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BUONA ACQUA A TUTTI

Il 22 marzo è la Giornata mondiale per l’acqua. Dovrebbe essere un’occasione per riflettere sui risultati raggiunti e su quell che restano ancora da fare per garantire a tutta l’umanità questo diritto universale, come proclamato dalle Nazioni Unite. Per il cosiddetto mondo sviluppato dovrebbe essere un’occasione per valutare la capacità di riequilibrare un sistema ecologicamente insostenibile. In Italia, invece, dopo il referendum tutto è fermo: dibattito e investimenti. Un dossier sull’argomento.

Il 22 marzo si celebra, dal 1992, la Giornata mondiale per l’acqua. Dovrebbe essere un’occasione per riflettere sui risultati raggiunti e sulla strada che ancora separa l’umanità dalla speranza di dare concretezza a quel “diritto universale” che le Nazioni Unite hanno solennemente proclamato. Per noi abitanti del cosiddetto mondo sviluppato, che certi diritti li abbiamo già conquistati, dovrebbe essere anche un’occasione per valutare la capacità di riequilibrare un sistema dissipativo ed ecologicamente insostenibile,facendo pace con i nostri fiumi.
E invece eccoci qua: come in un eterno gioco dell’oca, fermi alla casella di partenza. Con malinconia scorro gli articoli pubblicati in questi anni da lavoce.info e raccolti in questo dossier, potrebbero essere riscritti oggi, tali e quali.

L’OCCASIONE PERSA

Il referendum poteva essere un’occasione per un salto di qualità nel discorso pubblico. Per fare il tagliando a una riforma che, dopo diciotto anni, rivela vistose lacune che ne hanno frenato la spinta modernizzatrice. Per promuovere un’acculturazione di massa intorno a un tema conosciuto solo per sentito dire. Per rimettere mano a un sistema di regolazione sgangherato, reimpostandolo su nuove basi, nel rispetto dei paletti che il voto ha affermato (e dei vincoli entro cui, comunque, ci si deve muovere): primato del servizio pubblico sulla logica commerciale (con il vincolo di assicurare una gestione adeguata sul piano industriale), pari dignità per le gestioni pubbliche (con il vincolo che ogni gestione, pubblica o privata, deve avere i conti in equilibrio e garantire l’efficienza), assenza di orientamento al profitto (che però non esime dalla copertura dei costi finanziari).
Siamo invece ancora fermi alle guerre di religione, prigionieri degli slogan urlati, incapaci di uscire dallo schema tribale dell’amico-nemico. Un po’ per colpa del manicheismo referendario, un po’ per colpa di una tecnocrazia barricata nella stanza dei bottoni e indispettita dalla solenne manifestazione di sfiducia che il popolo sovrano le ha riservato.
Chi ha perso ha il dovere di rispettare il voto, evitando furberie tese a far rientrare dalla finestra i principi che il referendum ha bocciato, anche quando (come nel caso del sottoscritto) non si riconosce nelle motivazioni di quel voto o nei modi con cui ci si è giunti. È la democrazia, bellezza.
Chi ha vinto avrebbe però almeno il dovere di proporre alternative praticabili: siamo invece ancora a commentare trovate di finanza creativa ispirate non si sa se da Bernie Madoff o da qualche ex ministro greco, a invocazioni di deroghe al patto di stabilità condite con improperi contro le “banke” e il “kapitale”, a vagheggiare finanziamenti dalla Cassa depositi e prestiti (non è chiaro se prevedendone il rimborso, oppure ipotizzando una rapina a mano armata). Nulla che stia in piedi nemmeno con le stampelle. Nell’Italia che ancora si deve riprendere dallo shock estivo dello spread, c’è ancora chi pensa che in fiscalità ci sia spazio per qualche miliardo di euro all’anno da destinare all’acqua. Come se la finanza pubblica fosse gratis, e non, a sua volta, denaro sottratto dalle tasche dei cittadini; e come se l’esperienza passata non avesse insegnato nulla, quando, dagli anni Ottanta in poi, gli investimenti sono precipitati precisamente perché la finanza pubblica, alle prese con il vincolo di bilancio, li aveva relegati in fondo alla lista delle priorità.
A otto mesi dal voto, vincitori e vinti si guardano ancora in cagnesco. Nessuno esce allo scoperto con proposte che la controparte certamente sforacchierebbe di mitragliate. Più che una pace, una tregua armata. E dunque, come era prevedibile, tutto si è bloccato un’altra volta.

INVESTIMENTI NECESSARI

Gli investimenti, ripartiti a stento nel decennio trascorso, sono nuovamente fermi. Le banche, già prima scettiche sulla sostenibilità finanziaria delle gestioni, sono ora terrorizzate al punto che nessuno ha più concesso al settore idrico un solo centesimo di maggiore credito, e anche per le linee già aperte i tassi sono aumentati, ben oltre quel 7 per cento che si è voluto additare al ludibrio pubblico come il lucro di chi specula sulla sete. I gestori vivono alla giornata, limitandosi all’ordinaria amministrazione, mentre già fioccano le sforbiciate al loro rating. Il debito sotterraneo contratto con le generazioni future si allarga ogni giorno.
Un quarto degli scarichi non è ancora in regola con le direttive europee del 1991 e le prime multe stanno arrivando. Nemmeno la metà dei nostri fiumi oggi raggiunge il “buono stato ecologico”. Entro il 2015 non raggiungeremo certo l’obiettivo, ma se continuiamo così non riusciremo neppure a produrre uno stato di avanzamento dei lavori che ci permetta di invocare clemenza per il ritardo.
Il riassetto di competenze deciso nel decreto “salva Italia” procede a rilento, in attesa del Dpcm attuativo che dovrebbe stabilire chi farà che cosa; già nella bozza che circola si preannuncia l’ennesimo pasticcio, con competenze segate a metà tra Aeeg (competente in materia di tariffe) e ministero dell’Ambiente, che manterrebbe il potere di approvare i piani d’ambito e le loro revisioni, oltre che dettare legge in tema di qualità del servizio. Come dire, da una parte un corpo senza testa, dall’altra una testa senza corpo: neanche se al governo, al posto dei professori, ci fosse Dario Argento.
Infuria la discussione su cosa significhi davvero il voto rispetto alla remunerazione del capitale investito. Qualcuno è disposto ad ammettere gli interessi sui debiti, ma non il capitale proprio: ma cosa fare con chi nel frattempo ce l’ha messo, un bell’esproprio alla Chavez? O li si vuole almeno indennizzare, che so, offrendo la possibilità di convertire il capitale di rischio in bond a tasso fisso? senza contare che, per chi è privo di capitale proprio, il denaro costa di più.
Altri pensano che si dovrebbe distinguere tra costi finanziari e profitti, ammettendo i primi ed escludendo i secondi (cosa che, peraltro, al di là della terminologia usata, era più o meno il principio già vigente, per quanto male applicato).
Tre euro pro-capite al mese: è la somma che il paese deve mobilitare per riprendere il cammino interrotto. Investimenti che servono, non “buche” di una malintesa vulgata keynesiana. Investimenti che potrebbero creare posti di lavoro e dare un contributo alla crescita. In un paese normale, mi aspetterei di vedere sindacati e imprese alacremente al lavoro per stimolare il governo a sbloccare la situazione. Ma l’Italia sarà mai un paese normale?
Buona giornata dell’acqua a tutti. Soprattutto ai nostri figli.

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I LIMITI DI UN BAZOOKA COL SILENZIATORE

  1. marco

    Il refenderum ha abrogato parte di articoli di legge, non ha permesso di varare una nuova legislazione in materia e non ha potuto quindi intervenire sulle tariffe che nell’immediato sono rimaste uguali nei totali- E’ evidente che mancando strumenti di democrazia diretta propositivi , a parte le leggi di iniziativa popolare che però non vengono mai discusse, sarà necessario che il parlamento faccia in futuro una proposta legislativa che rispetti gli orientamenti dei referendum e riorganizzi la materia in tal senso- La storia ci insegna che dove l’acqua è stata privatizzata le tariffe sono aumentate e gli investimenti sono stati molto scarsi- A Parigi, dopo la cacciata di Veolia le tariffe sono diminuite di circa il 40% in 5 mesi; perchè i cittadini dovrebbero pagare di più?Non si può speculare sull’acqua che non può essere considerata una merce tanto come l’aria; questo è stato il messaggio dei referendum.Per quel che riguarda il 7% faccio notare che solitamente quando si rileva in gestione un’attività non si ha un guadagno garantito senò sarebbero tutti imprenditori! Prestare dei soldi ha interesse (BOT) è un’altra cosa! Si chiama libero mercato!

  2. Franco

    Forse qualcuno confonde i propri desideri con gli effetti reali. Un conto è quello che si vuole un altro è quello che si ottiene … e un altro ancora è quello che si fa credere di poter ottenere! Il referendum non c’entra nulla con Veolia!  E’ compito della regolamentazione (rigorosamente “pubblica”) evitare gli abusi cercando di creare efficienza efficacia ed economicità a monte (concorrenza “per” il mercato) quando non è possibile averla a valle (concorrenza “nel” mercato). Questo vale a prescindere se a gestire un SPL è un pubblico oppure un privato!Un conto è non essere d’accordo sul 7% fisso (e sul metodo tariffario sicuramente inefficace e vetusto); un altro è spacciare la remunerazione del capitale per profitto!

  3. marco

    Dall’articolo sembrerebbe che siano state le ideologie e una certa ignoranza tecnica unita a certa propaganda a spingere milioni di cittadini a votare per l’acqua bene pubblico- In realtà alla base del voto c’è stata una coerente capacità di ragionamento e una incessante attività di informazione- I comitati per l’acqua da tempo, lungi da ogni ideologismo, si sono posti il problema tecnico di come migliorare la rete idrica, cosa non avvenuta in questi anni- Forum e dibattiti tra tecnici ed esperti hanno individuato diverse soluzioni attualmente in discussione: strumenti validi come il prestito irredimibile o la creazione di un fondo cassa pubblico finanziato dagli investimenti dei cittadini attaverso i titoli di Stato o la Cassa Deposito e Prestiti-Del resto sono i soldi pagati in più in bolletta(7%), dai cittadini in questi anni , ma usati spesso da molte aziende per fare utili piuttosto che per ammodenare la rete idrica! Non si tratterebbe quindi di spendere di più o di reperire nuovi fondi ma semplicemente di gestire in modo produttivo, attraverso strumenti di finanza pubblica, il 7% già pagato e di risparmiarlo una volta ammortizzati gli investimenti.

    • La redazione

      Grazie per il commento, che in poche righe illustra plasticamente ciò che intendevo dire a proposito di proposte che non stanno in piedi nemmeno con le stampelle. I bond irredimibili sono una solenne fregatura ai danni delle generazioni future. La Cassa Depositi e Prestiti e altri intermediari finanziari pubblici possono avere un ruolo importante (che ho provato ad analizzare in un precedente articolo), ma non certo se si pensa di alimentarla con l’azionariato popolare o simili trovate estemporanee. Perché, già che ci siamo, non proponiamo di donare l’oro alla patria, come fece qualcuno? Si rassegni: qualunque banca (compresa la Cassa) può sostenersi solo se quello che presta rientra con regolarità, e se gli interessi che deve pagare sulla sua provvista di capitale sono compensati da quelli che applica ai suoi clienti. Le variabili indipendenti sono gli investimenti da fare e il costo della provvista finanziaria, non quello che secondo i comitati sarebbe “giusto” pagare. L’alternativa è solo una: coprire i disavanzi con la tassazione. Chi non lo capisce è un ignorante, e chi fa finta di non capirlo è un mascalzone. Le segnalo che a Parigi le tariffe NON sono diminuite del 40%; semmai, l’aumento pianificato è stato ridotto del 40%. Molto ci sarebbe da dire su questa diminuzione, che molti osservatori senza fette di prosciutto agli occhi ritengono puramente propagandistica, e finanziata soprattutto da un taglio degli investimenti e da una diversa politica di ammortamenti. Se volessimo fare un confronto tra quanti investimenti fanno le gestioni affidate a privati e quante quelle in mano pubblica potremmo avere spesso delle sorprese.

  4. Franco

    Ancora questo 7% “spacciato” per profitto! La remunerazione del capitale investito (c.d. ROI) è dato dal rapporto tra utile lordo ed attivo patrimoniale; tale utile deve essere depurato delle imposte e degli “oneri finanziari” per ottenere l’utile netto.
    Poiché la tariffa idrica è strutturata (per farla facile) nel seguente modo: Tariffa=costo operativo + ammortamento + remunerazione del capitale (ad esempio 100=60+10+30) e la sentenza della Corte costituzionale che ha ammesso il quesito referendario sull’abolizione della remunerazione del capitale ha comunque precisato che la tariffa DEVE coprire completamente il costo complessivo.
    Se ho prelevato denaro a prestito (oppure l’ho messo io ma in questo caso ci voglio almeno guadagnare quanto avrei ottenuto se invece di investirlo lo avessi utilizzato all’acquisto di BTP italiani decennali … che fino a due mesi fa davano il 7%?) con oneri finanziari pari a 30; ieri la tariffa sarebbe stata 100=60+10+30 … oggi sarebbe 100=90+10. Cosa è cambiato? Assolutamente nulla a parte il fatto che la tariffa è meno trasparente di ieri!
    Per questo si parla di ideologia perché il secondo quesito referendario ha creato solo opacità e fraintendimenti con il risultato di bloccare tutto fin quando qualcuno non avrà il coraggio di spiegare davvero come stanno le cose!

    • La redazione

      il 7% di remunerazione fissa non è sbagliato perché è fisso, ma in quanto fu scelto in modo assolutamente opaco e senza il benché minimo riscontro di mercato. Se ci pensa, aver prefissato il costo del capitale equivale alla sottoscrizione di un mutuo a tasso fisso per l’acquisto della casa. Una garanzia per la banca, ma anche una garanzia per il mutuatario, che sa che, qualunque cosa accada, non pagherà più di così. Come tutte le assicurazioni, anche questa “costa”: è probabile che, nel lungo termine, i tassi medi sarebbero più bassi se variabili. Per questo molti, e io fra questi, hanno raccomandato un rendimento a spread fisso (invece che a tasso fisso).

  5. Alice Tura

    Ammiro Massarutto per la pazienza e la perseveranza con cui continua a spiegare quanto sia demagogica e fuorviante la battaglia contro la “privatizzazione dell’acqua”, in cui si continua confondere la proprietà delle risorse con la loro gestione. Resta il fatto che se le aziende pubbliche fossero efficienti non dovrebbero temere la gara pubblica, vista anche l’assenza dello scopo di lucro….

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