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EFFETTO IMU

 Aver introdotto l’Imu sull’abitazione di residenza rende immediatamente iniqua la manovra Monti? In realtà, l’Imu sulla prima casa ha effetti distributivi meno negativi dell’Ici 2007. Non è così invece per le seconde case, per la contemporanea eliminazione delle rendite catastali dall’Irpef. Una scelta forse da riconsiderare perché assieme alla cedolare secca sui canoni di locazione erode ancor di più la base imponibile dell’Irpef, rendendola sempre più simile a un’imposta sui soli redditi da lavoro e pensioni. E se poi una parte dei “poveri” fossero solo evasori?

Il dibattito politico sulla manovra correttiva varata dal governo Monti si è rapidamente concentrato sulle questioni distributive, soprattutto per quanto riguarda l’anticipo al 2012 dell’Imposta municipale propria (Imu), già prevista nei decreti attuativi sul federalismo fiscale, e la sua estensione all’abitazione di residenza. Per molti, questo la rende immediatamente iniqua; per altri, addirittura sono i ricchi a guadagnarci e i poveri a perderci. Ma è davvero così? Cominciamo ricordando qualche fatto.

LA CASA DEGLI ITALIANI

Il patrimonio delle famiglie italiane è molto ampio in un confronto internazionale. (1) Ma secondo stime recenti, ben l’85 per cento è investito in immobili, per i quattro quinti nella residenza principale (il 70 per cento delle famiglie italiane è proprietaria dell’immobile dove abita), ragione non secondaria della osservata maggior equità nella distribuzione della ricchezza in Italia rispetto a altri paesi. (2) In particolare, dei 32,5 milioni di immobili del gruppo catastale A (dove rientrano le abitazioni) censiti dall’Agenzia del territorio, ben 29,6 sono di proprietà delle famiglie.
Che succede quando questo ingente patrimonio familiare è sottoposto a tassazione? In particolare come si ripartisce il nuovo carico tributario tra le famiglie ricche e quelle povere? Per rispondere, utilizziamo qui un modello di microsimulazione costruito sull’Indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia. (3) Questo ci consente di abbinare alle informazioni sulla ricchezza immobiliare, anche quelle sui redditi dichiarati e dunque di offrire qualche risposta all’interrogativo precedente.

LA NUOVA IMU

Prima di illustrare i risultati delle stime, ricordiamo gli aspetti più rilevanti della nuova imposta. Rispetto all’Ici che sostituisce, l’Imu presenta quattro principali novità: a) la base imponibile si ottiene moltiplicando per 160 (e non più per 100) la rendita catastale rivalutata; b) l’aliquota ordinaria sull’abitazione di residenza è del 4 per mille, più contenuta rispetto all’ci 2007 (in media pari al 5,2 per mille); c) la detrazione concessa per l’abitazione di residenza è pari a 200 euro (circa il doppio della detrazione media prevista dall’Ici 2007, 117 euro); d) per gli immobili non locati (le seconde case non affittate) l’aliquota di riferimento sale al 7,6 per mille (rispetto al 6,1 attuale); tuttavia, per questi immobili, parallelamente all’introduzione dell’Imu, è prevista l’esclusione dall’Irpef delle loro rendite catastali.

L’ABITAZIONE PRINCIPALE

La tabella 1 evidenzia le differenze tra Ici e Imu sull’abitazione principale, considerando rendite catastali rivalutate del 5 per cento da un minimo di 250 euro a un massimo di 1.500 euro. Rispetto all’Ici, aumenta il valore catastale esente dall’imposta: con l’Ici sono esenti le abitazioni di residenza con valore catastale pari a 22.500 euro (applicando l’aliquota media del 5,2 per mille e la detrazione media di 117 euro), con l’Imu si sale fino a 50mila euro (corrispondenti a 31.250 euro con il coefficiente pari a 100 come nell’Ici e l’aliquota del 4 per mille). Per rendite fino a 750 euro si pagherà meno con la nuova Imu, per rendite superiori si pagherà di più. La tabella riporta anche l’effetto qualora i comuni usino la possibilità concessa di aumentare l’aliquota a un valore pari a quella dell’Ici nel 2007 (5,2 per mille).
Consideriamo ora più nel dettaglio gli effetti redistributivi. Il nostro modello stima all’aliquota del 4 per mille un gettito complessivo sulle abitazioni di residenza di 3 miliardi di euro, un po’ più basso rispetto alle previsioni della Relazione tecnica (3,8 miliardi di euro), probabilmente perché nel nostro modello non possiamo tener conto delle “pertinenze” associate alla abitazione principale. La tabella 2 riporta la quota di famiglie che in ogni decile di reddito equivalente detengono la proprietà o l’usufrutto dell’immobile di residenza, la quota di famiglie che pagano l’Imu sull’abitazione di residenza e la composizione del gettito Imu. (4) Le ultime due colonne si riferiscono invece all’Ici del 2007. Come si osserva, la percentuale di famiglie proprietarie dell’abitazione di residenza in ogni decile cresce all’aumentare del reddito: è il 60,2 per cento nel primo decile e arriva all’85,8 per cento nell’ultimo. Un risultato atteso naturalmente, perché ci aspettiamo che famiglie più ricche posseggano con maggior probabilità l’abitazione dove risiedono. Ma non del tutto scontato, perché si tratta qui del reddito “dichiarato”; data l’ampia evasione esistente in Italia, è possibile che alcuni dei redditi bassi facciano riferimento a “finti poveri”, cioè a evasori che dichiarano un reddito inferiore a quello effettivo. (5) Comunque, come si vede dalla tabella, grazie alla detrazione concessa su tutte le abitazioni di residenza, le famiglie che presentano una Imu positiva (cioè che devono pagare l’imposta) meno del 30 per cento nei primi due decili; questo significa che circa un quarto delle famiglie proprietarie non deve nulla all’erario, o se si preferisce, visto che non tutte le famiglie sono proprietarie, che solo la metà circa di tutte le famiglie italiane deve pagare la nuova Imu.
Non solo, ma come anche si osserva, più della metà del gettito complessivo è pagato dagli ultimi tre decili. La conclusione è che la nuova imposta, pur naturalmente penalizzando chi possiede l’abitazione di residenza rispetto agli altri, è più “progressiva” rispetto all’Ici 2007; si riduce il numero delle famiglie povere che pagano l’imposta e la composizione del gettito si sposta a favore dei primi decili e a sfavore degli ultimi.

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LE SECONDE CASE

La situazione cambia per le seconde case. Il sistema attuale prevede l’Ici con un’aliquota media del 6,1 per mille e l’imposizione in sede Irpef delle rendite catastali degli immobili non locati (per quelli locati, il reddito è dato dall’affitto). Il nuovo sistema prevede invece solo l’Imu, alle aliquote e basi imponibili maggiorate ricordate in precedenza. Ne segue che per gli immobili diversi dall’abitazione principale, il carico fiscale dell’Imu è circa il doppio dell’attuale Ici. Tuttavia, se si combina l’aumento dell’Imu con l’esenzione dall’Irpef, è facile mostrare che rispetto alla normativa attuale, dal 2012 l’imposta complessiva aumenta di più per un contribuente con reddito basso e di meno per un contribuente con reddito elevato. Il risultato è dovuto tutto all’impatto della riforma in sede Irpef: le rendite scontano un’aliquota marginale elevata per un contribuente ricco e una più contenuta per un contribuente con reddito basso (si veda la tabella 3).
Dal nostro modello, risulta anche che circa un quarto delle famiglie italiane siano proprietarie di almeno un immobile a uso abitativo diverso dall’abitazione principale. Come ci si può attendere, sono i decili più alti a possedere più seconde case (si veda la tabella 4); circa la metà delle famiglie più ricche sono proprietarie di almeno una seconda casa. Comunque, anche il 16,5 per cento delle famiglie più povere (al decile più basso) possiede una seconda casa, non è chiaro se per qualche ragione storica dovuta a comportamenti passati (per esempio, una famiglia di pensionati con bassi redditi attuali, ma con ampi risparmi passati investiti in immobili) oppure di nuovo per la presenza di sottodichiarazione dei redditi (compresi i redditi in “nero” degli affitti). L’incremento dell’imposizione sulle seconde case non locate dovuta al passaggio da Ici a Imu, circa 2,2 miliardi di euro nelle nostre stime, cade dunque in misura più che proporzionale sui decili di reddito più elevati; gli ultimi due decili pagano infatti quasi metà della variazione di gettito. Tuttavia, questi sono anche i decili per cui lo sconto Irpef è più elevato.

TUTTE LE ABITAZIONI

La tabella 5 riassume gli effetti complessivi della manovra confrontando la distribuzione del gettito tra il sistema 2007 (Ici su prime e seconde case e Irpef sulle rendite degli immobili non locati), il sistema attuale, quello previsto dal decreto (l’Imu) e uno scenario ipotetico nel quale si elimina l’esenzione Irpef per le seconde case. Gli scenari non sono a parità di gettito: il gettito del 2007 è pari a 6,3 miliardi di euro, quello attuale a 3,3, quello futuro a 7,4, quello ipotetico a 8,5. Con l’attuale sistema (Ici solo sulle seconde case e Irpef sulle rendite catastali), il 36 per cento del gettito totale è pagato dall’ultimo decile; con quello previsto dal decreto, (Imu su entrambe le tipologie di abitazioni e esenzione Irpef), le cose peggiorano dal punto di vista distributivo, con l’ultimo decile che si fa carico “solo” del 32 per cento del gettito complessivo. Se infine le rendite catastali sulle seconde case fossero soggette di nuovo a tassazione Irpef, l’effetto distributivo migliorerebbe di nuovo, oltre ad aumentare il gettito.
Riassumendo, mentre l’Imu sull’abitazione di residenza ha effetti distributivi meno negativi rispetto all’Ici 2007, l’introduzione della nuova imposta sulle seconde case ha effetti negativi. Questo tuttavia è interamente dovuto all’eliminazione delle rendite catastali dall’Irpef. Bisognerebbe dunque chiedersi se la scelta del legislatore, dovuta al precedente governo, sia sensata e debba essere mantenuta. Eliminare le rendite catastali dall’Irpef, assieme alla cedolare secca sui canoni di locazione già introdotta, ha infatti l’effetto di erodere ancor di più la base imponibile dell’imposta sul reddito, rendendola sempre più simile a un’imposta sui soli redditi da lavoro e pensioni, un’evoluzione sulla cui desiderabilità, passata l’emergenza, si dovrebbe riflettere seriamente. Infine, la diffusa presenza di evasione rende difficile ogni confronto distributivo; in particolare, è ben possibile che per lo meno per certe tipologie di redditi, i “poveri” siano in realtà gli evasori e dunque che l’effetto perverso segnalato sopra abbia almeno la conseguenza di non far pagare i soliti noti, cioè i possessori di redditi da lavoro dipendente e assimilati.

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(1) Il Global Wealth Report del Credit Suisse stima per l’Italia una ricchezza mediana pari nel 2010 a oltre 115mila dollari per adulto, contro i 78mila del Regno Unito e i 66mila della Francia o i 47mila degli Stati Uniti
(2)
L’indice di Gini per la distribuzione della ricchezza è 0,61 in Italia, contro 0,66 nel Regno Unito e più di 0,80 in Svezia e negli Stati Uniti. Si veda Sierminska E., A. Brandolini and T. M. Smeeding (2008), “Comparing Wealth Distribution Across Rich Countries: First Results From the Luxembourg Wealth Study”, in Household wealth in Italy, Banca d’Italia.
(3)
Si veda Pellegrino S., Piacenza M., Turati G. (2010), “Developing a static microsimulation model for the analysis of housing taxation in Italy”, International Journal of Microsimulation.
(4)
I decili suddividono la popolazione in 10 gruppi di uguale numerosità, dopo che i redditi sono stati ordinati in ordine crescente; per individuare i decili si è usato il reddito lordo equivalente. Il reddito lordo è dato dalla somma del reddito complessivo ai fini Irpef, degli assegni familiari, dei redditi esenti, dei redditi soggetti a tassazione separata e i redditi provenienti da attività finanziarie. Il reddito lordo così ottenuto è stato diviso per la scala di equivalenza, al fine di rendere confrontabili famiglie con diversa numerosità e composizione. Considerando i valori monetari, il primo decile contiene le famiglie con reddito lordo minore di circa 12.500 euro, il secondo famiglie con reddito minore di 16.700, il terzo famiglie con reddito minore di 19.500, e così via; l’ultimo decile contiene famiglie con reddito superiore a 62 mila euro.
(5)
È opportuno ricordare che il confronto tra i redditi dichiarati al fisco e i dati originali contenuti nell’indagine Banca d’Italia suggerisce che circa la metà dei redditi di professionisti e lavoratori autonomi sfugga al fisco.


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20 commenti

  1. Roberto Gennari

    L’ imu e’ una imposta espropriativa che colpira’ nel tempo sempre piu’ gli immobili..Un consiglio che posso dare ai risparmiatori, ma soprattuto ai grandi detentori di capitale e’ quello di abbandonare questo paese troppo sinistroso e demagogo.Abbandonate questo paese dove voi non servite per costruire fabbricati e nuove aziende sempre piu competitive siete inutili.Tanto c’e’ il sindacato nostrano del non lavoro che nel tempo ci aiutera’ meglio a morire di fame.Il mondondo cambia l’italia e’ ferma e vecchia.

  2. andrea fogliano

    In alternativa quanto frutterebbe: ridurre la soglia del pagamento per contanti a 500 euro; mandare fuori corso le banconote da 500 euro; tassare la loro conversione (nominativa) poniamo al 5%; fornire all’amministrazione finanziaria, ai fini di controllo, annualmente soltanto i saldi attivi dei conti bancari (in realtà conoscere tutte le operazioni non serve, ed è contro la privacy); credo che si potrebbe risolvere ampiamente il problema dell’evasione fiscale, e monitorare molto meglio il denaro proveniente da operazioni illecite, facendo molto ma molto gettito. Forse si potrebbero lasciare in pace i pensionati tutti quelli che la casa se la sono comprata dopo una vita di duro lavoro.

  3. AM

    In realtà l’IRPEF sulle case sfitte e sulle seconde case era una patrimoniale occulta in quanto tassava redditi inesistenti salvo il caso di locazioni in nero. Meglio la chiarezza e la trasparenza. Le abitazioni non locate per vari motivi (uso come seconda casa per se o per amici e parenti, per ospitare persone bisognose, per mancanza di locatari affidabili, edifici in cattivo stato) dovrebbero essere tassate solo da imposte di tipo patrimoniale. Se si vogliono penalizzare certe destinazioni si possono diversificare le aliquote. Finalmente un po’ di onestà e di chiarezza da parte del Fisco. Ora è necessaria la medesima chiarezza anche nella tassazione dei redditi e dei patrimoni finanziari. Oggi l’aliquota del 20% è fumo negli occhi. Divieti e condizionamenti nelle compensazioni rendono l’aliquota effettiva assai più alta. Migliaia di risparmiatori defraudati dall’Argentina non sono autorizzati (se ancora possiedono i bond) o non sono in grado di compensare le perdite con guadagni o semplicamente con le cedole dei BTP o di altre obbligazioni. Se queste condizioni capestro le imponesse un privato non ci sarebbero remore a qualificarle come pratiche truffaldine.

  4. michele giardino

    Faccio mia la centratissima osservazione di AM. Aggiungo, ad adiuvandum, che, se si escludono patrimoni (realmente) di grande consistenza, le case “in più” delle famiglie sono reddito già tassato e risparmiato, giustamente assoggettabile ad (moderata) ulteriore imposizione di tipo patrimoniale, purché moderata, senza credere cioé tnon si creda o non si voglia far credere che a partire dalla “terza” proprietà si è in presenza di “grandi fortune” tosabili a volntà senza danno.

  5. Pino

    L’errore commesso nell’articolo, che riprende i dati Banca d’Italia che nella fase post Draghi, ha perso di autorevolezza nelle sue conclusioni (vedere audizione sulla manovra) è nel valutare l’iniquità solo sulla base dell’aliquota media. Bisognerebbe valutare quanti cittadini sono soggetti a quella aliquota nei comuni e quanto erano sotto l’aliquota media. Se la RT considera che si ricavano 21 mld dall’IMU, vuol dire che l’IMU colpirà di più rispetto all’ICI il ceto medio perché si è scelto di non tassare i patrimoni (non solo imm.ri) elevati perché probabilmente non si fidavano dei dati dichiarati. Scelta pratica ma non equa. La detrazione di 50 euro per figlio, a prescindere dal valore non è equa (ricorda il QF) e toglie spazio a manovre dei Comuni rendendo sempre più l’IMU una patrimoniale di Stato e non un imposta locale. La rivalutazione dei moltiplicatori ci avvicina alla tassazione sul valore di mercato come in EU (senza che sia ammessa la deduzione integrale delle relative spese: interessi). Non si può far passare come problema del Paese l’erosione fiscale sulla casa mentre l’evasione è a 130 mld di euro. E’ un colossale inganno.

  6. massimo, roma

    In quest’ottica, a mio avviso, si muove la decisione di eliminare le rendite catastali dall’Irpef. Non in un’ottica redistributiva. E quindi è corretta. Ancora più corretto sarebbe stato proporre per le imposte sugli immobili la stessa progressività delle aliquote IRPEF. In un paese di evasori come l’Italia parlare di redistribuzione è un mero esercizio teorico, mentre lo spostamento della base imponibile dai redditi alle proprietà è un mezzo per riequilibrare il sistema di tassazione senza fare troppi calcoli. E lo si vede dai commenti livorosi di quelli che vengono, finalmente, un pò colpiti.

  7. AM

    La progressività è giusta quando si tassano i redditi, ma crea iniquità se si tassano i beni. Allora è preferibile la proporzionale dopo aver applicato le opportune franchigie. Quali sono i motivi? Ad es. negli immobili il numero non ha senso (un appartamento di pregio vale più di 4 popolari), ma anche il valore può creare iniquità perchè i valori catastali non sono omogenei. Vi sono poi gli immobili posseduti all’estero dove anche nei pochi casi in cui sono noti al Fisco non è facile dare un valore. Oggi poi sarebbero tenuti a denunciare gli immobili all’estero anche gli immigrati. Centinaia di migliaia di loro hanno prorietà immobiliari nei paesi d’origine, ma quelli che hanno compilato il quadro RW sono assai pochi. Forse sarebbe necessario uno scudo anche per loro.

  8. Giorgio

    Scrivete: “anche il 16,5 per cento delle famiglie più povere (al decile più basso) possiede una seconda casa, non è chiaro se per qualche ragione storica dovuta a comportamenti passati (per esempio, una famiglia di pensionati con bassi redditi attuali, ma con ampi risparmi passati investiti in immobili) oppure di nuovo per la presenza di sottodichiarazione dei redditi (compresi i redditi in “nero” degli affitti)”. Scusate ma c’è una spiegazione banale, senza ricorrere a improbabili ricchezze passate o all’evasione fiscale, che almeno a me che vivo a Milano sembra ovvia: nel dopoguerra c’è stato un grande trasferimento della popolazione dalle campagne alle città e dal sud al nord. Chi si è trasferito, anche se relativamente povero, ha mantenuto la proprietà delle case di provenienza che si sono trasmesse ai discendenti e che risultano seconde case per il semplice motivo che il proprietario non ha lì la residenza. Cordiali saluti.

  9. AM

    Molte seconde case erano in passato le prime case delle famiglie povere che si sono urbanizzate. Originariamente erano case modeste, ma col tempo il loro valore è aumentato anche in modo vertiginoso. In molte località turistiche di moda (al mare, in montagna, al lago) questi sperduti casolari valgono oggi più di appartamenti di città. Lo stesso discorso si può fare per gli immigrati residenti in Italia che hanno mantenuto le abitazioni nei paesi d’origine, nelle quali trascorrono le ferie. Anche i valori di queste case possono aumentare rapidamente. Ad es. sulla costa del Montenegro e della Croazia i prezzi delle abitazioni sono aumentati sensibilmente in pochi anni. Ma il medesimo fenomeno si manifesta in Marocco e Tunisia.

  10. Cincera Gian Carlo

    Questo effetto non si produrebbe Se la prima casa non si considerasse un patrimonio, ma bensì’ l’abitazione sacrosanta della famiglia, processo naturale del ricambio generazionale Se questo diminuisce un Paese sarà costretto ad integrare i figli degli altri con la dovuta Nazionalità Domanda: il sudore di una vita può’ essere considerato un patrimonio? Seconda domanda: perché dobbiamo ricorrere con tutto rispetto parlando ai figli degli emigranti.. Nella Costituzione questa legge non c’è scritta O sbaglio? Grazie per l’attenzione Cincera

  11. Bruno

    Molto interssanti le analisi sugli effetti ridistributivi delle varie opzioni. Secondo me, ma è opinione personale, effetti redistributivi equi non ci potranno mai essere fino a quando, gioiellieri e assimilabili, presenteranno dichiarazioni Irpef più basse dei loro dipendenti. Fino a che ci saranno due pesi e due misure tra “dichiaranti fino all’aultimo centesimo” e non “dichiaranti”. L’assurdo è che le evenatuali agevolazioni passano per le famiglie dei gioiellieri mentre non passano per i tartassati alla fonte con redditi dichiarati più elevati. Una beffa. Sempre mia opinione è che la prima casa almeno, frutto di risparmio e già tassata, anche in emergenza non dovrebbe essere tassata. Mi domando perchè, per esempio in USA i lavoratori dipendenti prendano tutto il lordo in busta, e senza disparità, facciano la dichiarazione dei redditi una volta all’anno, non esistendo il sostituto di imposta. Non ho statistiche sotto mano, mi piacerebbe sapere in quanti stati esista il sostituto di imposta.

  12. Giorgio

    Non capisco come nella tabella 2 si passi dalla colonna 2 alla 3 e poi alla 4: la Banca d’Italia indica non solo quante delle famiglie in ogni decile possiedono la casa di abitazione (base catastale positiva) ma anche qual è la rendita media dell’abitazione per ogni decile e quindi se le famiglie pagano o no l’IMU (IMU positiva) e quanto pagano (composizione del gettito)?

  13. ferdinando lombardo

    Credo sia bene evidenziare anche l’effetto negativo dell’imposta sugli immobili di proprietà delle imprese. l’aumento della imposizione (maggior aliquota e moltiplicatore della rendita) aumenta l’imposizione su immobili per i quali l’imposta Irpef o Ires rimane comunque dovuta. Inoltre è assai iniquo l’aumento generalizzato dei moltiplicatori per immobili con rendita aggiornata e non. Si potevano bene utilizzare i valori OMI, più aggiornati ed accessibili a tutti per pesare il vero valore della proprietà immobiliare

  14. emanuele

    Bene tutti i dati e le statistiche, ma, occorre chiedersi, al di là di tutto, perchè la casa deve essere sempre la base delle tasse locali, come se fosse un fenomeno di ricchezza assoluta. La prima casa è anche una fonte di spese (condominio, lavori, mutuo…) Per avere una reale tassazione dell’immobile che tenga conto del valore di rendita netto della casa occorrerebbe studiare una qualche considerazione dei parametri di spesa che interessano l’immobile. E non limitarsi a tener conto solo dei figli (che qualche problema di contrasto con l’art. 3 della Costituzione lo pone).

  15. AM

    Il comune è in un certo senso un grande condominio ed è giusto che tutti i condomini (residenti e proprietari di seconde case) partecipino alle spese. I maggiori beneficiari dei servizi dei comuni (e quindi delle spese comunali) sono i residenti, una parte cospicua dei quali è rappresentata dai proprietari delle prime case). L’IMU ha una duplice funzione: coprire le spese comunali e funzione perequativa. Quindi per le prime case è sufficiente la prima funzione mentre per le seconde case predomina la funzione perequativa. Questo spiega la differenza delle aliquote. L’esenzione fiscale delle prima casa è quindi incomprensibile e genera parassitismo ai danni della collettività. Infatti chi maggiormente beneficia dei servizi comunali non può esimersi dal concorrere alle spese.

  16. mauro

    Finalmente le famiglie italiane monoreddito hanno ricevuto un grande aiuto per arrivare a fine mese.

  17. Paolo

    Grazie dell’articolo molto utile. Rimango sono un po’ in dubbio su se è in effetti possible valutare la ‘progressività ‘ di un’intervento attraverso la percentuale del gettito per decile. Mi sembrerebbe più appropriato considerare la percentuale che si ottiene dividendo il cambiamento nell’imposta dovuta rispetto ad uno scenario base per il reddito netto, e calcolare la media di queste percentuale per decile.

  18. massimo soraci

    Credo che per giudicare l’equità di un nuovo tributo, bisogna valutarne l’impatto sulla situazione attuale, e non confrontarlo con un diverso tributo di 4 anni fa, che andava ad incidere su una situazione economica generale, con particolare riguardo alle fasce deboli, molto meno deteriorata. Mi limito a due esempi da valutare oggi, nel 2011, non nel 2007. PRIMO. Una coppia di anziani, solo lui percepisce una pensione di 850 euro mensili. Hanno una casa di proprietà, altrimenti potrebbero solo vivere in camper. E magari questa casa è in una grande città, per cui ha una rendita catastale un po’ più alta rispetto ad una casa di paese. Con quel reddito arrivano a mala pena a fine mese. Dove li trovano i soldi per pagare l’IMU? SECONDO: una famiglia, due genitori e due figli studenti, lui con lavoro a tempo pieno e lei a tempo parziale, hanno casa di proprietà e stanno ancora pagando un piccolo mutuo, diciamo 700 euro al mese (che è più o meno lo stipendio di lei). Lui perde il lavoro, e da uno stipendio di 1600 euro finisce in cassa integrazione a 900-1000 euro al mese. Ha 53 anni, e non troverà più lavoro, per cui da qui a due anni non saprà come fare. Come la pagano l’IMU?

  19. sandro cari

    Certamente per il bene del paese è giusto tenere alto il nome dell’Italia, ma sarebbe anche plausibile non pagare i debiti della Germania, altrimenti i sacrifici vanno a farsi fottere, così come l’IMU che sicuramente non è leggera e che dovrebbe tenere conto anche dlla posizione reddituale del soggetto d’imposta. Si potrebbe verificare che un soggetto passivo riceva una casa in eredità e non abbia la capacità di mantenere. E’ giusto che la venda?.

  20. Luciano Vannucci

    l’IMU è un’imposta profondamente iniqua in quanto prescinde dal fondamentale principio costituzionale della “capacità contributiva”, sulla base della quale tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche. Orbene, se due lavoratori dipendenti di pari reddito e situazioni familiari esprimono pari capacità contributiva è logico ed equo che contribuiscano nella medesima misura. Se uno dei due, poi, è un buon risparmiatore e col tempo riesce a farsi casa non si capisce la ragione per cui debba contribuire in misura maggiore, qualunque essa sia. Né può reggere la motivazione dei servizi connessi all’abitazione perché questi sono tutti pagati a parte: TIA, acqua, trasporti, ecc. Sono molto più eque le addizionali comunali e regionali con le quali gli enti locali si finanziano. Infine, il fatto che immobili di pari rendita catastale siano soggetti alla stessa misura di IMU, indipendentemente dalla capacità contributiva dei loro possessori è fuori da ogni ragionevolezza. Si dirà che è un’imposta patrimoniale: bene, ma allora che colpisca ogni forma di patrimonio e soprattutto che sia limitata nel tempo, come la sana scienza delle finanze insegna.

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