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L’ITALIANITÀ, DA PARMALAT A FIAT

La scalata a Parmalat era ampiamente annunciata. E fra un anno, dovremo fare i conti con la fusione Fiat-Chrysler. Se ci sono operatori finanziari italiani interessati al progetto, si facciano avanti subito. Si lavori ora su un piano condiviso, discutendo direttamente con l’azionista di controllo e con il management. Soprattutto, si mettano sul tavolo i soldi per accrescere la dotazione di capitale di rischio della Fiat. In caso contrario, lasciamo che la vicenda segua il suo corso e risparmiamoci altre sceneggiate a difesa dell’italianità.

La scalata a Parmalat era ampiamente annunciata: si vedano ad esempio i vari articoli di Alessandro Penati su La Repubblica negli ultimo due anni. Ciò nonostante, l’intervento "a difesa" dell’azienda è avvenuto a tempo scaduto, quando Lactalis aveva già acquisito una quota di controllo. L’unico modo per contrastare l’ascesa dei francesi a quel punto era di cambiare le regole del gioco, come puntualmente fatto. Il danno in termini di attrattività del capitale estero, già scarsa, è enorme. Se si aveva a cuore l’italianità di Parmalat, era necessario aspettare l’attacco francese per dare un assetto più solido al suo capitale?

L’AMBIENTE ITALIA

È fin troppo facile prevedere che la situazione si ripeterà tra circa un anno, quando la Fiat annuncerà il piano di fusione con Chrysler. Le tappe del processo sono già ben delineate. Fiat intende acquisire entro fine anno il controllo della casa americana per poi procedere alla fusione fra le due società. Seguirà a stretto giro la decisione sulla sede legale della nuova multinazionale e sul mercato azionario su cui quotarsi. Sergio Marchionne ha spiegato cosa determinerà la scelta: le condizioni di contesto (l’efficienza del "sistema paese") e la finanza. Partiamo svantaggiati su entrambi i fronti.
Come sostenuto in molte occasioni su queste pagine, il problema dell’Italia è di aver perso progressivamente terreno nel fornire un ambiente favorevole all’iniziativa economica. Se il sistema-paese funzionasse, la proprietà sarebbe una questione di importanza secondaria: le imprese produrrebbero in Italia perché conviene farlo. Purtroppo, la competitività del nostro paese è in caduta libera da circa un quindicennio, come attestato da varie classifiche internazionali. Il governo latita e, quando si muove, fa rimpiangere l’immobilismo. Aspettarsi cambiamenti significativi da questo fronte nell’arco di tempo in cui la fusione si concretizzerà è del tutto illusorio. Rimane la finanza.

IL RUOLO DELLA FAMIGLIA AGNELLI

Nella struttura proprietaria del nuovo gruppo giocheranno un ruolo fondamentale le decisioni della famiglia Agnelli, che appare divisa grosso modo in due partiti. Da una parte, la vecchia guardia, che lega non solo la ricchezza ma anche il prestigio e il potere al controllo della Fiat. Dall’altra, le nuove generazioni, cresciute nell’epoca delle “dotcom” e formate in master di finanza in cui si insegna che investire gran parte della propria ricchezza in un solo titolo è inutilmente rischioso. John Elkann ha ribadito più volte la disponibilità a diluire il controllo in vista di aggregazioni. In questo caso, quote consistenti delle azioni Fiat potrebbero finire sul mercato. La soluzione che mi sembra più probabile è un compromesso: tentare di mantenere una quota di controllo senza aggiungere soldi. In questo caso, si creerà una multinazionale finanziariamente fragile, con i difetti tipici delle imprese familiari, ma ingigantiti su scala globale. Sarà difficile reperire i capitali di rischio necessari al progetto di creazione di una impresa automobilistica che venda più di 6 milioni di veicoli all’anno. Il mantenimento del controllo senza aggiungere soldi non sembra una soluzione sostenibile per molto tempo.
Entrambi gli scenari indicano che la fusione andrà di pari passo con cambiamenti radicali della struttura proprietaria della futura Fiat-Chrysler. Gli investitori internazionali si stanno già posizionando. Personalmente, sono tutt’altro che convinto che mantenere una quota rilevante di azioni Fiat in mani italiane sia un aspetto cruciale per il futuro dell’azienda in Italia. Sarebbe molto più utile lavorare sulle condizioni generali di competitività. Ma data l’incapacità dimostrata dall’esecutivo su questo fronte, e dato che la difesa dell’italianità è uno dei cardini dell’azione di governo, sembra inevitabile che gli sforzi si concentreranno sugli aspetti proprietari. L’approccio del governo al caso Alitalia e Parmalat ricorda le notti di Arcore: un’ammucchiata confusa e improvvisata di provvedimenti legislativi ad hoc, banche di sistema, cordate di imprenditori. Ultima comparsata, un fondo pubblico con cui investire direttamente nel capitale delle imprese. C’è da rabbrividire al solo pensiero di applicare questo strumentario alla futura Fiat-Chrysler in caso di sviluppi sgraditi sul fronte proprietario.
Se ci sono operatori finanziari italiani interessati al progetto Fiat-Chrysler e che ritengono importante mantenere una significativa quota tricolore nella futura multinazionale, si facciano avanti subito. Non c’è motivo per aspettare l’annuncio dello spostamento della sede legale negli Stati Uniti o il passaggio di una quota rilevante a un investitore istituzionale americano. A quel punto, intervenire diventerà più difficile e molto più costoso. Si lavori ora su un progetto condiviso, discutendo direttamente con l’azionista di controllo e con il management e si mettano sul tavolo i soldi per accrescere la dotazione di capitale di rischio della Fiat. In caso contrario, lasciamo che il progetto segua il suo corso e risparmiamoci altre sceneggiate fuori tempo massimo a difesa dell’italianità.

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EMERGENZA UMANITARIA TRA IPOCRISIE E REALTÀ

  1. bellavita

    E’ evidente che il pacchetto di controllo ha un valore diverso dalle azioni che vengono negoziate in borsa, e che la catena proprietaria del pacchetto di controllo può allungarsi tranquillamente in ogni parte del mondo. Per Parmalat, sappiamo cosa succede perchè c’è un commissario, ma dove c’è la normale proprietà è difficile alzare i veli. Insomma, se il progetto Marchionne funziona, non resterà che vedere Airaudo piangere nelle braccia di Berlusconi. Il quale, a sua volta, il pacchetto di controllo di Mediaset dove lo ha messo?

  2. Salvatore

    L’italianità si difende con la serietà, non con Paniz…

  3. Franco Benoffi Gambarova

    Lo dico come azionista Fiat, italiano e torinese. L’importante è che la Fiat sia una impresa vincente su scala mondiale, rimanga essa torinese o meno. Troppe altre volte si è tentato di farne una multinazionale che parlasse piemontese- Evitiamo che i politici ci mettano il naso: dimostrano ogni giorno di non sapere creare una politica industriale (dalla cattiva gestione degli incentivi – gestiti molto meglio dai francesi, per esempio) alla più banale capacità di usare auto blu pagate da noi, di marca italiana come si usa in tutti gltri Paesi che producono auuto, alla incapacità di lanciare ina Tremonti quater che non sia la copia della Tremonti ter che incentivava l’acquisto di carriole ma non di uto ed autocarri. Il nuovo management (con l’accento sulla prima "a", a differenza di quanto dicono nostri politici, quelli che parlano di Affaghistan, anzichè di Afghanistan), ha dimostrato la sua validità, anche e sopratutto sul piano internazionale, senza dimenticare Fabbrica Italia. Quindi, per favore, lasciamolo lavorare, concedendogli la stessa stima che gli ha dimostrato Obama, senza nazionalismi deteriori. Franco Benoffi Gambarova

  4. luigi saccavini

    L’analisi del professor Schivardi è lì, difficilmente controvertibile. Solo da aggiungere che un Paese ha fra i suoi compiti primari progettare e pianificare lo sviluppo dei settori industriali, manifatturieri e non. Rimango impressionato e incapace di capire una Italia che registra vendite di automobili intorno ai due milioni l’anno e ne produce a fatica 600mila (la Spagna 2 milioni, il Belgio 680mila. Ormai ci raggiunge e supera l’Ucraina, dopo che la Polonia ci guarda da quasi un milione di pezzi). Una volta non esisteva il Ministero dell’Industria? (cambiato in Ministero dello Sviluppo: di cosa?). Deve essere solo la Fiat a produrre auto in Italia? Possibile che il mare di auto B e C vendute in Italia siano quasi solo importate? La questione è solo una questione Fiat o è un problema del Paese, del governo? Altro che declino..stiamo scivolando su un canalone di ghiaccio. Che qualcuno si svegli.

  5. Franco Fabelli

    Sì in Italia c’è un problema di recupero di produttività e di capacità di attrarre produttori dall’estero. Certo l’atteggiamento e le azioni intraprese da Fiom negli ultimi giorni non migliorano la situazione, se fallisce Fabbrica Italia la produzione di auto in Italia tenderà a zero in brevissimo tempo. Anche questo è sistema paese.

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