescere del reddito, se sia aumentata la propensione al risparmio, seppur minimo. Ed in questo senso, se in un ottica di effetto consumo non sarebbe più interessante un assegno periodico da incassare in contante anziché il meccanismo della ritenuta http://www.nber.org/papers/w16246

  2. Andrea

    Studio molto interessante. Giusto una nota: la regression discontinuity dà un effetto locale intorno alla soglia (cioè l’impatto su una famiglia appena sopra gli 8.145 euro rispetto a una appena sotto) e non un effetto medio globale su tutti coloro che hanno ricevuto gli 80 euro. Si tratta di una questione un po’ tecnica, e forse pedante, ma determinante anche per le conclusioni di politiche pubbliche.

  3. Massimo GIANNINI

    Mi pare difficile dire che il bonus avrebbe contribuito a sostenere la crescita del PIL se è stato speso in alimenti e rimborso debiti. Infatti nel caso degli alimenti non si esplicita l’elasticità della domanda al reddito, ma normalmente oramai il reddito disponibile non è più elemento esplicativo del consumo alimentare. Inoltre é possibile che i consumi alimentari siano cresciuti semplicemente perché si sono ridotti i prezzi. Se invece il bonus è servito a rimborsare dei debiti l’impatto sulla crescita è praticamente zero e corrisponde a risparmio e non consumi. Dal punto di vista econometrico come avreste fatto ad isolare la variabile bonus da altre e stabilire la correlazione bonus-aumento consumi-PIL ? Mi pare lo studio molto di parte…

  4. Alessandro

    Sara’. Anche nel caso in cui l’impatto sulla crescita aggregata dei consumi e alla crescita del Pil siano stati effettivamente pari allo 0.5% allo 0.4%, l’intero impianto dell’operazione 80 euro continua a lasciarmi perplesso. Sia chiaro: ben venga qualsiasi manovra di sostegno alla domanda interna dopo 12 trimestri di consumi delle famiglie quasi allo stremo. Ma e’un’ovvieta’.Il problema e’che le risorse scarse di cui dispone lo Stato potevano essere allocate in maniera diversa, e forse gli stessi effetti macroeconomici potevano essere egualmente raggiunti, con effetti a mio modesto avviso piu’ «strutturali» (manca la controprova, ovviamente, ma sto solo facendo un’ipotesi alternativa). Senza dilungarmi troppo, rimando a un altro ottimo contributo della voce.info che sottoscrivo appieno : http://www.lavoce.info/archives/34433/contro-la-poverta-80-euro-non-bastano/ Inoltre, se e’vero che le famiglie hanno percepito il bonus di 80 euro come permamente, bisogna pero’ avere l’onesta’di dire che tale bonus “permanente” non sara’. E’vero che sara’confermato per il 2016 anche grazie al miglioramento della congiuntura economica, temporaneo e dovuto a fattori eccezionali, ma permanente significa altro (senza scomodare la teoria del ciclo vitale di Modigliani o l’equivalenza ricardiana). Cordiali Saluti

  5. Provo, da non statistico, a dire quel che ho capito che credo coincida con Andrea, nei commenti qua sopra (in maniera più tecnicamente corretta).
    Se lo studio considera le “frontiere” superiore e nferiore, in realtà più che degli “80 euro” studia gli effetti dei bonus sui redditi più bassi (per i quali il bonus ha un peso maggiore sul reddito totale) e sui più alti (ovvero per quelli che han ricevuto valori diversi da 80 euro). E non c’è nessuna ragione per generalizzare queste conclusioni alla platea dei fruitori.
    Insomma, dire che sia uno studio sugli “80 euro” (come fa il titolo) è, a voler essere buoni, forzato

  6. Paolo

    Non ho gli strumenti per valutare la bontà scientifica dello studio Gagliarducci/Guiso e questo articolo certamente non li fornisce certamente. Noto però che questo è l’unico studio che io conosca che giunge a tali conclusioni; nonostante ciò (o forse per ciò) ha avuto un grosso risalto nel sistema mediatico più popolare; cosa che non è avvenuta, invece, per altri studi che portavano a conclusioni diverse e di segno opposto. A tutto questo non credo che sia estraneo il fatto che lo studio è commissionato dalla Presidenza del Consiglio. Sono certo della buona fede degli autori (anche se mi piacerebbe leggerla attraverso i numeri dello studio), ma non posso trascurare il fatto che per tutto l’articolo,e ripetutametne, si parla di un provvedimento fiscale del Governo come di “bonus Renzi”. Troppa grazia, Sant’Antonio!

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