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LA POVERTÀ IN ITALIA: UN PROBLEMA DEL SUD

Il rapporto annuale dell’Istat descrive un’Italia in cui coesistono regioni del Nord con livelli di benessere o inclusione sociale analoghi a quelli della Svezia e regioni del Sud con rischi di povertà o esclusione prossimi a quelli della Romania. Le politiche sociali dei comuni non riescono peraltro a contrastare i divari, anche perché il Nord continua a destinare per la lotta alla povertà molto di più del Sud. E intanto il governo riduce i fondi per le politiche sociali, nonostante gli impegni presi con l’Europa.

Il Rapporto annuale dell’Istat descrive un paese in cui coesistono regioni (nel Nord) con livelli di benessere o inclusione sociale analoghi a quelli della Svezia e regioni (nel Sud) con rischi di povertà o esclusione prossimi a quelli della Romania. Le politiche sociali dei comuni non riescono peraltro a contrastare i divari, anche perché il Nord continua a destinare per la lotta alla povertà molto di più del Sud. E intanto il governo riduce i fondi per le politiche sociali, nonostante l’impegno, nell’ambito della Strategia Europa 2020, a far uscire dal rischio di povertà e di esclusione sociale almeno 2,2 milioni di persone entro l’anno 2020.

LA STRATEGIA EUROPA 2020 SULLA POVERTÀ

Nel 2010 l’Unione Europea ha approvato la Strategia 2020, la quale delinea il nuovo modello di crescita che gli stati membri si impegnano a sviluppare entro l’anno 2020. Costituisce un significativo passo avanti rispetto ai precedenti strumenti di coordinamento, soprattutto perché integra gli obiettivi di stabilità macroeconomica con obiettivi strategici in ambiti tematici selezionati per la loro capacità di promuovere una crescita intelligente (attraverso la conoscenza, la ricerca, l’innovazione), inclusiva (con meno povertà e una più ampia partecipazione al mondo del lavoro) e "sostenibile" (attenta all’uso delle risorse naturali). Sulla lotta alla povertà, la Strategia si propone, entro il 2020, di far uscire dalla condizione di rischio di povertà o di esclusione sociale almeno 20 milioni di persone, degli attuali 114 milioni.
L’indicatore selezionato per monitorare i progressi compiuti dai singoli stati è la quota di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale, che rileva la percentuale di coloro che sperimentano almeno una delle seguenti situazioni:
1. rischio di povertà: persone che vivono in famiglie con un reddito disponibile, dopo i trasferimenti sociali, inferiore al 60 per cento del reddito mediano;
2. grave deprivazione materiale: persone che vivono in famiglie che dichiarano almeno quattro gravi
difficoltà materiali fra le nove indagate (pagare regolarmente le bollette o l’affitto; sostenere spese
impreviste; fare una settimana di ferie all’anno; assumere un pasto adeguato almeno ogni due giorni; riscaldare in modo adeguato l’abitazione, eccetera);
3. intensità lavorativa molto bassa: persone che vivono in famiglie in cui, nell’anno precedente, gli adulti hanno lavorato meno del 20 per cento del loro potenziale. In linea con il nuovo ciclo di programmazione europea, anche l’Italia ha predisposto nell’aprile scorso il Programma nazionale di riforma, Pnr, prevedendo per il 2020 l’uscita dalla condizione di rischio di povertà o di esclusione sociale di 2,2 milioni di italiani, su un totale di 15 milioni attuali. Ma qual è la situazione del nostro Paese rispetto al resto dell’Unione?
Il Rapporto annuale dell’Istat sulla situazione del paese nel 2010 ne fornisce una chiara fotografia.

UN ITALIANO SU QUATTRO È A RISCHIO DI POVERTÀ

Le persone a rischio di povertà o di esclusione sociale sono in Italia 15 milioni, una persona su quattro (il 24,7 per cento): una percentuale più elevata non solo della media dei 17 paesi dell’area euro (21,2 per cento) ma anche della media dei 27 paesi dell’Unione Europea (23,1 per cento). Appare pertanto eccessivamente ottimistica l’affermazione contenuta nel Pnr secondo la quale "la situazione italiana non diverge in misura sostanziale dalla media dell’Unione Europea". L’Italia, è vero, supera solo del 7 per cento la media dei 27 paesi dell’Unione, ma la media risente della posizione di paesi, in gran parte dell’Est, che presentano livelli di povertà estremamente elevati. L’Italia occupa infatti la diciottesima posizione nella graduatoria dei 27 Stati membri in ordine crescente per rischio di povertà o esclusione, a grande distanza dai principali paesi con livello di sviluppo simile al nostro. Siamo quindi i primi fra gli ultimi, ma di questo non possiamo certo rallegrarci.
Il confronto con alcuni dei paesi sviluppati mostra una situazione ben più problematica: l’Italia presenta una più marcata diseguaglianza nella distribuzione del reddito e una più grave deprivazione materiale a carico dei più poveri. La prima considerazione è desumibile dal livello dell’indicatore n. 1, rischio di povertà, il quale misura lo svantaggio relativo di una persona rispetto al resto della popolazione. In confronto ad esempio alla Francia, la povertà relativa è più diffusa in Italia di oltre il 40 per cento (18,4 contro il 12,9 per cento). La seconda considerazione discende dall’indicatore n. 2, grave deprivazione materiale, che – in quanto misura della povertà assoluta – indica quanto i più poveri abbiano difficoltà ad affrontare i problemi quotidiani. In Italia, le persone con gravi deprivazioni materiali sono (in percentuale sulla popolazione) il doppio del Regno Unito e della Spagna, il quadruplo della Svezia, un quarto in più di Francia e Germania. In particolare, sono soprattutto le famiglie in cui è presente un solo genitore e quelle in cui sono presenti almeno tre figli quelle che sperimentano le più gravi deprivazioni economiche.

La povertà si presenta inoltre con profonde differenze fra Nord e Sud del paese: nelle regioni settentrionali la percentuale di persone a rischio di povertà o esclusione è analoga a quella della Svezia e della Finlandia, ai primi posti nella graduatoria (14 per cento nel Nord-Est e 15,6 per cento nel Nord-Ovest, con punte dell’11,1 per cento nel Trentino Alto Adige e del 13,4 per cento in Valle d’Aosta), mentre nelle regioni del Mezzogiorno la percentuale è prossima a quella della Romania e della Lettonia che occupano gli ultimi posti della graduatoria (44,4 per cento nelle Isole e 38,7 per cento nel Sud, con punte di 49,3 per cento in Sicilia e 42,7 per cento in Campania).

Ancora una volta emerge un quadro in cui il Nord corre con i paesi più ricchi e coesi dell’Europa, mentre il Sud arranca insieme ai più poveri e deprivati. Negare il problema significa ignorare il Mezzogiorno.

GLI INTERVENTI MANCANO PROPRIO QUANDO CE N’È PIÙ BISOGNO

Se la povertà si concentra nelle regioni del Meridione, lo stesso non si può dire per gli interventi che dovrebbero contrastarla. Ne è conferma la recente pubblicazione dell’Istat sui servizi sociali offerti dai comuni (singoli e associati) nel 2008: per le politiche sociali, nelle regioni del Sud la spesa media pro capite è pari a 52 euro (di cui 6 per la lotta alla povertà), a fronte di una media nazionale di 111 (di cui 9 per il sostegno ai poveri) e una media nel Nord-Est di 155 euro.
Una situazione che purtroppo è destinata a peggiorare anche perché l’unica misura indicata nel paragrafo dedicato al contrasto della povertà del Pnr è la sperimentazione della "Carta acquisti", e nel frattempo i fondi statali destinati alle politiche sociali sono sistematicamente e drasticamente ridotti al lumicino.

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SANTORO E DINTORNI

12 commenti

  1. Claudio Di Blasi

    Interessante l’analisi, ma resto perplesso dagli "indicatori" di povertà, in quanto almeno due sono basati sul "reddito dichiarato", facilmente falsabili da lavoro nero et similia. Resta inoltre poco comprensibile perchè lo stato dovrebbe farsi carico a livello finanziario, dello scarso investimento degli enti locali del meridione in tema di servizi sociali, come pare sia la soluzione in qualche modo suggerita dall’autrice: i tagli al sociale colpiscono tutte le regioni, non solo quelle meridionali, e con meccanismi legati al numero di residenti ed alla loro tipologia. Una domanda finale: quanto "pesa" sulle regioni "fortunate" il farsi carico di una fascia di cittadini più a rischio di povertà, ovvero i residenti immigrati, la fascia di popolazione tra le più colpite dalla crisi economica.

  2. alfredo ferrari

    L’unico problema del sud è quello della evasione fiscale perché il lavoro in nero e altre situazioni portano a dare giudizi: perché non si parla mai di indicatori concreti: 1/ produzione rifiuti 2/ richiesta di energia 3/ consumi questi sono incidenti in quanto sono esattamente allineati al nord. significa che la qualità della vita non è poi così lontana dal nord ma che vige un problema culturale. La spesa storica va tranciata drasticamente!

  3. AM

    Ho viaggiato molto e ho l’abitudine di osservare e, quando possibile, di parlare con le persone nei vari paesi e mi sono convinto che spesso le statistiche non riflettono la realtà e che la distanza, sia assoluta sia relativa, fra le due raffiguazioni varia notevolmente da luogo a luogo. Sono convinto che le condizioni di vita nel nostro Mezzogiorno così come in certe regioni della penisola iberica, della Grecia e del Nord Africa siano molto sottovalutate. La povertà è poi un concetto relativo. Concordo sul fatto che i rifiuti (sia per quantità che per qualità) sono un indicatore apparentemente grossolano, ma in realtà significativo del livello di vita e il pensiero corre alla Campania. Infine non ho ben capito se queste statistiche tengono conto anche degli immigrati residenti in Italia o solo dei cittadini italiani. Gli immigrati con famiglia nei paesi di origine tendono a mantenere un tenore di vita spartano per inviare una parte significativa dei loro redditi ai paesi di origine sia a scopo di consumo delle famiglia che a scopo di accumulare patrimonio (acquisto di casa, terreni, bestiame, ecc.).

  4. bianchino

    Nessun governo proporrà o attuerà leggi "draconiane" contro criminalità e corruzione (lega in primis) piaghe di nord e sud.

  5. Felice Di Maro

    Si è vero "Il rapporto annuale dell’Istat descrive un’Italia in cui coesistono regioni del Nord con livelli di benessere o inclusione sociale analoghi a quelli della Svezia" ma c’è anche il Centro Italia e le cose non vanno bene per niente. Naturalmente ragioni storiche ma anche luoghi comuni offrono una immagine regolare delle città e paesi di queste zone. Le relative amministrazioni dei dei vari comuni si preoccupano solo dei stranieri e tanto gli italiani si debbono arrangiare da soli. L’articolo di Nerina Dirindin va bene nelle aule universitarie o nei salotti buoni delle città ad esempio come San Benedetto del Tronto. Non si tiene conto ad esemipio dei debiti delle famiglie monoreddito che hanno attraversato periodi di mobilità a 700 euro al mese (il primo anno) e 630 gli anni successivi. Le finanziarie hanno fatto e fanno affari d’oro. Ma quale è il ruolo dell’economista?

  6. Giangi

    Da quando l’Italia è entrata nella monera unica Euro di fatto c’è stata una svalutazione di oltre il 50% i salari sono aumentati poco molto di più è aumentato il costo della vita e i prezzi dei generi alimentari, servizi, immobili ed affitti sono più che raddoppiati. Oggi non si nota più se per un prodotto o servizio obbligatorio o no, vi sia un ulteriore aumento del 10-50-100% ecco perchè questa è una una povertà provocata dalla classe politica che è per la stragrande parte corrotta e bada solo a fare i propri interessi personali e di cartello, mantenendo i privilegi e le caste.

  7. bob

    Si vive meglio gestendo un bar a Taormina o lavorando dentro una fonderia a Brescia? Sarebbe da "statisticare" il tempo perso in lavori inutili ( ..come queso studio)

  8. Luca

    Vivo e lavoro ormai da anni in un Paese dove per pagare affitto, casa e scuole per una famiglia con tre figli servono 5,000 euro al mese (NETTI). Potrei fare numerosi esempi di colleghi e amici che hanno abbandonato la "falsa ricchezza" anglosassone e lasciato ruoli e posizioni importanti che garantiscono guadagni astronomici utili solo a solo a pagare affitti e rette astronomiche, che hanno rifiutato di alimentare un’economia gonfiata dalla speculazione finanziaria e immobiliare e che hanno sposato la "falsa povertà" del meridione d’Italia, in cui con 1,200 euro gestiscono ora tranquille attivita’ commerciali modello, appunto, bar di taormina. Risultato? Felicità. Altro che povertà.

  9. bob

    Mai come in questi ultimi 20 anni alcuni strumenti importanti per fotografare lo stato del Paese sono stati utilizzati e messi nelle mani di mestieranti per soli fini di becera politica. La statistica è una Scienza complessa e difficile che soltanto con una grande cultura e con grande onestà intelletuale può essere usata, perchè serve a fotografare una situazione su cui poi studiare e avere dei parametri per impostare politiche o strategie future. Ho detto fotografare. Se fotografiamo una pianura con un grandangolo ci appare molto più vasta di quello che in realtà è, ma la realtà poi è diversa e dobbiamo tenerne conto, altrimenti siamo oltre che ingenui anche disonesti. Essendo un piccolo imprenditore del Nord-Centro e girando l’Italia da 50 anni porto ad esempio lo studioso Giacomo Becattini che con studio serio e profondo ci "ha fotografato" per esempio in maniera reale l’ Italia dei distretti. Esempio di come uno strumento così complesso deve essere utilizzato. Spero solo che questa ventata di protesta faccia un pò di pulizia! Spero!

  10. giulio

    Il Sud ha un reddito ufficiale di gran lunga inferiore a quello del Nord, ma il Sud ha un livello di consumi solo un po’ minore di quello del Nord e accumula in risparmio solo un po’ meno del Nord. Quindi: molto reddito reale del Sud sfugge alle rilevazioni ufficiali (evasione fiscale, attività sommerse, ecc.)

  11. Gino

    Molti di voi dicono che il problema del sud è il lavoro nero ma che il tenore di vita è come quello del nord, non so Voi cari signori, io non lavoro in nero, sono un dipendente con moglie e 2 figli a carico e guadagno 1.200 euro al mese, in famiglia non sappiamo cosa siano le ferie o andare a mangiare una pizza, altro che tenore di vita simile al nord.

  12. antonio pappaterra

    A distanza di mesi, posso dire con fermezza che questo studio fotografa la realtà, soprattutto del meridione. Al sud gli errori della politica privilegiano poche persone e ne svantaggiano altre migliaia. I vari commenti non tengono conto che regioni come la Calabria vivono ancora grazie all’emigrazione, perché la deprivazioni e la soglia di povertà sono alte, grazie, certamente, alla mancanza di politiche concrete per abbattere il clientelismo e l’assistenzialismo con il quale i vari governi, compreso lega, trattano quelle che poi diventano emergenze sociali, poi grazie alle conseguenze che derivano da questioni mai risolte legate storicamente al quesito meridionale. Anche il lavoro nero, l’evasione di cui si parla è una conseguenza dell’assenza dello Stato, inteso non solo come ordine legale capace di garantire il rispetto delle leggi, ma come garante della Giustizia Sociale, dell’uguaglianza, della libertà dal bisogno e quindi di politiche di sviluppo che guardano ai servizi senza cercare di dimenticare che lo studio di cui si parla qui non fa differenze fra Nord e Sud, ma evidenzia ciò che ci accomuna come, appunto, Stato Italiano.

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