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Quando lo scialpinista incontra un cigno nero

L’eccesso di sicurezza nella propria capacità di valutazione espone a rischi dei quali non si è consapevoli. Un test condotto su un gruppo di scialpinisti documenta la possibile gravità del fenomeno. Che non riguarda solo la pratica di sport più o meno pericolosi, ma molti altri ambiti. 
Due definizioni e uno sport pericoloso
Si dice che è overconfident una persona convinta di sapere più di quanto effettivamente sappia. E l’overconfidence è considerata la come possibile spiegazione di vari errori decisionali, dalle bolle di mercato ai collassi finanziari, dai fallimenti di politiche pubbliche allo scoppio di guerre devastanti. Un “cigno nero”, invece, secondo la definizione che ne ha dato Nassim Nicholas Taleb, è un evento a bassissima probabilità di accadimento e dalle conseguenze potenzialmente drammatiche.
Un ambito ideale per verificare cosa succede quando un soggetto overconfident ha a che fare con i cigni neri è lo scialpinismo. Si tratta infatti di un’attività esposta al rischio di valanghe – nella stragrande maggioranza dei casi staccate dallo stesso scialpinista che ne rimane travolto e spesso ucciso – e presenta tutte le caratteristiche identificate dalla letteratura scientifica come rilevanti per l’insorgere di decisioni influenzate dall’overconfidence.
In primo luogo, l’evidenza oggettiva disponibile allo scialpinista è molto generale e ha la forma di bollettini nivo-meteo che forniscono le condizioni prevalenti in un’ampia area. Ne consegue che in larga misura la decisione (se esporsi o meno al rischio valanga) è basata sulla valutazione soggettiva dello scialpinista, non sull’evidenza oggettiva. E dunque – questo è il punto critico – il grado di sicurezza dello scialpinista nella sua capacità di giudizio gioca un ruolo decisivo.
In secondo luogo, dato che l’incidente da valanga è un evento raro, il singolo scialpinista generalmente non ne ha esperienza diretta. Vale a dire che al singolo scialpinista manca il riscontro sulle sue decisioni passate, che gli consentirebbe di correggere le sue regole decisionali (senza contare che quando il feedback arriva, gli è spesso fatale).
Infine, il fatto che l’incidente da valanga sia un evento raro può indurre lo scialpinista a non considerarlo nel novero di quelli possibili.
Test in alta quota
Il test che abbiamo condotto, voluto e finanziato dall’Accademia della montagna del Trentino, ha coinvolto 275 volontari praticanti lo scialpinismo nel Nord Est d’Italia.
Oltre a rilevare alcune loro caratteristiche personali e relative al loro modo di praticare lo scialpinismo, abbiamo proposto tre gite di difficoltà crescente – da MSA a OSA della scala Blachère – molto note tra i praticanti dell’area e tre distinti scenari nivo-meteo caratterizzati da un grado di pericolo valanghe crescente – da livello 2 a livello 4 della scala europea di pericolo valanghe. Per ognuna delle nove combinazioni risultanti è stato chiesto agli intervistati se sarebbero stati disponibili a intraprendere la gita. Infine, è stato misurato il loro grado di overconfidence e di propensione al rischio, ricorrendo a strumenti standard tratti dalla letteratura psicometrica.
L’effetto dei punteggi di overconfidence e di propensione al rischio sulla decisione di intraprendere le gite proposte nelle condizioni descritte dal bollettino nivo-meteo è stato misurato facendo uso di una regressione logistica, controllando per le altre caratteristiche personali e della montagna.
I risultati dell’analisi sono così riassumibili. A parità di altre caratteristiche dello scialpinista e della montagna, una variazione di overconfidence dal minimo al massimo punteggio osservato nel nostro campione comporta una variazione della probabilità di intraprendere la gita pari a 0.5.
Ricorrendo a risultati noti in letteratura sulla variazione della probabilità di staccare una valanga al variare dell’indice di pericolo, il nostro risultato implica che a parità delle altre condizioni, un overconfident nella coda destra della distribuzione sottostima della metà la probabilità di incorrere in un incidente da valanga rispetto a un underconfident nella coda sinistra della distribuzione. Si espone cioè a una probabilità di incidente da valanga doppia rispetto a quanto lui creda.
Anche la propensione al rischio ha un effetto rilevante sulla probabilità di intraprendere la gita. Ma per comparare correttamente i due effetti serve tenere conto di una fondamentale differenza. Gli scialpinisti – e più in generale gli alpinisti – sono consapevoli, e accettano, di svolgere un’attività che li espone a rischi. Vale a dire, sono consapevoli di essere propensi al rischio. Invece sono del tutto inconsapevoli del loro grado di overconfidence e di quanto questo influisca sulle loro decisioni.
Ne consegue che i soggetti overconfident risultano esposti al cigno nero con una probabilità più elevata di quella che credono.

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  1. zipperle

    sembra che tra gli scialpinisti la psicologia cognitiva si stia diffondendo da qualche anno
    http://www.fuorivia.com/forum/viewtopic.php?f=12&t=24001&p=985636&hilit=+economista#p985636

  2. Massimo Antichi

    Condurre questo tipo di analisi che possono apparire in prima battuta scollegate dai temi della politica economica invece ci dicono molto rispetto a quello che gli individui singoli come i governi dovrebbero fare per coprirsi dagli effetti devastanti dei “cigni neri”. Pensiamo, ad esempio, all’incidente nucleare di Fukushima. Una overconfidence sulla capacità di tenuta delle barriere a protezione dalle onde anomale portò a ritenere improbabili onde superiori a 6,5 mt. Peccato che lo tsunami portò le onde a 14 mt con la conseguenza di mandare in tilt gli impianti elettrici di raffreddamento del “nocciolo”. L’overconfidence portò a rendere fragile l’impianto. Sarebbe bastato proteggersi in assoluto dagli effetti dell’acqua e non fidarsi della distribuzione di probabilità empirica delle altezze delle onde anomale per rendere antifragile l’impianto. Il decisore pubblico o privato deve diffidare dalle sue capacità previsionali e proteggersi dagli eventi ritenuti improbabili. Naturalmente c’è un problema di costi che i privati non possono affrontare da soli e qui dovrebbero intervenire i governi nazionali. Per cui un plauso agli autori di questa ricerca.

    • Fukushima fu causata dal blocco del sistema ausiliario di raffreddamento, che raggiunto dall’acqua andò in blocco, da cui la reazione a catena. Il rischio viene stimato come prob x conseguenza, ma se la probabilità eè bassissima, come nel caso allora il sistema di valutazione collassa, cioè lo schema non funziona quando ci si avvicina all’asintoto della funzione. Occorre definire un altro tipo di metodologia che usi un tipo diverso di misure, per esempio non addititive o fuzzy o processi di scomposizone della misura (probabilità) del tipo Yosida-Hewitt. Le cose non sono semlici e la soluzione non è quella di mettere un po’ più di ferro e cemento nei piloni o di alzare di un metro la collocazione dei generatori, anche se ex-post può apparire sufficiente.

  3. Confondere un evento incerto, cioè caratterizzato da un intervallo di probabilità, con un cigno nero, cioè con un evento estremo, non mi sembra un buon punto di partenza. Esistono bollettini delle valanghe che definiscono la probabilità su una scala da debole a moto forte (es. AINEVA). Un evento estremo come Katrina o Fukushima ha caratteristiche completamente diverse.
    Overconfident è un fenomeno ben noto ed esiste unìestesa letteratura sull’argomento (es Camerer) e caratterizza un fenomeno diverso dalla stima dell’affidabilità delle distribuzioni che rimanda all’attitudine all’incertezza. Quello che descrivono gli autori è la stima dell’affidabilità del bollettino delle valanghe, che esprime l’attitudine all’incerteza, che come nota ha a che fare con la probabilità e non con la forma della funzione dell’utilitò come nel caso del rischio. In conclusione l’esperimento mostra che l’attitudine all’incertezza è diversa dall’attitudine al rischio e che va considerata anche in casi, come quelli descritti, in cui non si tratta di eventi estremi o cigni neri.

  4. Carlo Bonadonna

    la sottovalutazione dei rischi a fronte di una forte motivazione (fare una gita è altamente motivante, oppure l’azienda è mia) è un problema, tanto quanto la sopravvalutazione dei rischi (l’azienda non si muove più e.. la pancia cresce)
    come possiamo approfondire il tema ?

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