Il capitale sociale è sempre più spesso invocato come la causa profonda di differenze radicate nei comportamenti e nel livello di benessere di popolazioni e gruppi diversi. Per  esempio, in Italia si spiega il ritardo economico del Sud anche con una sua carenza. Se il termine ha avuto successo, rimane però una grande ambiguità sul suo significato. Ora il libro “Il capitale sociale. Che cos’è e che cosa spiega”, a cura di Guido de Blasio e Paolo Sestito, cerca di fare chiarezza, dando voce a punti di vista diversi.



Pubblichiamo alcuni stralci dell’Introduzione del libro a cura di Guido de Blasio e Paolo Sestito “Il capitale sociale. Che cos’è e che cosa spiega”, edito da Donzelli Editore.

L’origine del termine capitale sociale viene di solito attribuita a L. J. Hanifa, che ne parlò […] per descrivere l’importanza del supporto attivo delle comunità locali nel garantire l’efficacia delle scuole elementari rurali dello stato della Virginia di cui, come ispettore (e riformatore) scolastico, si occupava. Il rilancio (e la moderna fortuna) del termine si associa però senz’altro a R. Putnam, che ha usato il termine analizzando sia gli Stati Uniti […] che l’Italia […], anch’egli enfatizzando la rilevanza del capitale sociale come sorta di grandezza intangibile con rilevanti effetti sul buon funzionamento della vita sociale e politica, e quindi indirettamente della performance economica, di una comunità. In mezzo, ci sta l’ampio utilizzo del termine nella letteratura sociologica (a partire grosso modo dal 1960), in un’accezione […] peraltro diversa e più legata al funzionamento di reti e contatti all’interno di una data comunità […].
La Fig. 1, basata sull’uso di googlelabs e che si riferisce ai libri pubblicati in lingua inglese, precisa e visualizza questa evoluzione. Vi si mostra la frequenza con cui il termine capitale sociale compare nei testi annualmente pubblicati: esso ha un’origine moderna (abbiamo troncato la figura al 1880, ché prima il termine è sostanzialmente inesistente), si mantiene poco rilevante sino al 1960; seguono uno sviluppo, ma contenuto, fino all’inizio degli anni ’90, e la più recente esplosione. In confronto il termine capitale fisico è invece di ben più antico utilizzo, ma con un profilo altalenante  e da ultimo declinante; oggi, il termine capitale sociale sopravanza sia l’espressione capitale fisico che il termine capitale umano, la cui crescita inizia a partire dagli anni ’60.

(1) Numero di volte in cui il termine si presenta per milione di bigrammi; la quota è calcolata su tutti i libri in lingua inglese pubblicati in ciascuno degli anni tra il 1880 e il 2008 e digitalizzati dal Google Books Team. Si veda: http://ngrams.googlelabs.com/graph?content=human+capital%2Csocial+capital%2C+fixed+capital&year_start=1880&year_end=2008&corpus=0&smoothing=3

In Italia, la fortuna del termine è […] legata soprattutto al riferimento che vi si fa nel discorso sui divari interni al paese. […] Alla carenza di capitale sociale, ed alle sue lontane origine storiche (solitamente individuate nella limitata presenza della stagione delle libertà comunali nell’alto medioevo), si attribuiscono spesso gli odierni insoddisfacenti equilibri sociali ed economici del Mezzogiorno […].
Tra le novità recenti, vi è […] il crescente utilizzo del termine da parte degli economisti. Laddove la letteratura sociologica tradizionalmente si basava sullo studio di singoli case studies, sì da descrivere situazioni tipiche di equilibri ad alto o basso capitale sociale, gli economisti hanno cercato misure universali del fenomeno, definendo variabili rappresentative dello stesso – più spesso in realtà proxy dello stesso – sì da poter confrontare la “dotazione” di capitale sociale di tutte le aree. La letteratura economica ha anche cercato di definire propensioni a livello individuale verso certi comportamenti, cercando di raffrontare le misure delle stesse disponibili in varie indagini demoscopiche con quanto ricostruibile in veri e propri esperimenti di laboratorio, costruiti al fine di identificare con precisione i vari elementi di interazione sociale che il generico termine capitale sociale cerca di ricomprendere […]. Maggiore attenzione analitica è stata infine prestata all’esame degli “effetti” del capitale sociale, riconoscendo che per vari motivi le misure correntemente usate non possono essere semplicisticamente interpretate come una causa esogena di certi equilibri sociali ed economici, essendo anch’esse endogenamente determinate; a tal fine si è perciò cercato di adoperare tecniche statistiche (tra le quali, in particolare, quella nota come metodo delle variabili strumentali) per dare una interpretazione causale alle correlazioni esistenti tra misure di capitale sociale e performance economica e sociale (ad esempio delle regioni del Mezzogiorno) sfruttando la possibile presenza di cause ultime, lontane nel tempo e comunque non direttamente legate all’odierna performance economica, del capitale sociale i cui effetti sull’attuale situazione economica si vorrebbe cercare di stimare.
Rimane una certa vaghezza del termine, non foss’altro che per via della presenza di tante misure concrete, tutte egualmente e spesso indistintamente adoperate come proxy del fenomeno. Lo stesso termine appare ambiguo: il sostantivo capitale perché non è chiaro come, da chi e con quale scopo questa grandezza venga “accumulata” […]; poco chiaro è anche l’aggettivo sociale, non essendo ben esplicitato il nesso che lega il capitale sociale dell’individuo e quello della comunità a cui quell’individuo appartenga. In altri termini, non è chiaro se il capitale sociale debba esser considerato un attributo individuale o d’una collettività. Ancor più dibattute sono la rilevanza del capitale sociale, come “causa” di determinati fenomeni, e l’origine dello stesso, sia in generale – e non potrebbe che essere così data la pluralità di misure e concetti concretamente utilizzati nella letteratura empirica, economica e sociologica – sia con specifico riferimento alla querelle sul suo ruolo come spiegazione degli insoddisfacenti equilibri socio-economici (ad esempio, del Mezzogiorno d’Italia). La ricerca di cause ultime del capitale sociale di oggi è sempre discutibile; comunque poco si sa sulle diverse sfaccettature del capitale sociale e dei meccanismi specifici con cui esso ha effetti su ed è influenzato dagli equilibri socio-economici e politici.
[…] Questo libro vuole […] cercare di fare chiarezza, anche a beneficio del lettore non specialista, nel dibattito relativo al capitale sociale. Si vuole cercare di evidenziare cosa si intenda per capitale sociale, esemplificare i tanti fenomeni economici e sociali ad esso correlati e discutere l’uso del riferimento al capitale sociale nel dibattito sul Mezzogiorno.
Lo si farà presentando punti di vista anche tra loro diversi, per quanto riguarda in particolare la definizione e la misurazione del concetto (la I parte del volume); i legami biunivoci tra capitale sociale, assetti istituzionali e politici anche al di là del solito confronto aggregato tra Sud e Nord del paese (la II parte, […]); la vexata questio del legame tra capitale sociale e ritardo (economico) del Mezzogiorno (la III parte). Del tema si ragiona quindi anche in una prospettiva di policy, con riferimento ad una valutazione di efficacia delle politiche di sviluppo del Mezzogiorno (in particolare dell’ultima, ormai esaurita stagione delle stesse, che va sotto il nome di Nuova Programmazione) e più in generale evidenziando, sia pure in termini esemplificativi e non esaustivi, come il capitale sociale (o per meglio certe sue concrete misure e proxy) possa e debba esser considerato tanto come possibile causa rilevante di certe performance, quanto come possibile effetto di certi accadimenti, non essendo sempre e comunque una immodificabile eredità della storia lontana. […]

 

Contenuto del volume

 

Introduzione (di Guido de Blasio e Paolo Sestito)

Parte prima. Come definire e misurare il capitale sociale

I. Che cosa è il capitale sociale? (di Luigi Guiso)

II. Capitale sociale tra economia e sociologia: avanti con giudizio (di Carlo Trigilia)

III. I diversi concetti di capitale sociale: differenze e similarità (di Paolo Sestito)

IV. Capitale sociale e valori etici (di Leonardo Becchetti)

 

Parte seconda. Capitale sociale e istituzioni

I. Efficienza del settore pubblico e cultura politica (di Raffaela Giordano e Pietro Tommasino)

II. Lealtà fiscale e qualità dell’azione pubblica (di Guglielmo Barone e Sauro Mocetti)

III. Fiducia, regolamentazione e fallimenti del mercato (di Paolo Pinotti)

 

Parte terza. Capitale sociale e «questione meridionale»

I. Quanta parte dei divari Nord-Sud sono «attribuibili» al capitale sociale? Esercizi con l’econometria e la storia (di Guido de Blasio e Giorgio Nuzzo)

II. Capitale sociale, crescita e shock istituzionali: cosa ci insegna il caso del Mezzogiorno (di Luciano Mauro e Francesco Pigliaru)

III. Antiche tradizioni civiche o esiti della qualità delle politiche? (di Paola Casavola e Leandra D’Antone)

IV. Il «residuo» come causa o effetto del sottosviluppo e il suo peso nelle politiche per il Mezzogiorno (di Fabrizio Barca)

V. Perché le politiche di sviluppo non hanno favorito la crescita del capitale sociale? (di Luigi Cannari, Marco Magnani e Guido Pellegrini)

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