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SI VOLTA PAGINA NEL RAPPORTO SINDACATI-IMPRESE

L’accordo firmato martedì dalle tre confederazioni sindacali maggiori con Confindustria è di grande importanza. Può forse concludere la lunghissima fase del cosiddetto diritto sindacale transitorio, aperta nel 1944. Sicuramente mette fine a un decennio di relazioni sindacali rissose e poco concludenti. Le divergenze tra la Cgil e le altre due confederazione non sono superate, ma l’accordo detta le regole di democrazia sindacale che consentiranno di dirimere i contrasti.

Per farsi un’idea dell’importanza dell’accordo firmato martedì dalle tre confederazioni sindacali maggiori con Confindustria, basti pensare che esso può forse avviare a conclusione la lunghissima fase del cosiddetto “diritto sindacale transitorio”, aperta nel 1944 con l’abrogazione del regime corporativo e finora mai chiusa, perché restano a tutt’oggi in larga parte inattuati gli ultimi tre commi dell’articolo 39 della Costituzione repubblicana in materia di contrattazione collettiva. Ma l’accordo, anche se non sarà seguito da un intervento legislativo volto ad attuare o modificare quella norma costituzionale, segna comunque la fine di un decennio di relazioni sindacali rissose e poco concludenti. E volta pagina rispetto a un triennio nel quale il ministro del Lavoro si è intensamente adoperato per costruire un sistema di relazioni industriali capace di funzionare escludendo la Cgil. Le divergenze tra quest’ultima confederazione e le altre due non sono superate; ma il nuovo accordo interconfederale detta le regole di democrazia sindacale che consentiranno di dirimere i contrasti, là dove essi si presenteranno come insanabili. Può essere che la firma di questo accordo segni anche l’apertura di una nuova stagione di unità d’azione fra le tre confederazioni maggiori. Ma, anche se così non sarà, le nuove regole condivise consentiranno di evitare che i dissensi tra sindacati – fisiologici in un regime di vero pluralismo sindacale – si traducano in paralisi delle relazioni industriali e perdita di rilevanza pratica della contrattazione collettiva, come troppo sovente è accaduto negli ultimi anni.

RAPPRESENTANZA SINDACALE

La disposizione contenuta nel primo capoverso dell’accordo ha per oggetto la misurazione della rappresentatività dei sindacati sul piano nazionale. Qui si affida al Cnel di costruire gli indici di rappresentatività delle confederazioni e delle organizzazioni di settore sulla base di una media tra il “dato associativo”, cioè il numero di deleghe conferite dai lavoratori alle imprese per il versamento delle quote di iscrizione a ciascun sindacato, fornito dall’Inps, e il dato relativo ai risultati del voto per le rappresentanze sindacali unitarie nei luoghi di lavoro, fornito dalle confederazioni: si incomincia così finalmente ad attribuire al Cnel una funzione di grande rilievo anche pratico (il che – sia detto per inciso – nulla toglie all’opportunità che il numero dei membri e la struttura di questo organo costituzionale vengano drasticamente ridotti).
La misurazione della rappresentatività al livello aziendale è oggetto del quarto e del quinto capoverso dell’accordo. Qui si consolida l’alternativa oggi in atto: dove i tre sindacati vanno d’accordo, si attivano le rappresentanze sindacali unitarie – Rsu, previste e disciplinate dal protocollo del 23 luglio 1993 (protocollo che è espressamente richiamato e, dunque, per questo aspetto rimane in vigore); dove i tre sindacati non vanno d’accordo, si attivano le rappresentanze sindacali aziendali – Rsa previste e disciplinate dall’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori del 1970. Le Rsu sono caratterizzate dall’investitura “dal basso”, data ai rappresentanti dall’essere eletti direttamente dai lavoratori; le Rsa sono invece caratterizzate dal rapporto organico esclusivo che le lega al rispettivo sindacato territoriale, il quale designa i propri rappresentanti. Poiché l’accordo non prevede una modifica dell’articolo 19 dello Statuto – salva la previsione del limite triennale di durata della carica di rappresentante sindacale aziendale –, in questo secondo caso la rappresentatività dei sindacati non è misurata: donde la perdurante distribuzione dei rappresentanti sindacali in misura pari tra tutti i sindacati accreditati a norma dell’articolo 19 e la necessità di una disciplina particolare in materia di contratto aziendale stipulato da una o più Rsa.

CONTRATTAZIONE COLLETTIVA

Per la legittimazione a negoziare sul piano nazionale, l’accordo stabilisce soltanto una soglia minima di rappresentatività (il 5 per cento); non prevede invece alcuna soglia per la stipulazione del contratto di settore. L’accordo non preclude, dunque, l’efficacia del contratto collettivo nazionale stipulato da una coalizione sindacale minoritaria nel settore, ma neppure regola il caso in cui questo contratto si sovrapponga a uno precedente stipulato da una coalizione maggioritaria (è il caso verificatosi tra il 2008 e il 2009 nel settore metalmeccanico, dal quale è nato un nutrito contenzioso giudiziario). La soluzione della questione resta dunque per ora fondata sui criteri desumibili dal diritto comune dei contratti; ma non è escluso che in un futuro prossimo le parti sociali possano fare su questo terreno il passo ulteriore necessario per colmare la lacuna, spianando la strada all’attuazione o modifica degli ultimi tre commi dell’articolo 39 della Costituzione.
Il secondo e il terzo capoverso dell’accordo sembrano ribadire l’assetto centralizzato del sistema della contrattazione sancito dal protocollo del luglio 1993, ribadendo che al livello aziendale essa si esercita soltanto sulle “materie delegate” dal contratto nazionale. Ma in materia di contrattazione aziendale le novità sono numerose e assai rilevanti: qui sta la vera svolta.
Il contratto aziendale, anche se non sottoscritto da uno o più dei sindacati firmatari dell’accordo interconfederale, è vincolante per tutti sotto una delle due seguenti condizioni: a) se stipulato dalla Rsu con il voto favorevole della maggioranza dei suoi membri (quarto capoverso); b) se stipulato da una o più delle Rsa titolari della maggioranza delle deleghe in seno all’azienda; ma in quest’ultimo caso il contratto deve essere sottoposto a referendum se lo chiede uno dei sindacati firmatari dell’accordo interconfederale, oppure il 30 per cento dei lavoratori interessati (quinto capoverso): in tal caso la maggioranza dei votanti può, con il proprio voto contrario, privare il contratto dei suoi effetti.
Il sesto capoverso prevede – e anche questa è una novità rilevantissima – che sia vincolante per tutti i sindacati anche la clausola di tregua sindacale contenuta nel contratto aziendale, quando ricorrano, alternativamente, le condizioni di cui si è detto sopra alle lettere a) o b).
Un’altra novità rilevantissima è contenuta nel settimo capoverso dell’accordo, dove si prevede che, in linea generale, il contratto nazionale stabilisca “i limiti e le procedure” della contrattazione aziendale modificativa rispetto al contratto nazionale. Dove il contratto nazionale nulla preveda in proposito, l’accordo autorizza comunque, “al fine di gestire situazioni di crisi o in presenza di investimenti significativi per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale dell’impresa”, la stipulazione di contratti aziendali modificativi “con riferimento agli istituti del contratto collettivo nazionale che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro”. Se il contratto aziendale è stipulato nel rispetto delle condizioni di cui si è detto sopra alle lettere a) o b), anche la deroga rispetto al contratto nazionale ha efficacia generale nell’ambito dell’unità produttiva.
Se questo accordo interconfederale fosse stato in vigore un anno fa, non si sarebbero posti i problemi giuridici che sono invece sorti in riferimento ai contratti Fiat di Mirafiori, Pomigliano e Grugliasco, e in particolare ai loro rapporti con i contratti nazionali. L’accordo, però, non ha efficacia retroattiva: pertanto non può essere direttamente utilizzato per la soluzione di quelle controversie. È questo il motivo per cui la Fiat mantiene la propria richiesta di un intervento legislativo che colmi la lacuna sulla materia: intervento che potrebbe recepire i contenuti essenziali dell’accordo, estendendone l’efficacia nei confronti di tutti i sindacati, anche di quelli che non lo sottoscriveranno. Sarà interessante rilevare, nei giorni prossimi, le posizioni che verranno espresse dai firmatari dell’accordo sulla prospettiva di legificazione di questa materia. Tradizionalmente la Cgil è favorevole a questo intervento legislativo e la Cisl vi è contraria; ma oggi, per ragioni contingenti, le posizioni potrebbero invertirsi.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

10 commenti

  1. Giuseppe Ferrari

    C’è un punto che mi lascia estremamente perplesso: nel modello disegnato dall’accordo ancora saranno le organizzazioni datoriali ed i 4 sindacati a decidere quando e quali organizzazioni alternative dei lavoratori potranno partecipare attivamente alla stipula dei contratti; per tutti gli altri, l’unica strada che resta è quella di raccogliere le firme del 30% dei lavoratori e comunque senza poter proporre una piattaforma alternativa, ma solo di far fallire quella dominante. Ma riconoscere che i lavoratori sono teste pensanti e finalmente affidarsi al 100% a rappresentanti eletti avrebbe rotto equilibri di forze e di interessi ormai consolidati.

  2. Maurilio Menegaldo

    Nella sua stringatezza, l’accordo del 28 giugno presenta parecchi spunti di riflessione. Oltre a quelli già illustrati dal prof. Ichino, mi sembra che esso riaffermi in modo deciso la preponderanza del momento confederale sulle categorie, tanto da garantire tramite esso la rappresentatività all’interno dell’azienda per l’organizzazione che, pur non firmando un accordo aziendale, è però firmataria di questo accordo interconfederale (punti 4, 5, 6). L’impressione è rafforzata anche dalla lettura dell’intesa intersindacale, dove il percorso delle elezioni delle RSU e delle consultazioni per i rinnovi contrattuali, pur essendo affidato all’autonomia delle categorie, non può certo prescindere dalle regole generali dell’accordo interconfederale, che anzi paiono avere sufficiente dettaglio da poter costituire linee guida utili nel caso che le federazioni di categoria non riescano a trovare un accordo. Questa intesa si inserisce, rafforzandola, nella linea posta già dalla legge 300/70 che dà maggior risalto all’aspetto organizzativo della rappresentanza rispetto a una rappresentatività "dal basso": penso che sarà questo il punto di maggior contrasto con la Fiom.

  3. Michelangelo Casiraghi

    E’ un "vogliamo concertare", che per scoraggiare il corporativismo potenziale dei lavoratori, incentiva strumentalmente quello degli apparati sindacali. Infatti, propone di scrivere regole di rappresentanza, ma parte rifiutandosi di sottoporsi all’approvazione dei lavoratori. Pure la Cgil non scioglie il nodo, visto che ha inviato alle sue RSU un comunicato che dice che la procedura coinvolgerà anche gli organismi più periferici, "se sarà approvato e dopo che sarà firmato". dato che conferma che non si vuole affrontare la dialettica, anche conflittuale ma socialmente sana, insita tra sindacato come apparato e sindacato come rappresentanza. Si allarga, anzi, l’area delle decisioni che gli apparati possono avocare a se, di notevole rilevanza su esistenze concrete e prestazioni lavorative. Non mi pare una decisione lungimirante, in una situazione economica che espone i lavoratori a incertezze, tagli e penalizzazioni. Infine, quanto stabilito al punto 8, che intende incentivare la contrattazione di II° livello legata pure allo sviluppo delle imprese, sarebbe significativo se ci fosse un’adeguata rappresentanza dei lavoratori nei CdA, xchè possano concorrere alle scelte.

  4. michele

    La clausola di tregua sindacale vincolante è di dubbia costituzionalità. Se l’art. 40 si limita genericamente ad indicare che il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano, l’art 39 specifica che ai sindacati non si può imporre altro obbligo se non quello di registrazione e di un ordinamento interno democratico. Ora che è imposto per legge anche un ordinamento "esterno" democratico, per quanto attiene alle relazioni fra sindacati, non si vedono presupposti per introdurre in capo ai sindacati un ulteriore obbligo, seppure sia un "non facere" e non un obbligo di fare, ovvero privare un sindacato nazionale e/o aziendale del principale strumento di un’attività sindacale libera, il diritto di sciopero. E’ evidente che la Costituzione non si riferisse solo ad obblighi di fare, ma anche di "non facere" , a quialsiasi divieto o limitazione di un’attività sindacale libera.

  5. michele

    Prima di rafforzar i poteri del Cnel, occorrono garanzie minime effettive di segretezza del voto nei luoghi di lavoro, quali: -membri di seggio estratti a sorte escludendo i candidati, -facoltà di inserire fino a due rappresentanti per lista durante il voto e lo scrutinio; -scrutinio elettorale pubblico. Autorizzazione a sospendere l’attività lavorativa senza penalizzazione durante le consultazioni elettorali, e obbligo per il datore di concedere permessi a recupero ore; "Obbligo di esibire e registrare un documento d’identità valido invece del badge aziendale, perché il voto mantenga valore legale anche all’esterno della ditta, -voto con penna indelebile su scheda cartacea (non necessariamente autenticata dal seggio e prestampata coi nomi dei candidati, al fine di contenere i costi delle consultazioni elettorlai) -utilizzo di urna e cabina elettorale Queste garanzie di voto personale ed eguale, libero e segreto, devono valere per qualsiasi consultazione, sia il voto delel Rsu, che referendum approvativi o abrogativi di accordi dei sindacati nazionali o aziendali.

  6. Franco

    Dovete convincere il CEO della Fiat, non sembra molto convinto di questa "vittoria" del "modello pomigliano" decantata da economisti e politici. In realtà ha (quasi) vinto la FIOM, anche se forse non lo si vuole dire pubblicamente:
    – Non è un accordo retroattivo, ma non è questo il punto
    – Si stabilisce che le materie che possono essere oggetto del contratto aziendale devono essere rigidamente stabilite nel CCNL, o al limite possono riguardare la sola organizzazione e prestazione del lavoro, non certo il pagamento dei giorni di malattia (di cui si è discusso molto negli accordi di pomigliano e mirafiori), e nemmeno i livelli salariali, se non in aumento rispetto al CCNL – Si stabilisce che le clausole di "tregua sindacale" siano vincolanti per i soli sindacati, non certo per i lavoratori, a differenza della "clausola di responsabilità" di cui si è parlato nei contratti per fabbrica italia Di fatto CISL e UIL hanno fatto un passo indietro.
    Gli accordi frmati a mirafiori e pomigliano, per i motivi sopra elencati, necessitano di rilevanti modifiche se Fiat vorrà rimanere in confindustria. E la lettera di Marchionne alla Marcegaglia ne è un’indiretta conferma.

  7. marcello

    …molte persone che lodano tali accordi al ribasso sempre e comunque a danno/sulla pelle dei lavoratori farebbero bene a vivere un anno, ma che dico, un mese in fabbrica, magari in catena di montaggio… solo così, forse, a meno che non fossero vendute o poco intelligenti, capirebbero che la vita dell’operaio non è cosi trendy, facile e felice come credono! qui non si vuole discutere e operare per il bene comune, qui si vuole solo che una parte, quella più debole, ceda a quella più forte senza colpo ferire! prendersela con il debole, minacciandolo "o così o niente", è la peggiore nefandezza che un potente possa fare… invece di cacciarechi ci governa!

  8. GIANCARLO FICHERA

    Prof. Ichino ma perchè non dice mai che i problemi delle relazioni sindacali sarebbero risolti applicando semplicemente l’art. 39 della Costituzione? Forse perchè noi studenti potremmo superare l’esame di diritto del lavoro riducendo della metà il libro di diritto sindacale?

  9. maurizio angelini

    Gli accordi aziendali raggiunti fra RSU e Azienda vengono sottoposti al voto della sola RSU; e perchè’ mai? che cosa impedisce ai lavoratori di esprimersi con regolare e certificato referendum? La cultura e le conoscenze delle persone sono enormemente cresciute, le valutazioni e le volontà si possono esprimere con tecniche semplici e sicure, tutti hanno valorizzato partecipazione e coinvolgimento di milioni dei citadini nei recenti referndum . E adesso si torna indietro: male, spero non passi. A livello aziendale si possono introdurre deroghe al contratto di lavoro nazionale: fin qui deroghe ha significato peggioramenti, non 80 ore di straordinario ma 200, non due turni ma tre. A livello aziendale si può così rinunciare alla salvaguardia che, alle situazioni più deboli e isolate, il contratto nazionale indubbiamente dà.Provate a pensare, con il 90% di aziende inferiori ai 15 dipendenti, che tipo di contratti aziendali si farebbero- si faranno- nele microindustrie. Spero non passi neppure questo.

  10. michele81

    Con questo modell contrattualeil datore può infliggere sanzioni disciplinari fino al licenziamento ai lavoratori o alle sigle sindacali inadempienti l’accordo. E’ chiaro che tale situazione deve essere simmetrica. Quali strumenti ha il sindacato a disposizione per far valere l’esigibilità degli accordi? Se il datore non paga, non effettua gli investimenti previsti, sindacati e lavoratori dovrebbero poter adire lla magistratura del lavoro per applicare l’accordo in ogni sua parte, senza che la questione passi di competenza alla giustizia civile. 2 Inoltre il sistema sanzionatorio degli accordi dovrebbe prevedere obbligatoriamente a pena di nullità la contestazione scritta e circostanziata di qualsiasi inadempienza rispetto all’accordo aziendale, il diritto al contradditorio e il diritto di replica davanti a commissioni permanentii paritetiche ed elettive fra datori e sindacato. 3. lo Statuto dei lavoratori vieta ai datori la costituzione e il finanziamento di sindacati di comodo. Se viene provata in sede di giudizio, ciò dovrebbe comportare l’mmediato scioglimento, il ricalcolo della rappresantitività dei firmatari, la nullità degli accordi se scende sotto il 50%+1 richiesto

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