Il 2010 ha segnato uno dei punti più bassi per la cooperazione allo sviluppo italiana: il nostro paese vi ha destinato appena lo 0,15 per cento del Pil, meno di quanto fatto da tutti gli altri paesi dell’Europa occidentale. Si tratta di un record negativo che non è giustificabile con la crisi: nello stesso anno gli aiuti degli altri donatori hanno raggiunto i massimi storici. (1) Ma guardare alla sola quantità dell’aiuto non basta. Negli ultimi anni, la comunità internazionale ha prestato una rinnovata attenzione al tema della qualità, inteso come efficacia ed efficienza dell’aiuto per la lotta alla povertà e per il raggiungimento degli obiettivi del Millennio.

ORFANI E PREDILETTI

Una recente ricerca da me realizzata per ActionAid sviluppa una metodologia per valutare la qualità dell’aiuto italiano. (2) L’idea è di calcolare la distribuzione ottimale degli aiuti stanziati dai paesi sviluppati sulla base di quattro diversi benchmark normativi e confrontarla con la distribuzione effettiva dell’aiuto italiano e della media dei paesi UE e G7. La performance italiana è peggiorata in questi anni di tagli alla cooperazione ed è oggi inferiore alle medie UE e G7.
Tra quelli considerati nella ricerca, analizziamo qua solo il benchmark efficiente in termini di riduzione della povertà (poverty-efficient). (3) I risultati non variano utilizzando gli altri approcci. (4) L’idea dell’approccio poverty-efficient è di calcolare, per ciascun paese beneficiario, il contributo marginale che ogni euro aggiuntivo di aiuto dà alla riduzione della sua povertà. La stima tiene conto delle caratteristiche economiche e istituzionali del paese. La distribuzione ottimale degli aiuti è quella che eguaglia tale beneficio marginale per tutti i paesi. In pratica, se l’aiuto allo sviluppo fosse distribuito secondo il metodo poverty-efficient, spostare un euro di aiuto da un qualsiasi paese a un altro aumenterebbe il numero di poveri nel mondo. La distanza tra la distribuzione ottimale delle risorse e quella effettivamente realizzata dai donatori identifica i paesi che ogni anno ricevono una quantità di aiuto insufficiente (orfani dell’aiuto) e quelli che ne ricevono troppo (prediletti). Una ulteriore distinzione importante riguarda quei paesi che sono a basso reddito pro-capite, i cosiddetti Least-Developed Countries (Ldc). Tra i paesi che sono tanto orfani quanto Ldc ve ne sono molti africani, mentre tra gli orfani non-Ldc vi sono nazioni come l’India e alcune repubbliche centro-asiatiche.

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UN CONFRONTO SEMPRE PIÙ NEGATIVO

La figura 1 mostra la distribuzione dell’aiuto italiano tra paesi orfani e prediletti negli anni 2007-2009 e la confronta con la distribuzione media degli aiuti dei paesi UE e G7. (5)
Nel 2007 quasi il 60 per cento dell’aiuto italiano era rivolto a paesi a basso reddito e orfani, e meno del 10 per cento era rivolto ai prediletti non-Ldc: l’Italia aveva una performance migliore rispetto alla media dei paesi UE e a quella dei paesi G7. Nel corso del tempo, però, la situazione è andata peggiorando. Nel 2008 l’aiuto rivolto agli orfani Ldc si era già ridotto di quasi 15 punti percentuali. Nel 2009 ormai solo il 30 per cento degli aiuti sono rivolti ai paesi dove queste risorse potrebbero contribuire di più a sconfiggere la povertà. A peggiorare il quadro vi è l’aumento della quota di aiuti rivolti a quei paesi di reddito più elevato (non-Ldc) che già ricevono eccessivi flussi di aiuto a livello internazionale: vanno a questi paesi oltre il 20 delle risorse. Il confronto con la comunità internazionale si fa negli anni sempre più negativo: l’Italia destina meno risorse agli orfani dell’aiuto e più risorse ai prediletti di quanto facciano i paesi UE e i G7.
Tutto questo mentre le risorse totali destinate all’aiuto sono andate riducendosi drasticamente. I tagli alla cooperazione hanno penalizzato quindi proprio quei paesi del Sud del mondo che più avrebbero beneficiato del contributo italiano e ha favorito quei paesi dove ogni singolo euro impegnato ha minore efficacia.
C’è da augurarsi che il neo-ministro della Cooperazione internazionale, Andrea Riccardi, migliori i meccanismi di allocazione e controllo degli aiuti per evitare queste e altre disfunzioni che rendono il nostro paese tra i peggiori donatori al mondo. I meccanismi di allocazione dovrebbero basarsi in primis su indicatori oggettivi sviluppati secondo modelli economici rigorosi. Su di essi andrebbero poi eventualmente innestate valutazioni discrezionali, sempre determinate però in modo chiaro e trasparente. È questo l’indirizzo intrapreso ormai da anni da paesi come il Regno Unito e la Svezia, che ha reso la cooperazione internazionale uno dei fiori all’occhiello delle loro relazioni internazionali.

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* Le opinioni qui espresse sono esclusiva responsabilità dell’autore e non impegnano né ActionAid né la Banca d’Italia.

 

(1) Cfr. DCD-DAC (2011) Development aid reaches an historic high in 2010, http://tinyurl.com/6hpy6oo.

(2) Manaresi F. (2011) Orfani e prediletti dell’aiuto italiano, http://tinyurl.com/bwhmjzp. La metodologia adatta al confronto tra paesi quanto elaborato da Robert Utz (2011) http://tinyurl.com/ctzombs.

(3) Il benchmark efficiente in termini di riduzione della povertà (poverty-efficient) è stato teorizzato da Collier, P. e Dollar, D. (2001) Can the world cut poverty in half? How policy reform and effective aid can meet the international development goals, World Development, 29 (11), 1787-1802.

(4) Gli altri benchmark sono quello ugualitario rispetto alla popolazione dei Paesi beneficiari, quello ugualitario rispetto ai poveri, e quello proporzionale rispetto alla quota di poveri sulla popolazione del Paese.

(5) I dati ad oggi disponibili non consentono di ripetere l’analisi per il 2010.

Figura 1. Distribuzione dellaiuto italiano, media UE e media G7 rispetto al benchmark efficiente per la lotta alla povertà

Fonte: OECD CRS

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