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Il prezzo della salute: tra nuovi farmaci e sostenibilità

Alcuni nuovi farmaci possono essere molto efficaci, ma anche molto costosi. È un problema legato ai limiti dei meccanismi di mercato quando applicati all’assistenza sanitaria. Come conciliare innovazione e sostenibilità in sanità. La ricerca pubblica e l’approccio “open access”

L’efficacia dei nuovi farmaci
La disponibilità di farmaci innovativi in diverse aree terapeutiche rappresenta una delle maggiori speranze nella cura di malattie a elevato impatto sanitario, sociale ed economico, ma, dati i loro prezzi elevati, anche una delle maggiori sfide alla sostenibilità dei sistemi sanitari.
L’accesso ai farmaci innovativi è oggetto di un nuovo report della sezione europea dell’Organizzazione mondiale della sanità, dove si afferma il concetto che il prezzo dei nuovi farmaci dovrebbe essere legato al loro valore aggiunto rispetto ai trattamenti disponibili e all’impatto sanitario. Ad esempio, è vivace il dibattito sull’opportunità di utilizzare alcuni farmaci antitumorali che hanno dimostrato modesti benefici clinici e che però incrementano la spesa sanitaria in modo molto rilevante, sia perché il loro costo è molto elevato (vedi tabella) – e spesso si aggiunge a quello dei trattamenti in corso – sia perché spesso vanno utilizzati in modo continuativo.
Nel caso invece di farmaci molto costosi, ma con un grande valore aggiunto, come quelli nuovi contro il virus dell’epatite C – che in molte categorie di pazienti hanno un tasso di eradicazione superiore al 90 per cento – il problema è come fare per offrire a tutti il trattamento: se pensiamo che il costo attuale è di alcune decine di migliaia di euro a paziente, e che in Italia sono diverse centinaia di migliaia le persone che potrebbero trarne vantaggio, è facile immaginare che, ai prezzi di oggi, servirebbero almeno una decina di miliardi (cioè una quota consistente dei 112 miliardi del Fondo sanitario nazionale).
Forse, si dovrebbe rinunciare all’acquisto di farmaci costosi, ma a basso valore aggiunto, proprio per indirizzare più risorse verso quelli con un rapporto costo-efficacia più favorevole. E a livello sovranazionale si dovrebbe riflettere sul sistema di attribuzione dei prezzi dei farmaci in rapporto al loro valore aggiunto e al loro grado di innovatività.
Nuove proposte per un’innovazione sostenibile
Il rapporto dell’Oms accenna al difficile equilibrio che i governi sono chiamati a cercare tra sostenibilità delle terapie, prezzi che incentivino l’innovazione e politiche industriali e occupazionali. Viene da domandarsi fino a che punto l’equilibrio debba essere rappresentato da un compromesso e cosa potrebbe essere fatto per incentivare l’accesso ai farmaci innovativi e la ricerca, considerato che l’entità degli investimenti in questo campo (secondo uno studio indipendente, il 13 per cento dei ricavi rispetto al 25 per cento destinato alle spese di marketing) può giustificare solo in parte prezzi molto elevati.
Esistono alcune proposte a livello internazionale su cui vale la pena ragionare.
In particolare, la ricerca pubblica potrebbe contribuire maggiormente allo sviluppo di nuovi farmaci, soprattutto a livello internazionale. Le università contribuiscono in modo consistente alla ricerca di base, ma quasi sempre cedono i loro risultati all’industria, che si fa poi carico delle fasi di sviluppo dei farmaci. Il settore pubblico potrebbe integrarsi con il settore privato attraverso partnership ad hoc (il cui successo dipende però dalla capacità di definire obiettivi comuni, di avere uguale potere decisionale e stesso controllo dei dati della ricerca) e, in prospettiva, potrebbe assumere direttamente la responsabilità di produrre ricerche di elevato impatto sanitario, ma che potrebbero rivelarsi poco interessanti per i privati.
A questo proposito, una risoluzione adottata nel 2013 dalla World Health Assembly in seno all’Oms invita gli Stati membri a promuovere un’azione coordinata nella ricerca dei farmaci, a definire le relative priorità in base ai bisogni sanitari e a individuare i meccanismi per il finanziamento comune. Per ora, esistono contributi economici volontari e sono in via di realizzazione progetti pilota per testare la fattibilità di un approccio comune “open-access”, che renda liberi da protezione brevettuale i prodotti e i dati della ricerca. Ciò potrebbe permettere la produzione dei farmaci attraverso l’acquisto (a basso costo) di una licenza e favorire la capacità di innovazione, incentivandola attraverso consistenti premi.
Un’ampia discussione su un approccio “open access” e sull’uso di premi nella ricerca farmacologica è in corso anche negli Stati Uniti, dove una proposta di legge ad hoc è in discussione al Senato. La proposta è sostenuta, tra gli altri, dal premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, che sottolinea come il sistema brevettuale possa essere molto inefficiente perché impedisce il libero utilizzo delle conoscenze – fondamentale per favorire l’innovazione – e perché rischia di incentivare la produzione di farmaci nuovi, ma non innovativi. Da noi, quest’idea è stata rilanciata da Silvio Garattini. Anche questo aspetto meriterebbe di essere approfondito a livello internazionale, per arrivare a iniziative comuni.
 
Tabella 1 – Costi per un anno di terapia con farmaci oncologici introdotti di recente e prescrivibili in ambito Ssn e miglioramento di alcuni esiti clinici (rispetto alle terapie di confronto usate negli studi registrativi). Adattato con i prezzi italiani da Mailankody and Prasad, Jama Oncology 2015.
 

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Farmaco (sede della neoplasia) Spesa aggiuntiva annuale (in euro)a Aumento della sopravvivenza (in mesi) Aumento del tempo senza progressione di malattia (in mesi)
Crizotinib (polmone)b 70.800 ND 4,7
Trastuzumab emtansine (seno) 56.460c 4,2 3,2
Bevacizumab (colon) 55.717de 1,3 1,7
Abiraterone (prostata) 41.719 5,2 ND
Afatinib (polmone)b 26.284 NS 4,2
Erlotinib (polmone)b 23.552 NS 5,2
Nab-paclitaxel (pancreas) 17.213f 1,8 ND

Nota:
a quando disponibili sono stati utilizzati i prezzi ex-factory (più bassi)
b tumore polmonare non a piccole cellule
c considerando un peso di 60 kg
d considerando un peso di 70 kg
e al dosaggio massimo
f considerando una superficie corporea di 1,73 m2
ND dato non disponibile
NS dato statisticamente non significativo

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Società in cerca di azzardo

  1. fabio

    Buonasera, pensavo che le varie chemioterapie fossero un grande inganno, ma i dati purtroppo sono spietati, aumento dell’ aspettativa di vita da 1 mese a 5 mesi, con una qualità della vita notevolmente inferiore a chi non fa chemio, costo annuo da 17.000 € a 70.000 €, chi è onesto intellettualmente e soprattutto libero da conflitti di interesse, sa che le chemio, sono solo a vantaggio per le società farmaceutiche. La prevenzione di tutte le malattie che affliggono le società avanzate e ci costano centinaia di mld all’anno, si potrebbe fare a costi bassissimi, il libro The China study di Campbell lo illustra molto bene. Per il momento pochi illuminati possono già beneficiari di salute benessere ed amore, senza prendere farmaci ed altri intrugli chimici.
    Grazie e buona serata

  2. Maria Rosaria Di Pietrantonio

    Una cosa che mi ha colpito in questi giorni è la pubblicità su giornali e varie reti televisive che “pubblicizza” la “malattia con la C”, riferendosi all’Epatite C, mi chiedo: che bisogno c’è di tale pubblicità? Chi paga per questa dispendiosa campagna? E’ una pubblicità fatta da Aifa (che in ogni caso deve dare il permesso per la pubblicità attraverso un suo comitato che ne controlla i contenuti), per sensibilizzare il pubblico al fatto che ora esiste una seppur costosa cura, e che tutti ne facessero una grande richiesta…oppure è una ditta produttrice o distributrice a proporla sempre per il solito scopo di ottenere una richiesta da parte della vasta platea di malati? Sembra che voglia sensibilizzare inoltre la gente a fare dei test per verificare se hanno contratto la C senza saperlo e quindi…si attivassero immediatamente a fare richiesta del costoso farmaco, in tutti i casi non è dato da sapere dove finisce l’etica e dove comincia la finanza del farmacoPer carità, il brevetto deve ripagare la ricerca, ma qui si entra in un campo “spaziale” fatto di numeri a tanti tanti zeri. Perché non bastano i medici o personale sanitario a informare i pazienti su questo farmaco, invece che una pubblicità in tv?Si possono convincere così meglio gli stati o le regioni ad acquistarne tante dosi? Comunque ogni volta che rivedo questa pubblicità sono un pochino più perplessa.

  3. Rick

    La tabella postata può dar luogo a gravi fraintendimenti.
    Quello di cui voi parlate non è l’aumento della sopravvivenza nel senso di “tempo medio restante prima di morire” ma nel senso di “sopravvivenza media libera da progressione”, cioè senza che la malattia peggiori. Inoltre fondamentale è anche la qualità della vita, in genere si usano indicatori come il quality-adjusted life expectancy”.
    Cito da qui: http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?approfondimento_id=2663
    “Dunque lo studio porrebbe il farmaco [crizotinib] come nuovo standard di cura per la popolazione di pazienti considerata. I dati dimostrano infatti che la sopravvivenza media libera da progressione risultava più che doppia nei pazienti trattati con crizotinib rispetto alla terapia standard: 7,7 mesi contro appena 3. La risposta complessiva al farmaco è stata del 65% per il primo farmaco contro il 20% nel campione di riferimento.

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