Abbiamo letto l’interessante articolo di Antonio Massarutto, pubblicato su lavoce.info il 31 marzo. E oltre a ringraziarlo per gli apprezzamenti, vorremmo fornire alcune informazioni e chiarimenti sul lavoro svolto e in corso in Istat per fornire informazioni statistiche pertinenti e di qualità sul ciclo dell’acqua.

Il Focus, un primo passo
Sottoscriviamo quanto Massarutto sostiene, ovvero che produrre gli indicatori sulle risorse idriche naturali solo su base annua – come avvenuto nel Focus “Le statistiche dell’Istat sull’acqua” e nelle tavole di dati sulla valutazione delle risorse idriche naturali – è un grande passo in avanti ma non basta. Per individuare le fasi di maggiore criticità dei corpi idrici (superficiali e sotterranei) concordiamo che sarebbe ancora più utile avere a disposizione informazioni anche con un riferimento stagionale e mensile. In Istat, stiamo operando per essere in grado di programmare a breve alcune diffusioni con un maggiore dettaglio anche sotto il profilo temporale.
Nonostante ciò, il Focus segna una tappa importante del percorso verso un sistema unico standardizzato di qualità sulle risorse idriche del nostro paese. È, infatti, l’esito di una complessa attività di rilevazione e costruzione di dati e integrazione di archivi disponibili avviata da tempo con lo scopo di colmare il gap informativo esistente sulla valutazione delle risorse idriche rinnovabili. Inoltre, per garantire un sistema di sempre maggiore qualità sono stati avviati, in questi anni, importanti momenti di confronto con le autorità di bacino nazionali e con le regioni. Sempre in questo mainstream, l’Istat ha promosso tavoli di lavoro anche con Aeegsi, Ispra, regioni, Mattm. Le difficoltà maggiori riscontrate sono l’elevata differenziazione dei sistemi informativi meteoclimatici e idrologici dei gestori delle reti nazionali, regionali e locali. L’obiettivo è di condividere, migliorare e utilizzare i risultati prodotti, ma anche di organizzare e ottimizzare l’aggiornamento delle banche dati. Non bisogna dimenticare che tali informazioni, richieste periodicamente da Eurostat e Ocse su scala nazionale e a livello di distretto idrografico, rivestono una notevole importanza per chi si occupa di programmazione e gestione del territorio.
Un ulteriore passo è stato la pubblicazione del portale dell’acqua (http://www.acqua.gov.it/), realizzato in collaborazione con la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche. Offre una notevole quantità d’informazioni con dettaglio territoriale molto fine, supportati da un sistema cartografico: dai dati sulle risorse idriche naturali a quelli del censimento delle acque per uso civile; dalla situazione delle infrazioni comunitarie sulla raccolta e il trattamento delle acque reflue urbane all’elenco dei gestori dei servizi di distribuzione, fognatura e depurazione, fornito per la prima volta a livello comunale.
Le ricerche di oggi e di domani
Oltre alla valutazione delle risorse idriche naturali, l’Istat dedica attenzione all’analisi delle pressioni, generalmente individuate, nelle componenti civile, industriale e agricola.
Per quanto riguarda gli usi civili dell’acqua, l’ultimo censimento, riferito all’anno 2012, ha reso disponibili informazioni che vanno dal prelievo per uso potabile alla depurazione delle acque reflue urbane. Le modalità di acquisizione, controllo e validazione del dato, la ricerca di una standardizzazione dei quesiti rilevanti e l’esperienza acquisita nelle rilevazioni censuarie consentono oggi di ricostruire con un elevato livello di affidabilità anche le situazioni più complesse. Ad esempio, i dati sulle dispersioni di rete, calcolate a partire dai volumi immessi ed erogati, e sulla capacità depurativa degli impianti. Si tratta di informazioni utili per la valutazione della performance del servizio e dell’impatto su ambiente e cittadini. Le dispersioni di acqua per uso potabile, dovute anche alla riduzione degli investimenti nelle infrastrutture idriche, negli anni continuano ad aumentare e in alcune aree del paese potrebbero diventare insostenibili.
Passando ai prelievi e consumi di acqua nel settore agricolo, con il 6° Censimento generale dell’agricoltura sono stati ottenuti i primi risultati sui volumi irrigui (11,1 miliardi di metri cubi) impiegati esclusivamente per l’irrigazione. Questo dato non è direttamente confrontabile con il volume di acqua prelevata per uso civile (9,5 miliardi di metri cubi). La stima complessiva deve, infatti, tener conto anche dei volumi dispersi e di quelli prelevati per uso zootecnico. Ulteriori rilevazioni in corso permetteranno di arricchire la serie storica, migliorare le stime e aggiungere nuovi indicatori, strumentali a alla conoscenza del fenomeno.
Infine, per colmare il vuoto informativo sull’uso dell’acqua legato alla produzione industriale e a quella dell’energia elettrica, l’Istat sta sviluppando specifici modelli di stima, partendo da informazioni acquisite attraverso le diverse rilevazioni sulle imprese. L’utilizzo degli archivi delle concessioni per i prelievi d’acqua non si è, finora, dimostrato idoneo per lo sviluppo di statistiche solide sul tema.
In Istat siamo consapevoli che migliorare, condividere e uniformare l’assetto definitorio del ciclo dell’acqua è cruciale per mettere a punto scenari in grado di garantire un futuro al paese in cui viviamo.
Angela Ferruzza e Stefano Tersigni – Istat
* Servizio Stato dell’ambiente, Istituto nazionale di statistica (Istat)
 
La risposta dell’autore
Ringrazio Angela Ferruzza e Stefano Tersigni per le utili precisazioni. Spero che nessuno abbia letto nel mio articolo una critica al loro lavoro, che ritengo preziosissimo; ho semmai cercato di dar conto dei grandi progressi compiuti negli ultimi 15 anni, e indicato alcune direzioni lungo le quali secondo me si dovrebbero concentrare i futuri sviluppi. Solo un’osservazione in merito ai prelievi agricoli – punto che è stato sollevato anche da un lettore. Il puro e semplice confronto con i prelievi ad uso potabile è certamente fuorviante, e mi scuso per l’accostamento un po’ forzato. Tuttavia mi sembra degno di nota – e mi meraviglio che il rapporto Istat non l’abbia adeguatamente messo in evidenza – che queste stime ridimensionano in modo drastico il peso dell’irrigazione nella contabilità degli usi. Ricordo che al tempo del glorioso studio dell’Irsa-Cnr “Un futuro per l’acqua in Italia”, cui ho contribuito, le stime si aggiravano ancora su valori circa doppi (e si trattava di stime di utilizzi finali, non di prelievi, che all’epoca nessuno era in grado di quantificare). Era il 1999, dunque non un secolo fa.
Molto ci sarebbe poi da discutere circa il modo con cui vengono contabilizzati gli usi, semplicemente accostando e poi sommando l’acqua usata dai vari settori e punti di prelievo, senza considerare la natura ciclica e fluente della risorsa. Come se l’acqua usata dalle centrali idroelettriche in montagna non fosse la stessa che poi va ad immagazzinarsi nei grandi laghi per rifornire le reti irrigue; o come se l’acqua usata dalle risaie in primavera fosse concorrente con quella usata dal mais in estate. Istat fa bene a ricordare che in questo è vincolato dagli standard internazionali: ma ciò non toglie che una simile contabilità, più adatta alle risorse non rinnovabili che a quelle rinnovabili, favorisce un’errata percezione dei problemi da parte dell’opinione pubblica e dei policymaker, come testimonia l’attenzione spasmodica, e per molti versi sproporzionata, che viene dedicata al tema delle perdite: acqua che in molti casi non fa altro che infiltrarsi in falda, contribuendo positivamente al bilancio idrico, e non certo sottraendo il prezioso “oro blu” ad altre destinazioni.

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