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VALORIZZARE LE DONNE CONVIENE*

Le principali “rivoluzioni silenziose” che la società deve fare perché ci sia una parità reale tra donne e uomini: quella dell’istruzione -in Italia quasi compiuta- quella del lavoro femminile -ancora ampiamente irrealizzata- quella dei carichi familiari -“tradita” dagli uomini”- e quella della presenza nella politica -timidamente incominciata. Il nostro paese, dunque, è indietro, soprattutto se raffrontato agli altri paesi europei. Ecco che cosa deve fare la politica per aiutare a colmare la differenza.

È di nuovo l’8 marzo e nonostante le tante pagine scritte, i discorsi, i blog, le manifestazioni di piazza e le dichiarazioni pubbliche, pochissimo è stato fatto per sostenere il lavoro delle donne. Eppure il cammino di quella “rivoluzione silenziosa” che ha trasformato la vita delle donne in molti paesi sviluppati attraverso cambiamenti, rivoluzionari appunto, nell’istruzione, nel mondo del lavoro e nella famiglia, è tutt’altro che completa in Italia.

ISTRUZIONE, UNA RIVOLUZIONE QUASI FATTA

La prima “rivoluzione”, quella dell’istruzione femminile, è quasi pienamente compiuta: le giovani italiane sono ormai più istruite degli uomini, anche se scelgono spesso percorsi di studio meno remunerativi nel mercato del lavoro. Le giovani, infatti, sembrano preferire le discipline dell’area umanistica, caratterizzata da livelli occupazionali e retributivi più bassi, mentre gli uomini scelgono maggiormente le discipline dell’area scientifica e ingegneristica, caratterizzata da livelli occupazionali e retributivi più elevati.

Figura 1: Salario medio mensile e quota di donne iscritte alle diverse facoltà in Italia

Fonte: MIUR (2010) e Almalaurea (2010)

LA RIVOLUZIONE INCOMPIUTA: IL LAVORO

La seconda “rivoluzione”, quella del mercato del lavoro, resta largamente incompiuta. Il tasso di partecipazione lavorativa delle donne italiane è sempre il più basso di Europa, mentre il tempo dedicato al lavoro domestico e di cura è sempre il più alto. Tra le donne tra i 20 e i 34 anni nel 2010 il tasso di occupazione è addirittura sceso (al 48 per cento, contro il 50 per cento del 2000).
Una delle ragioni principali per la bassissima partecipazione delle donne italiane è dovuta al fatto che un quarto delle donne occupate esce dal mercato del lavoro alla nascita del primo figlio. Tra le giovani sono addirittura in crescita le interruzioni imposte dal datore di lavoro (oltre la metà del totale). (1) A sperimentare le interruzioni forzate del rapporto di lavoro sono soprattutto le giovani generazioni (il 13,1 per cento tra le madri nate dopo il 1973) e le donne residenti nel Mezzogiorno. Le interruzioni, poi, si trasformano nella maggior parte dei casi in uscite prolungate dal mercato del lavoro: solo il 40 per cento delle donne uscite riprende il lavoro (il 51 per cento al Nord e il 23,5% al Sud).

LA RIVOLUZIONE TRADITA: IN FAMIGLIA

Lontana dal compiersi e “tradita” (dagli uomini) è la rivoluzione all’interno della famiglia, nella ripartizione dei tempi e dei compiti familiari tra uomini e donne, così sbilanciata da creare, vista anche la scarsità di servizi di cura, enormi problemi di conciliazione tra lavoro e maternità e impedendo la crescita dell’occupazione femminile.
La rivoluzione di genere nella politica, poi, non è mai cominciata: ancora oggi, anche per la scarsa presenza di donne in parlamento (59 senatrici su 331 e 134 deputati donna su 630), le istanze e le proposte di legge su parità e politiche sociali a beneficio delle donne hanno un cammino lento e faticoso.
Se negli ultimi anni è mancata la volontà politica di cambiare e rendere più efficiente ed uguale per genere il nostro paese, adesso anche i più forti i vincoli finanziari della crisi economica portano a trascurare le donne nell’agenda politica del paese. Tuttavia ci sono interventi che sarebbero investimenti per il futuro, più che costi, e che potrebbero cominciare a cambiare il contesto in cui le donne (e gli uomini) vivono e lavorano.

COSA DEVE FARE LA POLITICA

Un primo intervento importante sarebbe quello di fornire alle donne incentivi nei settori della formazione tecnico-scientifica (obiettivo strategico già dell’Unione Europea). In Italia questi strumenti sono praticamente assenti.
Un secondo importante intervento sarebbe il ripristino della legge 188/2007 contro le dimissioni in bianco. Si tratta di una norma approvata da una maggioranza trasversale dal secondo Governo Prodi e cancellata dall’ex ministro Sacconi, che prevedeva l’uso di moduli numerati validi al massimo 15 giorni per presentare dimissioni volontarie. Un intervento davvero a costo zero, che consentirebbe di combattere questa pratica discriminatoria ottenendo maggiore occupazione femminile e favorendo la fecondità.
Occorre poi introdurre incentivi ad una più equa divisione del lavoro domestico tra uomini e donne. Interventi cruciali in questa direzione riguardano i congedi parentali. Nell’ottobre del 2010 il Parlamento Europeo ha approvato una legge per proteggere le donne dal licenziamento a causa della maternità e garantire anche ai padri almeno due settimane di congedo obbligatorio (remunerato). Si possono anche estendere i congedi ai padri e pensare a congedi part-time per ambedue i genitori (sull’esempio della Svezia) in modo da ridurre l’impatto negativo sulla carriera e sui salari delle madri. Si tratta, di fatto, di ridistribuire su ambedue i genitori i costi dei congedi parentali. Questo tipo di iniziativa dovrebbe essere sostenuta da campagne di sensibilizzazione per i padri e le imprese. Il congedo ai padri aiuterebbe inoltre a promuovere la cultura della condivisione della cura dei figli, delle responsabilità e anche dei diritti tra madri e padri.
Per le donne che lavorano è poi necessario un maggior sviluppo e monitoraggio delle politiche di conciliazione sul posto di lavoro, anche in applicazione dell’art 9 della legge 53/2000, che promuove e finanzia la messa in atto di buone prassi di conciliazione da parte le imprese. (2)
Infine è necessario aumentare la disponibilità e ridurre il costo per le famiglie dei servizi di cura per i bambini piccoli. Dopo l’intervento “Piano per i nidi 2007” del ministro Bindi, ben poco è stato fatto. In Italia, l’investimento pubblico nei bambini nella prima fase del ciclo di vita è limitato sia rispetto gli altri paesi europei, sia se si confrontano le spese pubbliche destinate a bambini di altre classi di età. La spesa media per i bambini in età 0-2 è infatti del 25 per cento inferiore a quella media dei paesi Ocse e pari alla metà della spesa media destinata alle classi di età 6-11 e 12-16.

Figura 2: Spesa pubblica per tipologia di scuola nei paesi OCSE

Fonte: OCSE 2009

Di conseguenza, l’offerta nidi pubblici in Italia oggi è tra le più basse d’Europa e solo il 12 per cento dei bambini sotto i tre anni ha un posto al nido pubblico, contro il 35-40 per cento della Francia e il 55-70 per cento dei paesi nordici. Il legame tra offerta di nidi, lavoro delle madri e risultati scolastici dei bambini è fondamentale. Non solo avere la madre che lavora non pregiudica lo sviluppo della capacità cognitive e comportamentali, come invece erroneamente spesso ritenuto, specie se il minor tempo che la madre trascorre con il figlio è compensato dal tempo di personale qualificato in strutture di elevata qualità, i nidi pubblici appunto. Anzi, quanto minore è il livello di istruzione e di reddito dei genitori, quanto più l’asilo nido assume il ruolo di investimento precoce nei bambini.(3)
Se si riconosce il ruolo dei nidi nel processo di accumulazione di capitale, allora la proposta è quella di inserire il nido nel sistema dell’istruzione scolastica pubblica. Costruire nuovi nidi pubblici è indubbiamente costoso, ma essi sono meritevoli di spesa pubblica come il resto dell’istruzione scolastica. E poi, un maggior numero di asili nido significherebbe una maggiore occupazione (femminile) sia per gli effetti diretti (le educatrici assunte) sia per gli effetti indiretti (più donne con figli potrebbero lavorare). è credibile quindi che, almeno in parte, il costo dei nuovi nidi potrebbe essere sostenuto dagli introiti derivanti dalle imposte sui redditi delle nuove assunte.

(*) Del Boca D., Mencarini L. e Pasqua S. (2012), “Valorizzare le donne conviene. Ruoli di genere nell’economia italiana”, Il Mulino.
Questo artico è pubblicato anche su neodemos.it

(1) Dati dell’Indagine Multiscopo sull’Uso del Tempo dell’ISTAT (2008-2009).

(2) Visentini A. (2012), Sulla parità non bastano i buoni propositi, lavoce.info, 26.01.2012.

(3) Del Boca D., Pasqua S., Pronzato C. (2011) Il nido fa bene ai genitori e ai figli, LaVoce.info, 15.12.2011.

 

 

 

 

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ARTICOLO 18: C’È UNA SOLA STRADA

  1. marcella corsi

    Lavoro e fisco, pensioni e precari, patrimoniale e nidi, figli e anziani, salari e rendite.: tutti terreni su cui costruire un nuovo patto per lo sviluppo. Anche oggi, come accadde in America dopo la grande crisi del ’29, ma stavolta il “new deal” può venire dalle donne, il motore fondamentale del rinnovamento politico, sociale e anche economico. Servono proposte, per una politica economica delle donne. Noi di inGenere abbiamo deciso di mettere in rete le nostre, ed è nata una collaborazione con Leggendaria, storica rivista di letteratura. Nel numero 91 di Leggendaria, “Sensibili guerriere”, tutto dedicato alle giovani donne, c’è l’inserto “Per un pink new deal”, curato dalla nostra redazione. E non dimenticate il nostro ABC delle donne, raccolta di proposte sul tappeto http://www.ingenere.it/articoli/labc-delle-d-proposte-cambiare. Facciamo rete.

  2. marco

    Sinceramente se io fossi una donna mi sentirei un po’ offeso dalla festa della donna; inanzitutto non c’è la festa dell’uomo e poi sembra alimentare e giustificare l’esistere e il perdurare negli anni di una mentalità maschilista che vede la donna come minore e creatura più debole da tutelare . In una moderna democrazia tutti devono essere cittadini con pari diritti e in quanto tali non essere discrimati-Non bisogna confondere l’inefficienza nel difendere e tutelare i diritti da parte del sistema stato con la mancanza di diritti che invece vengono in teoria riconosciuti da tutti-Nella pratica bisognerebbe investire sul welfare per garatire i diritti-Tutti d’accordo! Peccato che i nostri politici lo stiano invece sistematicamente smontando con la solita scusa che non ci sono i soldi che invece sono abbondanti quando si tratta di darli agli amici delle società partecipate! O è forse colpa di tutto il genere maschile italiano!?Perchè i Comuni non vendono le quote delle partecipate e non ne investono un parte nei nido?

  3. Sagliano Salvatore Antonio

    Questo articolo si basa su presupposti sbagliati, inseguento un finto e solo apparente benessere racchiuso in sterili schemi. Persegue un ideale di società con la stessa partecipazione lavorativa uomo-donna, con la stessa divisione del lavoro domestico, e in cui i figli sono solo qualcosa da crescere in senso “tecnico”, per cui possono essere anche scaricati nei nidi. E’ l’ideale borghese di società che insegue successo e carriera a scapito del più remunerativo bene affettivo. Che preferisce l’uguaglianza formale dimenticando quella sostanziale, ossia quella per cui ognuno sia nelle condizioni di dare il meglio di sè nel proprio ruolo. Mentre la nostra società affoga nei noti problemi morali, figli di una mentalità superficiale che vuole ogni persona indipendende e slegata da tutto, come dev’essere il vero consumatore, come possiamo occuparci di un concetto così irreale di uguaglianza? Ci sono dei Beni così cari e così nascosti che le analisi economiche e sociali non potranno mai intercettare. Valorizzare le donne conviene, ma per davvero.

  4. Paola Artioli

    per me non è una questione di donne ma di diritti soggettivi. una nazione che non investe in servizi di cura pubblici e economicamente abbordabili ignora il diritto di una parte dei suoi cittadini di scegliere di lavorare. nei luoghi di lavoro in cui le donne per lo più non hanno diritto di fare carriera in molte posizioni si ignora il diritto di una parte dei lavoratori di avere il giusto riconoscimento del proprio merito. è un argomento rispetto al quale nessuno ammette di avere delle responsabilità. eppure se ci pensiamo bene lo stereotipo è dentro di noi. anche nel rapporto fra uomo e donna ci inganniamo, ma la vera parità, la condivisione dei compiti e dei ruoli è ancora lontana. i numeri ci rappresentano l’entità del fenomeno e il suo impatto economico ormai devastante. ma alla base c’è una violazione dei diritti. finché non porremo la questione in questi termini rimarremo fermi alla contabilità.

  5. Lorenzo Lusignoli

    Finalmente un insieme di proposte serie sul tema fatte da chi se ne intende. Un’altra cosa rispetto alle fantomatiche ipotesi di fisco differenziato che, oltre a distorcere il sistema fiscale, creano ulteriori presupposti discriminativi inserendo altre discrepanze tra uomo e donna sul mercato del lavoro. Purtroppo temo che difficilmente l’attuale classe politica sia in grado di rispondere positivamente alla validità delle proposte. La cancellazione della legge che ostacolava le dimissioni in bianco è stata semplicemente una bizza del precedente Ministro del Lavoro, o è stata piuttosto incoraggiata se non richiesta dall’esterno? Siamo sicuri che (sebbene questa sia la proposta più convincente) le imprese siano disposte ad accettare i maggiori costi derivanti dalla concessione di lunghi congedi parentali agli uomini? In un contesto nel quale il federalismo viene spesso inneggiato come la soluzione all’efficienza dei servizi, è possibile concepire che il sistema degli asili venga incluso nella Pubblica Istruzione? Temo che prima di ottenere risultati in questo campo occorra una profonda trasformazione degli assetti politico culturali nel nostro paese.

  6. Tina

    Grazie per l’analisi che è interessante e condivisibile. Tuttavia vorrei sottolineare che difficilmente le leggi possono modificare una cultura maschilista e patriarcale che è fortissima nel nostro paese. I carichi familiari sono quasi totalmente a carico delle donne perchè gli uomini si rifiutano di partecipare alla cura della casa e dei figli. E finchè non saranno le donne stesse a combattere, nella loro quotidianità, per superare questo limite, non ci sarà nulla da fare. Io e mio marito siamo giovani (sotto i 40) ed entrambi laureati e impiegati. E in casa siamo totalmente intercambiabili. Ma non vedo per niente diffuso questo modello.Solo quando gli uomini accetteranno di prendersi cura della propria famiglia quotidianamente, la donna potrà avere un maggiore livello culturale, possibilità di aggiornamento sul lavoro, maggiore considerazione sul lavoro. Oggi siamo ancora discriminate, anche economicamente, perchè i capi sono quasi sempre uomini che hanno le mogli/mamme a casa, per cui la loro visione della donna è sempre quella di donna di casa. Questo ha riflessi anche economici perchè i capi uomini continuano a pensare che siamo mantenute dai mariti, che lavoriamo per diletto e quindi gli stipendi possono essere più bassi. Che dire poi del fatto che solo il 3 o 4% dei padri in Italia prende il congedo quando nasce un figlio? Quanti padri prenderebbero 2-3 mesi di congedo per un figlio piccolo se ne avessero la possibilità? Quanti starebbero a casa per la febbre del figlio? Quanti rinuncerebbero a un pezzo di carriera per dedicarsi di più alla famiglia? Questa è la cosa su cui riflettere.

  7. Lucia Pasquadibisceglie

    Così semplice ed efficace… Eppure così lontano e distante. Credo che tutti abbiamo ampia consapevolezza sul fatto che questi incentivi potrebbero generare crescita e ricchezza nel nostro paese eppure non se ne rinviene traccia in alcun tipo di intervento politico. Non mi piace sentir parlare di cultura patriarcale e maschilista: questi figli sono i nostri, le nostre madri li hanno cresciuti… Non diamo agli uomini la responsabilità piena di questo status italiano. Spesso noi donne pretendiamo i nostri diritti, senza lasciare che i nostri compagni si assumano le loro responsabilità! O mi sbaglio forse? I miei complimenti a Daniela Del Boca: ho avuto il piacere di leggere alcuni suoi studi che sono stati davvero illuminanti da giovane donna economista.

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