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Così il Jobs act cambia la struttura dei salari

Per i neo-assunti di oggi, l’abolizione del reintegro avrà effetti anche sulla struttura del salario. In particolare sulla sua crescita con l’età del lavoratore e sul rapporto con la produttività. Con l’indennizzo certo, i più anziani saranno più facilmente sostituibili con lavoratori giovani.
ETÀ E PRODUTTIVITÀ DEL LAVORATORE
Con il Jobs Act si è passati da un regime di tutela reale a un regime di tutela indennitaria. Ovvero la possibilità del reintegro è stata abolita praticamente per tutti i tipi di licenziamento ed è stata sostituita con un indennizzo monetario di entità certa. Questo vale solo per i nuovi assunti e non per i lavoratori di oggi che godono del vecchio regime. Il lavoratore licenziato ha la possibilità di optare per la conciliazione rapida, un meccanismo simile a quello in vigore in Germania che serve per limitare al massimo il contenzioso. Se il lavoratore sceglie questa alternativa riceve un mese di retribuzione per ogni anno di anzianità, con un minimo di 2 mesi e un massimo di 18: cioè se ha più di 18 anni di anzianità lavorativa, riceve 18 mensilità (esenti da tasse). Quando c’era il deterrente del reintegro, un lavoratore poteva essere pagato anche molto al di sopra della sua produttività senza poter essere facilmente licenziato. Ma ora, se il salario è nettamente superiore alla produttività del lavoratore (e non può essere ricontrattato), all’azienda può convenire pagare l’indennizzo monetario previsto per il licenziamento e sostituire il lavoratore – magari più anziano e meno produttivo – con uno più giovane e più produttivo. Se negli anni a venire un lavoratore anziano sarà pagato molto più della sua produttività rischierà di essere licenziato.
LA TABELLA DEI RISPARMI
Nella tabella sottostante abbiamo calcolato per diverse anzianità lavorative quale dovrebbe essere il risparmio sul costo del lavoro che giustificherebbe il licenziamento del lavoratore “anziano” e la sua sostituzione con uno più giovane e meno costoso. Utilizziamo gli indennizzi previsti dalla procedura di conciliazione. Prendiamo il caso di un lavoratore di 50 anni (cui mancano quindi 17 anni dalla pensione) che abbia 18 anni o più di anzianità di servizio e venga licenziato. Nella procedura di conciliazione rapida, al lavoratore sarebbero pagati 18 mesi di indennizzo. L’azienda può recuperare questa somma assumendo al suo posto un lavoratore più giovane per tutti i 17 anni seguenti? E quanto deve costare meno il lavoratore più giovane per rendere conveniente la sostituzione? Siccome non sappiamo esattamente di quanto un lavoratore anziano sia più o meno produttivo di un lavoratore più giovane, facciamo due ipotesi: pari produttività o produttività inferiore del 10 per cento.

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 Tabella 1

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La tabella si legge così. La riga indicata con 0% si riferisce a lavoratori con pari produttività: al datore di lavoro conviene sostituire il lavoratore di 50 anni con uno giovane se quest’ultimo costa almeno il 7,07 per cento in meno. Ma se i lavoratori anziani sono meno produttivi dei giovani, tutto cambia in peggio. Se il lavoratore anziano è del 10 per cento meno produttivo del giovane (prima riga), converrebbe sostituirlo a 50 anni con un lavoratore più giovane anche se il giovane dovesse costare il 2,93 per cento in più all’anno: l’azienda risparmierebbe per tanti anni i salari alti di un lavoratore poco produttivo.
UNA STRUTTURA DA CAMBIARE
Il ragionamento mette in luce come, con il nuovo sistema di indennizzo monetario, non sia sostenibile la struttura di salario sempre crescente con l’età tipica dell’Italia, mentre in altri paesi il salario medio dei lavoratori inizia a calare verso i 45-50 anni, per tenere il passo con la produttività.
La figura 1 è prodotta con i dati Eusilc sui lavoratori dipendenti a tempo pieno. Mentre in Francia e Germania i salari (che in media sono più alti che in Italia) iniziano a calare verso i 45 anni di età, in Italia i lavoratori dipendenti  mantengono approssimativamente lo stesso salario dai 45 ai 65 anni. Se a un salario alto in età avanzata non corrisponde una produttività equivalente, i lavoratori anziani italiani sono a rischio licenziamento. Non gli anziani di oggi, che sono ancora protetti dal vecchio regime, ma quelli di domani, che entrano nel mercato del lavoro con le nuove regole.

Figura 1

leonardi2Fonte: Dati EUSILC 2012

È evidente che la struttura delle retribuzioni attuale, che prevede una crescita graduale attraverso scatti di anzianità e promozioni previste contrattualmente fino alla tarda età, non potrà persistere in futuro. Oggi esiste una sorta di patto generazionale tra il datore di lavoro e i lavoratori, dove questi ultimi accettano un minore salario iniziale in cambio di una crescita graduale e con la promessa implicita di non essere licenziati nel momento in cui la propria produttività non giustificherà più totalmente il differenziale di salario rispetto a lavoratori più giovani. Con il sistema previsto dal Jobs Act, la promessa implicita in questa struttura contrattuale viene meno e con l’introduzione degli indennizzi dovrà cambiare gradualmente anche la struttura dei salari per avvicinarsi a quella dei nostri vicini europei.

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14 commenti

  1. andrea

    Consentitemi un giudizio un po’ forte, ma si usa Nell’articolo un livello di mercificazione del lavoro e delle persone che non condivido per nulla. Se tutte le aziende ragionassero così i padri non riuscirebbero a mantenere i figli. Chi riesce a farsi una famiglia dopo il precariato fino a 30 anni e la decrescita dai 45?

    • ABBEFED

      La convenienza al licenziamento di un lavoratore anziano non tiene debito conto della necessità di dover investire nella formazione di un giovane e dell’investimento perso quando si licenzia un dipendente anziano ed esperto.
      Pertanto non è sufficiente tener conto esclusivamente del risparmio economico e salariale legato al licenziamento, in caso di calo di produttività.

    • Hk

      Concordo che può non essere piacevole, ma è la realtà. Questa è una anomalia. In tutta la storia del mondo gli anziani producevano e guadagnavano via via di meno. Invece di indignarsi perché non provare ad affrontare il problema?

    • Massimo

      Il giudizio del cortese Sig.Andrea è sin troppo delicato. A volte anche ai neoliberali capita di essere sinceri, come in questo caso, ed allora il modello sociale che hanno in mente (sfrondato dalla glassa mediatica) compare in tutta la sua luce sinistra: un penitenziario dove ai galeotti anziani viene ridotta progressivamente la razione, secondo accurati calcoli di ottimi economisti.Sui prevedibili effetti futuri di tale modello rinvio a quanto già detto -bene- da altri commentatori: aggiungo solo la matematica eliminazione del ceto medio impiegatizio-dirigenziale, vero bersaglio della Controriforma liberale.Non mi preoccuperei molto per il mantenimento dei figli: chi vuole ancora mettere al mondo prigionieri per un simile carcere?

      • Francesco Iacometti

        Capisco che è necessario definire dei valori di riferimento per poter fare questo ragionamento, ma le conclusioni nascono da un dato poco veritiero del mercato del lavoro italiano: quanti giovani oggi a 26 anni hanno un contratto di lavoro con versamento di contributi da parte del datore ? ad esempio nella PPAA su un totale di circa 3,5 mln sono pochi gli assunti con meno di 30 anni … ciò significa che l’inizio del pagamento dei contributi slitterà in avanti e di conseguenza l’età della pensione slitterà facilmente oltre i 70 anni con ripercussioni molto più negative di quelle proposte e senza tener conto dei futuri ricalcoli dell’aspettativa di vita che aumenteranno ulteriormente l’età pensionabile

  2. Pif

    Mi sorprende che un sito come la voce pubblichi un analisi così settaria e microeconomica. La realtà è che in tutti i paesi occidentali negli ultimi 30 anni la crescita dei salari è stata inferiore alla crescita della produttività del lavoro con conseguente diminuzione della quota salari (vedi il prezzo della diseguaglianza di Stiglitz) che ha come conseguenza una flessione dei consumi e della domanda effettiva. Se si deve fare della analisi bisogna considerare i costi complessivi , ovvero anche quelli sociali, più disoccupati 50-enni i significa ancor meno consumi e maggiori spese sociali in sussidi e inoltre minor contributi pensionistici. Come società nel complesso magari diminuirei i costi di contribuzione con l’età per evitare licenziamenti di massa.Inoltre di fatto mi pare che in Italia appunto la limitazione degli stipendi ci sia già stata magari sarebbe meglio legarla in maniera maggiore alla produttività.

  3. Gianalberto Masiero

    Vi chiedo: chi vorrà più assumere i lavoratori più anziani che hanno produttività in costante calo? Che impatto sociale può avere questa dinamica? Nei paesi dove è presente come risolvono questo conflitto generazionale? È preservata la dignità della persona?
    Grazie

  4. Gianni

    Seguendo il ragionamento dei due autori, l’azienda avrà convenienza nel licenziare il 55enne ed assumere il 26enne grazie al Jobs Act. Mi chiedo: qual è il vantaggio di tale manovra dal punto di vista sociale, dato che il disoccupato 26enne verrebbe di fatto “sostituito” dal nuovo disoccupato 55enne?
    A mio parere, una manovra del genere avrebbe un impatto potenzialmente positivo solo all’interno di un’economia in crescita, dove, a fronte di una maggiore domanda di beni e servizi, è corretto porre una maggiore attenzione sul livello di produttività del lavoro anzichè sul numero di disoccupati. Viceversa, con un tasso di disoccupazione al 13.5% ed una crescita del reddito nazionale risibile, questo provvedimento appare meramente come uno strumento a disposizione delle sole imprese finalizzato ad aumentare la loro profittabilità, a fronte di un travaso di disoccupazione generazionale.

  5. Hk

    Innanzitutto un ringraziamento agli autori per aver posto all’attenzione il tema. Tema che andrebbe considerato con estrema attenzione visto che impatta sul destino di tutti. E’ un peccato trattarlo con pregiudizi ideologici. E’ un fatto quello che i relatori pongono aggravato in Italia dal ritardo con cui di entra nel mercato del lavoro rispetto al passato. Mentre aumenta il periodo lavorativi post picco di efficienza a causa dell’aumento dell’età pensionabile. Tutto ciò rende incongruente l’attuale sistema retributivo. Penalizza le famiglie che sono nel picco delle spese e favorisce coloro che per un diritto di anzianità autoproclamato si trovano in una fase di minor fabbisogno oggettivo. Se rendere evidente questa problematica significa essere neoliberisti beh allora diventerò neoliberista.

    • Enrico

      HK, sono d’accordo con lei.
      Trovo che vi sia un’incongruenza di fondo tra molte delle opinioni espresse nei commenti precedenti e l’esperienza quotidiana e ritengo sia fondamentalmente viziata dalla categoria di appartenenza.
      Mi spiego meglio, quando si parla di stipendio si tratta la questione come se fosse assolutamente naturale il mantenimento (e magari l’aumento) a prescindere. Ma è davvero così? Quando chiamano ad es. un imbianchino, valutano il prezzo in base al fatto che l’imbianchino ha famiglia, deve matenere i figli, ha una certa età e quindi è giusto pagarlo di più……? Se non lo fanno, perchè un’impresa dovrebbe fare diversamente? un 55-enne che scalda la sedia tutto il giorno con uno stipendio doppio di un 30-enne che si fa 60 ore a settimana (magari da “scopino” a quello piu anziano) lo trovate etico?

  6. Fla

    Al Peterson Institute sono convinti del contrario http://blogs.piie.com/realtime/?p=4700 . Inoltre, mi chiedo, è più produttivo un giovane da formare oppure un “anziano” ma esperto? Quale dei due utilizzerà i metodi migliori per un prodotto finito di qualità in tempi ristretti? Tutto ciò per dire che se mando a casa l’anziano per il giovane, rischio anche di mandare all’aria tutta la mia struttura di conoscenza e passaggio esperienza interna all’azienda. Il lavoratore è molto più di un salario. E’ un cervello che può istruire altri cervelli. Ricordiamocelo prima di mandare all’aria anni di esperienza.

    • Enrico

      Concordo, ma dipende fortemente dall’attività della singola azienda.
      Il punto importante è che siano dati gli strumenti, poi ogni azienda li utilizzerà per massimizzare il rpoprio business.
      Aziende basate fortemente sulla competenza ovviamente ne faranno un uso limitato proprio perchè, come dice lei, non conviene disfarsi di una lavoratore anziano e con espereinza e competenze; al contrario, un’azienda basata sulla produzione fisica tenderà probabilmente a rimpiazzare i lavoratori piu anziani.

    • Tellus

      Mi sembra che l’autore non tenga conto nella sua valutazione di due aspetti molto importanti: Uno è stato già evidenziato da diversi interventi e che cioè maggiori retribuzioni nel tempo , in un azienda sana, corrispondono a maggiori competenze e quindi maggiore produttività .Oltretutto la maggior parte dei CCNL stanno eliminando gli scatti di anzianità e gli altri automatismi contrattuali svincolati dalla professionalità.
      L’altro aspetto fondamentale è che il licenziamento per età è palesemente discriminatorio. Quindi il lavoratore sostituito da uno più giovane avrebbe facile gioco in tribunale a dimostrare la discriminazione e quindi ottenere, anche in base al jobs act , il reintegro.

      • Alberto

        Se l’azienda utilizza il licenziamento nei confronti di un lavoratore di 55 anni giustificando la scelta in termini economici (minore produttività) non si tratta affatto di discriminazione..anzi questa sarà la prassi in tutte le aziende in cui i lavoratori andando avanti con gli anni non acquisiscono una significativa professionalità/specializzazione

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